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INTERVENTO DI MICHELE CAPASSO
Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo

Convegno “Immigrazioni”
Genova, 9 febbraio 1996


Molti dei conflitti politici, sociali, religiosi e culturali nell’area mediterranea sono legati al crescente flusso migratorio proveniente dai Paesi in via di sviluppo.
Un problema epocale su cui bisogna confrontarsi e intervenire con tempestività e lungimiranza. È indispensabile regolare la pressione demografica migliorando la qualità della vita e risanando l’economia dei paesi d’origine.
Tuttavia è importantissimo assumere atteggiamenti concreti rispetto al fenomeno che si ripropone, ogni giorno di più e con estrema urgenza, soprattutto in grandi aree urbane come Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli, ecc. in queste città i fenomeni dell’immigrazione e gli addensamenti si sviluppano soprattutto nei quartieri che vivono ai margini della legalità, con un tessuto urbano e un tessuto sociale storicamente mescolato di presenze “legali” e di presenze poco raccomandabili. Questa concentrazione ha fatto superare, in gran parte di queste città, le soglie della tolleranza, della sopportazione, dell’accettazione già limitate a causa dei movimenti migratori interni.
Il problema deve essere affrontato in maniera drastica, soprattutto al livello di reattività profonda delle popolazioni “a rischio”, nel senso che bisogna bandire definitivamente, in maniera ultimativa, l’atteggiamento mentale connotato come “discriminazione”.
Bisogna rendersi conto che tutti gli uomini e tutte le donne sono titolari degli stessi diritti umani – non certo degli stessi diritti civili e formali – ma degli stessi diritti umani: vale a dire che la “humanitas” degli individui, in quanto contrapposta alla “animalitas”, deve essere ripristinata come concetto e profondamente radicata nelle coscienze. È chiaro che il riconoscimento del diritto umano si porta dietro anche un corrispondente dovere, dovere che si riassume, innanzitutto, nella necessità di rispettare il diritto acquisito e fare in modo che esso venga, a propria volta, rispettato dagli altri membri della comunità.
Di qui la necessità del volontariato, necessità che spesso si concretizza nella nascita di istituzioni poco conosciute, ciascuna delle quali opera nel proprio territorio, senza costituirsi in una rete organica di connessioni con le altre che operano per gli stessi fini. Con queste organizzazioni e il loro spirito di “umanità” – nel senso che abbiamo inteso finora – è possibile procedere all’integrazione dei gruppi etnici ai margini della Comunità, a partire dai meccanismi più elementari, che spesso si riassumono nella pura e semplice presentazione, nella conoscenza di un gruppo minoritario da parte di altri gruppi o di un gruppo più vasto. Spesso, infatti, l’emarginazione degli immigrati deriva proprio dalla scarsa conoscenza e consuetudine con i loro usi, il loro linguaggio; per questo, come accade con tutto ciò che suscita spavento o resistenza soltanto perché ignoto, uno dei primi interventi da fare è proprio un avvicinamento di tipo conoscitivo.
Vorrei, poi, riflettere insieme a voi sul concetto di “TOLLERANZA”: questa parola è una parola ambigua, come è ambigua la parola “INTEGRAZIONE”. Io preferirei parlare di “ACCOGLIENZA” per gli immigrati. Credo che questa sia una parola più positiva. Forse la parola “INTEGRAZIONE” va usata sul terreno delle regole perché è evidente che a livello delle regole della convivenza bisogna “INTEGRARSI”: le regole vanno rispettate nei luoghi di vita, ma è il concetto di “accoglienza” che riguarda specificatamente le culture e le diversità.
L’altro pilastro su cui ci giocheremo le regole della sopravvivenza è quello della legalità.

Legalità ed immigrazione: con questo stimolo, con questo auspicio concludo queste mie modeste annotazioni.




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