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CONVEGNO INTERNAZIONALE

"I Compiti degli Intellettuali nell’Europa di oggi"
Genova - 23/24 Marzo 1996


Relazione Inaugurale
di Michele Capasso, Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo



La Fondazione Laboratorio Mediterraneo è onorata per aver collaborato all’organizzazione di questo Convegno che coniuga la praticità e la creatività del carattere tipico della gente della regione mediterranea, e in particolare della città di Genova e della Regione Liguria.

Voglio ricordare ancora fra coloro che hanno permesso la realizzazione di questa iniziativa l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con l’amico Gerardo Marotta, il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova con il suo Direttore, Luciano Malusa. Un ringraziamento alla Presidenza Italiana dell’Unione Europea che ha portato un grande rinnovamento nel mondo della cultura facendosi promotore e sostenitore di iniziative come questa odierna, attraverso il Ministero degli Affari Esteri ed il Dipartimento delle Relazioni Culturali diretto dal Ministro Michelangelo Jacobucci. Grazie al Consiglio Regionale della Liguria, al suo presidente Fulvio Cerofolini, con cui abbiamo collaborato in Febbraio al Convegno "Voci dal Mediterraneo" riunendo a Genova scrittori dei vari Paesi mediterranei.

E grazie ancora alla Città di Genova, al Sindaco Adriano Sansa, agli Assessori Guala e Meriana che hanno consentito alla nostra Fondazione lo svolgimento di programmi pluriennali e di iniziative culturali proprio qui a Palazzo Ducale : programmi che, attraverso una serie di appuntameni culturali di grande portata, culmineranno nel Convegno Internazionale "Genova, antica capitale del Mediterraneo".

Vorrei dedicare ancora un minuto a Genova ed al suo ruolo di antica capitale del Mediterraneo.

Il destino dell’Europa e del Mediterraneo è legato indissolubilmente alle sue città. E’ necessario ritornare al tempo in cui le città avevano un ruolo prioritario e determinante. La funzione di "civitas" contiene in se stessa il senso dello Stato. "Civitas": una parola che si riferisce non solo alla città ma a tutto quello che sta intorno alla città. E in questi ultimi tempi stiamo assistendo ad una vera e propria rinascita delle più importanti città europee che vogliono diventare protagoniste della vita politica confrontandosi sul terreno di problemi comuni in modo pratico e concreto, evitando inutili retoriche.

Compito fondamentale, in tale contesto, è quello dei sindaci che io amo definire con un’altra parola latina: ediles, nel senso di costruttori, edificatori delle città e non semplici gestori delle stesse. Sindaci che da "oggetto" della politica stanno diventando "soggetto".

Genova: mille volti, mille storie, mille colori, diverse culture, molti progetti, vari livelli di sviluppo e di ripresa.

Questa città, come ogni altra città dell’Europa e del Mediterraneo, è nata per libera volontà degli uomini e, come tale, ad essi assimilabile : come tutti gli uomini le città nascono, crescono, si ammalano, guariscono, muoiono. Genova sta guarendo: questa città ha ritrovato nella sua amministrazione, nel suo sindaco, la cura adeguata che le consentirà - come sta accadendo in altre città italiane - di passare da una fase quantitativa ad un progetto qualitativo già in corso di esecuzione, teso a recuperare e razionalizzare l’esistente, speriamo con professionalità e legalità.

Il ruolo delle città è importante per creare dei nuovi centri di aggregazione. Occorre "ricentrare" le città. Occorre ridisegnare il rapporto tra centro e periferia per evitare l’affermarsi di due tendenze opposte e pericolose : da un lato quello che io definisco il "grigiore" della cultura, la massificazione, la globalizzazione, la "macdonaldizzazione" culturale che appiattisce ogni stimolo creativo e ogni impulso all’affermazione della libertà; dall’altro lato il rischio della tribù, dell’isolamento che, se esasperato, si traduce nell’affermazione di nazionalismi aberranti che possono riprodurre gli scempi che abbiamo visto in questi ultimi anni nella ex-Jugoslavia, una guerra civile nel cuore dell’Europa.

Ristabilire l’equilibrio attraverso la verità, la libertà e la giustizia è compito degli intellettuali dell’Europa e del Mediterraneo. E’ questo l’auspicio che faccio a tutti gli amici che interverranno a queste due giornate di lavoro.

Per concludere, vorrei riportare un appello che ci è pervenuto dalla nostra sede di Sarajevo dove migliaia di persone - abbiamo raccolto più di diecimila firme - ci invitano a non mollare, ci ricordano che in quella terra nel cuore dell’Europa è stata semplicemente fermata la guerra. Quindi il compito degli intellettuali della società cosiddetta civile è quello di non dimenticare, di non abbassare la guardia e di far sì che regnino gli ideali di giustizia, di solidarietà, di cooperazione e di libera fratellanza tra questi popoli dell’Europa e del Mediterraneo che, pur appartenendo a tradizioni e culture diverse, sono però uniti da una antichissima base comune.

Vi ringrazio molto ed auguro a tutti buon lavoro.



CONVEGNO INTERNAZIONALE
"I Compiti degli Intellettuali nell’Europa di oggi"

Genova - 23/24 Marzo 1996




Gli Intellettuali e il Potere
Relazione di Michele Capasso, Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo




Il tema di questa sessione è "L’intellettuale e il potere", un tema impegnativo che mi vede investito di una responsabilità forte. Per questo vorrei limitarmi a navigare a vista elaborando qualche considerazione, a partire dagli interventi preziosi di questa mattina - come quello dell’amico Remo Bodei -, e dai tanti incontri che negli ultimi mesi ho avuto con amici intellettuali dell’Europa e del Mediterraneo. Ad alta voce vorrei cercare di chiarire, prima di tutto a me stesso, che cosa è oggi il Mediterraneo, che cosa è oggi l’Europa.

Siamo alla fine di un millennio dove sembra prevalere il prefisso "ex". Abbiamo sentito in questi anni parlare di ex-Jugoslavia, ex-Unione Sovietica, ex-comunismo, ex-socialismo, ex-gaullismo, ex-imperi, ex-Stati, ex-patti di alleanza fra Stati, ex-società, ex-ideologie, ex-cittadinanze, ex-appartenenze, ex-dissidenza e via dicendo.
E’ legittimo quindi chiedersi cosa significa essere un "ex" o considerarsi un "ex".

Nel suo ultimo libro "Le monde ex" - di recente pubblicato in Francia - Predrag Matvejevic’, che con me dirige la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, afferma che "ex"a volte " è un marchio, in altri casi una condizione involontaria; investe oggi gli individui e la collettività, le loro identità ed i loro modi di essere; è un fenomeno politico e geopolitico o, se preferiamo, spaziale e psicologico; pone la questione morale e mette in causa la morale ancor prima".

E quindi, investendo individui e collettività, non poteva non interessare il Mediterraneo e l’Europa che appaiono anch’essi entrambi, oggi, come un "mondo ex".

Il Mediterraneo vive soltanto nel nostro immaginario ed è appunto attraverso la nostra immaginazione che identifichiamo una realtà che oggi non esiste più.

L’immagine che offre oggi il Mediterraneo è molto lontana dall’essere rassicurante.
Abbiamo una costa settentrionale che è in ritardo rispetto al Nord dell’Europa. Tra il Nord e il Sud del Mediterraneo vi è un problema di rappresentazioni: vi sono senza dubbio differenti modi di organizzazione sociale, la distribuzione differenziata degli "status" e dei sessi, la diseguaglianza delle risorse e delle ricchezze. Ma c’è di più: esiste soprattutto il modo appannato con cui le due sponde si percepiscono, sia con la ragione che con il cuore; è un riflesso contemporaneamente istintivo e controllato, spontaneo e riflessivo, che provoca angoscia, odio, compassione o indifferenza. Lo sguardo del Nord sul Sud non è solo quello del più laico sul meno laico, del cristiano sul musulmano, dell’europeo sul non-europeo: è soprattutto lo sguardo del ricco sul povero, del potente sul debole e, in tanti casi, ancora del bianco sul nero.

Con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo stiamo concretizzando un progetto complesso, mettendo insieme "oggetti" e "manufatti" costruiti e costituiti da individui, enti, istituzioni e Stati del Mediterraneo, spesso perduti nel proprio misero quanto riduttivo interesse particolare, senza avere spesso la consapevolezza che quei "manufatti", da essi stessi prodotti, sono indispensabili per progettare ed edificare la "casa comune mediterranea".

E’ un compito difficile, faticoso, tanto da poter apparire utopistico, ma l’utopia è indispensabile quando si vive, come oggi accade, intrisi di banalità: una banalità che deriva essenzialmente dal ricatto dei paesi industrializzati che sono drogati da una "modernità" e da una voglia di "tecnologia ad ogni costo". Questi paesi hanno messo in moto quello che io chiamo il "treno della velocità", annullando il senso positivo della "lentezza", che una volta caratterizzava, perchè scandiva, i tempi dell’Europa e del Mediterraneo.


La lentezza - dice Kundera - è una dimensione dei luoghi: non è un difetto. Ed io aggiungo che di luoghi ci si alimenta perchè ci si vive, perchè ci si abita, perchè ci si sta.

Il Mediterraneo è considerato quasi come una provincia, penombra dell’Europa: con le scollature e le solitudini che competono alla periferia. Ma proprio su questa linea di confine, ai margini del centro, dove la velocità è spesso enormemente ridotta, è possibile ritrovare quella energia essenziale che scaturisce dalla scoperta delle proprie origini e dalla identificazione delle proprie radici. Queste radici sono indispensabili per ancorare i rami impazziti della "modernità" e della "emancipazione" che svettano sempre più in alto senza valutare l’esistenza e la consistenza del proprio apparato radicale e l’adeguatezza di quest’ ultimo a sostenerli.

La lentezza può essere un metodo per criticare con oculatezza la "velocità" che ci viene imposta dalla società dei consumi. Con questo non voglio criticare, da architetto ed ingegnere, anzi ne sono consapevole e partecipe, interventi positivi di sostanziale importanza come quelli del cablaggio delle città o delle nuove tecnologie, ma su questo "treno senza freni" - se mi è consentito questo paragone comunque improprio -, è indispensabile creare degli elementi di sicurezza. E’ come se tutti noi viaggiassimo a bordo di un treno che aumenta la sua velocità di continuo ma che, non avendo freni, deve inventare elementi sempre più sofisticati per controllare l’aumentata contingenza dell’ambiente, il percorso che deve fare, gli scambi, i passaggi a livello, i ponti, gli attraversamenti e tutti gli infiniti parametri dove la complessità diventa un problema importante e il suo controllo richiede la costruzione di strumenti sempre più sofisticati che spesso vanno anch’essi controllati, creando così un circolo vizioso che porta problemi enormi e degenerazioni.

Il destino di chi viaggia su questo "treno" prevede tre ipotesi: andare a sbattere; tentare di scendere dal treno in corsa; rallentare la corsa del treno stesso. Escludendo la terza ipotesi perchè improbabile, non ci resta che capire come governare la velocità: problema delicato e vitale proprio perchè si rischia la vita.

Nei prossimi anni gran parte della popolazione si concentrerà ancor di più nelle principali città e molte di queste avranno più di dieci milioni di abitanti : non sarà facile viverci e avremo sempre di più anziani trascurati, giovani senza punti di riferimento, feroci somatizzazioni da stress urbano, aria irrespirabile, acque di mari e di fiumi inquinate. Queste città correranno il rischio di essere solamente l’incarnazione di un aberrante processo sorretto soltanto dal potere economico e dalla legge crudele dei mercati e dei mercanti. Uno scenario privo di storia, lontano dalle radici, dove la civiltà che potrà nascere sarà tenuta insieme non dalle idee di verità, di bellezza, di giustizia o "di destino", ma dalle idee di scambio, profitto, denaro, proprietà, commercio, prodotto, possesso.

Partendo dall’uomo occidentale queste stesse idee potrebbero estendersi, per imitazione, a tutto il pianeta costituendo l’incarnazione di un potere aberrante : una droga che finirebbe col distruggere definitivamente la natura, l’ambiente e l’uomo.

Il Mediterraneo- che del pianeta costituisce la "culla" di una delle sue più antiche civiltà- da questo punto di vista, costituisce una risorsa,una difesa.

L’apparente inadeguatezza del Mediterraneo dall’Europa ne fa un punto di vista privilegiato: da periferia apparente del vecchio continente e, aggiungo io, dell’Europa "dei mercati", il Mediterraneo può diventare il baricentro culturale, una risorsa indispensabile per riequilibrare i rapporti e le distanze non solo in termini di misura ma, soprattutto, in termini di valori, una risorsa per consentire di scendere da quel "treno" attraverso passaggi difficili e delicati.


Ma il Mediterraneo, come "patria dei miti", ha sofferto delle mitologie che esso stesso ha generato: è uno spazio ricco di storia rimasto vittima di ogni sorta di storicismo. Il Mediterraneo di oggi, quello che è possibile vedere, quello che personalmente ho visto in questi ultimi tempi, non si identifica assolutamente con la rappresentazione che di questo mare viene da sempre perpetuata. Una "identità dell’essere" si amplifica sempre di più a svantaggio totale di una "identità del fare" che non è nè definita, nè compresa, nè tantomeno attuata. La retrospettiva continua a sopraffare la prospettiva.

Le chiusure che si stabiliscono in ogni parte di questo bacino contraddicono una naturale tendenza all’interdipendenza. La cultura poi è frammentatissima e contrasta se stessa e perciò non è in grado di fornirsi o di fornire alcun aiuto.

La bussola nel Mediterraneo sembra essersi definitivamente rotta.

Il Mediterraneo certo non è il solo responsabile di questo stato di cose. Le sue migliori tradizioni, quelle che associano l’arte all’art de vivre, si sono spesso opposte invano. I concetti di scambio, di solidarietà, di coesione o di partenariato, devono essere sottoposti ad un severo esame critico. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata. Molte definizioni in questo senso devono essere riconsiderate. Non esiste solo una cultura mediterranea: troppo semplicistico. Ce ne sono molte altre in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili, per altri differenti, raramente collimanti, ma mai, assolutamente mai, identici. Le somiglianze sono dovute soprattutto alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnalate da fatti di origine, di credenze, di costumi, di storie, di tradizioni; fatti che talvolta sono essi stessi inconciliabili.

Elaborare una cultura intermediterranea alternativa: mettere in atto un progetto del genere, non è impresa facile, nè appare di imminente fattibilità; condividere una visione differenziata è invece meno ambizioso anche se non sempre facile da realizzare.


Riguardo all’Europa, nei preziosi e ben più pertinenti interventi che mi hanno preceduto, sono state delineate le varie sfaccettature che questo continente, questa importante dimensione politica che non riesce a diventare Stato e che - come diceva ieri l’amico Gerardo Marotta - non è, presenta oggi.

Probabilmente domani si parlerà di una ex-Europa.

C’è un odore di Ancién Regime in Europa, un odore di infezione, di avaria. La morale sembra si adatti ai mille modi di voltare gabbana, pronta a considerare qualsiasi rigore come una sopravvivenza.

Lo choc di quanto è accaduto nell’ex-Europa cosiddetta dell’Est è stato tanto violento quanto imprevisto.

Le transizioni, per quanto male assicurate, prevalgono ancora sulle trasformazioni. Queste ultime hanno difficoltà ad imporsi o, quando si realizzano, sembrano talvolta grottesche.

Un’utopia grandiosa, nata nel cuore dell’Europa Occidentale e bruscamente trapiantata nell’Est, ha generato ben più che un fallimento. L’idea di emancipazione scompare all’orizzonte. Tutto un mondo, a diritto e a rovescio, diventa un ex-mondo. I suoi stessi abitanti, anche quando lo abbandonano o emigrano, non smettono di portarne l’impronta.

Viviamo in un mondo pieno di eredi senza eredità. Un aggiornamento della fede e della morale è perseguito solo in ambienti limitati. Le avanguardie, che hanno proclamato e svolto i loro ruoli, sono ormai classificate. L’invocazione della "immaginazione al potere" è ormai cosa dimenticata. Tutta una "ex-cultura" non riesce, se non con gravi difficoltà, ad impadronirsi di quelle innovazioni che sono offerte o sono richieste dalla tecnologia di punta.

Che fare ?

Nelle preziose relazioni di questa mattina sono emerse indicazioni che mi trovano in totale sinergia :


  • La costruzione di progetti comuni e non di piccole isole.


  • Ritrovare le radici e le sorgenti denunciando il falso universalismo - come diceva l’amico Remo Bodei.


  • Promuovere una cultura che non ammazzi il tempo ma che abitui ad usarlo, e ad usarlo bene.


  • Avere il coraggio di dire la verità ai potenti, di essere intransigenti.


  • Costruire un’architettura del mondo nella quale ciascuno di noi possa fare la sua parte.


  • Passare dallo status di "intellettuali" a quello di "cittadini".


  • Abituarsi più ad "ascoltare" che a "dire".



Ecco, il compito degli intellettuali dell’Europa e del Mediterraneo, il rapporto tra gli intellettuali e il potere, credo sia quello di ritrovare la via del "bene comune", ritrovare il "senso" di uno Stato capace non di eliminare le differenze ma di contenere le diversità.

Qual è questo Stato? Sono gli Stati Uniti d’Europa, estesi anche all’ex-Europa dell’Est e - perché no? - all’ex-Unione Sovietica. Uno Stato unico aperto al Mediterraneo, centrato sul Mediterraneo, cerniera tra i mondi e le culture asiatiche ed africane.

Tutto ciò può sembrare un sogno, un’utopia: ma è dovere degli intellettuali riaffondare le proprie radici nella saggezza di chi ci ha preceduto.

L’idea degli Stati Uniti d’Europa nasce due secoli fa. Solo come esempio voglio leggervi qualche frase di Victor Hugo e di Luigi Einaudi, perché forse i nostri predecessori avevano le idee più chiare delle nostre.

In una delle sue ultime opere, "Actes et Paroles. Depuis l’exil", scritta tra il 1875 e il 1876, Victor Hugo lanciava un appello tragicamente attuale. Le parole di Victor Hugo, superando la barriera del tempo, sembrano descrivere quello che è accaduto appena ieri:


Eccolo il fatto: si sta assassinando un popolo [il popolo Serbo che era assalito dai Turchi]. Dove? In Europa. Ci sono testimoni? Uno, il mondo intero. I governi lo vedono? No. Le nazioni hanno sopra di loro qualcosa che sta sotto di loro: i governi. In certe situazioni la contraddizione esplode: la civiltà è nei popoli, la barbarie nei governi. E’ una barbarie voluta ? No, è puramente professionale. I governi ignorano quello che il genere umano sa. Dipende dal fatto che i governi vedono soltanto attraverso quella miopia che è la ragion di Stato; il genere umano guarda con un altro occhio: la coscienza. Stupiremo i governi europei informandoli che i delitti sono delitti; che a un governo non è consentito, più che ai singoli, di essere un assassino; che l’Europa è solidale; che tutto ciò che avviene in Europa è opera dell’Europa; che se esiste un governo belva deve essere trattato da belva; che in questo istante, vicinissimo a noi, laggiù, sotto i nostri occhi, si massacra, si incendia, si saccheggia, si stermina, si sgozzano padri e madri, si vendono bambine e bambini; che i bimbi troppo piccoli per essere venduti vengono spaccati in due con un colpo di sciabola; (...) di questo informiamo i governi d’Europa, che si sventrano le donne incinte per ucciderne i bambini nelle viscere; che nelle pubbliche piazze ci sono mucchi di scheletri di donne con i segni dello sventramento; che nelle strade i cani rosicchiano il cranio delle ragazze stuprate; che tutto questo è orribile; che basterebbe un gesto da parte dei governi europei per impedirlo (...)

Fare gli Stati Uniti d’Europa. Ai governi disuniti devono succedere i popoli uniti (...). La Repubblica d’Europa, la Federazione continentale : non esiste altra realtà politica (...). Su questa realtà, che è anche una necessità, tutti i filosofi sono d’accordo (...)


Questo scriveva Victor Hugo più di un secolo fa. Luigi Einaudi, nel discorso pronunciato all’Assemblea Costituente il 29 luglio del 1947 affermava:


In un’Europa in cui in ogni dove si osservano rabbiosi ritorni a pestiferi miti nazionalisti, in cui improvvisamente si scoprono passionali correnti patriottiche in chi sino a ieri professava idee internazionalistiche, in quest’Europa nella quale ad ogni piè sospinto si veggono con raccapriccio riformarsi tendenze bellicistiche, urge compiere un’opera di unificazione.

Ma alla conquista di una ricca varietà di vite nazionali, liberamente operanti nel quadro della unificata vita europea, noi non arriveremo mai se qualcuno dei popoli europei non se ne faccia banditore. Auguro che questo popolo sia l’italiano (...).

Utopia la nascita di un’Europa aperta a tutti i popoli decisi ad informare la propria condotta all’ideale della libertà? Forse è Utopia. Ma ormai la scelta è soltanto fra l’Utopia e la morte, fra l’Utopia e la legge della giungla... dobbiamo non aver timore di difendere le idee le quali soltanto potranno salvare l’Europa.

La forza delle idee è ancora oggi - chè l’Europa non è per fortuna del tutto imbarbarita e non è ancora adoratrice supina delle cose materiali - la forza delle idee è ancora oggi la forza che alla lunga guida il mondo.


La forza delle idee. Chi la possiede? L’intellettuale. Quale il suo compito? Utilizzarla per avere il coraggio di dire la verità ai potenti, per spingere verso nuove concezioni di "bene comune".

Se l’Europa fosse stata unita con un suo esercito, un suo confine, non avremmo avuto lo scempio della ex-Jugoslavia: una guerra civile nel cuore dell’Europa, un "urbicidio" e un "memoricidio" contro il quale abbiamo attivato tutte le nostre energie. Proprio a Napoli, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nel 1994, come Fondazione Laboratorio Mediterraneo, lanciammo un appello per la pace nella ex-Jugoslavia, sottoscritto dai più importanti intellettuali dell’Europa e del Mediterraneo e da oltre 200.000 persone. Questo appello ha prodotto 1800 adozioni a distanza e tantissimi aiuti a favore della ex-Jugoslavia.

Vorrei avviarmi rapidamente alla conclusione consentendomi ancora alcune considerazioni personali sul coraggio di dire la verità e sul rapporto tra gli intellettuali ed il potere, raccontandovi due episodi, tra i tanti, che mi sono capitati durante il mio viaggio lungo le labbra del Mediterraneo.

Ero ai primi di maggio a Montecarlo e si parlava di cultura mediterranea, specificamente del mare. E’ venuto il principe Ranieri e ho avuto l’istinto di "dire la verità" ad un potente. D’altra parte, sono due anni, da quando presiedo il Laboratorio Mediterraneo, che ormai ho perso la cognizione del "potente". La "verità" dello sforzo compiuto fino ad oggi - con notevole personale impegno - a favore della pace e della solidarietà tra i popoli mediterranei, mi ha dato la libertà necessaria per dire a Ranieri di Monaco che lui sarà condannato dalla storia per aver ceduto un pezzo di cultura e di Mediterraneo ai mercati ed ai mercanti, per non aver investito un minimo del suo patrimonio a favore della cultura e della solidarietà. Solo così sarebbe potuto passare alla storia.

Io ho sempre la speranza che allo sbigottimento del momento possa seguire uno scuotimento delle coscienze: auspico che ciò possa accadere anche al principe Ranieri di Monaco.

L’ultimo ricordo, con il quale concludo, è di pochi giorni fa al Salone del Libro di Torino. C’è stata una grandissima polemica perché il Salone del Libro è stato accusato di ospitare una specie di "Festa dell’Unità", ovvero di accogliere solamente intellettuali di sinistra. Ed è sorta a un certo punto una diatriba fra alcuni intellettuali, il Sindaco, il Presidente della Regione - perché a Torino, come a Napoli, il Sindaco è di sinistra e il Presidente della Regione è di destra -, riguardo al fatto che l’intellettuale è sempre di sinistra. E allora ho preso sommessamente la parola e ho detto che per chi come noi naviga a vista sul Mediterraneo, i punti di riferimento non sono solo la destra e la sinistra, ma il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest, come sulle antiche rotte. Lo sguardo allora si rivolge necessariamente alle stelle, ma si corregge con le bussole moderne e perfezionate. Ma se la bussola sul Mediterraneo si è definitivamente rotta, allora il nostro sguardo deve lasciarsi guidare dalle stelle: quelle della pace, della solidarietà, dell’impegno, della competenza attiva e della cooperazione fra i popoli.

Sulla scia di questo ultimo episodio vorrei esortare appunto tutti gli intellettuali dell’Europa e del Mediterraneo, a ricercare un nuovo rapporto con i potenti, a lasciarsi guidare non più dalla destra e dalla sinistra ma dalle nuove coordinate "astrali" che ho sopra definito.

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