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Mediterraneo: proposte per una visione del futuro

di Michele Capasso
Presidente, Fondazione Laboratorio Mediterraneo


Cosenza, 13 maggio 2005

Inizio questo intervento partendo dall’ultima parola.
1. FUTURO.
Non è possibile pensare e, ancor più, progettare il futuro senza ancorarsi al passato e ricordare e valutare le esperienze fatte. Da qui l’importanza delle “testimonianze” e della “verità”, che costituiscono le uniche fondamenta per proposte future.
L’Europa si è sempre alimentata nel Mediterraneo: al di là dei miti, anche nei secoli bui dell’Alto Medioevo, per il quale lo storico belga Henri Perenne formulò la tesi provocatoria del ripiegamento dell’Europa in sé e del suo arroccamento in Aquisgrana, a fronte del dilagare dell’Islàm. Ricerche successive che la nostra Fondazione ha controllato dimostrano che, in effetti, in quel periodo, gli scambi commerciali non cessarono mai, anzi aumentarono.
Da questo esempio è chiaro che l’Europa e il Mediterraneo sono destinati a costituire un insieme unico, un grande spazio che dovrà condurre alla creazione di un’area di libero scambio e di sviluppo condiviso.
Desidero, quindi, testimoniare oggi l’esperienza di 11 anni della Fondazione Laboratorio Mediterraneo – Maison de la Méditerranée, nata per iniziativa di intellettuali, uomini e donne di cultura e di scienza, inizialmente come risposta alla tragedia della guerra in ex Jugoslavia.
Dal 1994 abbiamo stimolato e accompagnato l’Unione europea nel Processo di Partenariato euro-mediterraneo: un esercizio diplomatico complesso – nulla a che vedere con le politiche di “governance” proprie dell’UE – che oggi compie dieci anni e richiede profondi cambiamenti e nuovo impulso.
Lo abbiamo fatto dando voce e dignità alla Società civile, creando Forum di dibattito e discussione ampi, al fine di individuare un luogo fisico rappresentativo di Stati, Regioni, Città, Università, Accademie, Istituti di cultura e di ricerca, Organismi vari: la Maison de la Méditerranée. Un sogno da alcuni anni divenuto realtà con sede centrale qui a Napoli e sedi in molti Paesi euromediterranei, come potete vedere nella documentazione predisposta.

2. VISIONE.
Quella che sembrava essere una utopia, far sottoscrivere lo stesso documento costitutivo ad oltre 500 istituzioni, tra le quali Stati in lotta tra loro (quali Palestina, Israele, Siria) per dare legittimità e rappresentatività a questa istituzione si è tradotta in realtà. Al tempo stesso, dopo l’11 settembre, l’Unione europea ha compreso che la nostra iniziale “visione” del 1994, di promuovere anzitutto il dialogo tra le società e le culture per produrre “conoscenza” e quindi “ confidenza” tra i Popoli. Attraverso di esse, arrivare ad un sviluppo economico condiviso, sicurezza e pace. Questo era il percorso giusto e che l’aver anteposto una “sicurezza militare” come garanzia di sviluppo e dialogo, era da ritenersi un errore.
Ecco, quindi, che durante la Conferenza Euromediterranea di Valencia del 2002 nasce l’idea di creare 2 organismi dei 35 Paesi in grado di accelerare questo processo: la Fondazione euromediteranea per il dialogo tra le culture e la Piattaforma Non governativa per i Forum Civili Euromed.
Anche per queste 2 nascenti istituzioni abbiamo voluto assicurare all’ Unione europea il nostro pieno sostegno organizzando 3 importanti Forum della Società civile, tra i quali quello del 2003 svoltosi a Napoli ha gettato le basi di questo percorso, ed offrendo Napoli come sede della Fondazione euromediterranea con ampie motivazioni condivise dai Parlamenti euromediterranei e da altri organismi internazionali.
Essere stati testimoni ed attori principali del processo di partenariato euromediterraneo nell’ultimo decennio ci obbliga a denunciarne i limiti, le retoriche, le difficoltà e, al tempo stesso, a confermare le potenzialità.
Un grande ostacolo al processo è stata proprio la mancanza di una “visione”. Il dialogo, lo sviluppo economico condiviso e la pace non costituiscono – specialmente nel Mediterraneo – un semplice affare burocratico o politico, ma una “visione”, un “nuovo senso di vita” al quale tutti dovremmo riferirci quotidianamente. Nell’immaginario collettivo e nelle politiche europee troppo spesso il Mediterraneo viene considerato uno spazio a geometria variabile: da includere e allo stesso tempo da escludere, in funzione delle contingenze politiche.
Oggi ci troviamo in uno scenario politico molto diverso da 10 anni fa: allora gli accordi di Oslo, i rapporti costruttivi tra Israele e Palestina, un maggiore dialogo ed una maggiore comprensione tra Occidente e Mondo islamico, il controllo dei fenomeni migratori ed un iniziale entusiasmo lasciava ben sperare.: l’11 settembre, le tensioni culturali e religiose, la nuova intifada, l’allargamento dell’UE ed altre minacce richiedono una rivisitazione del Progetto di Barcellona e, in generale, del dialogo euro-mediterraneo.
Che fare?
Lo strumento principale per assicurare pace e sviluppo nell’area euromediterranea è il dialogo tra le società e le culture: per questo occorre un’azione forte e decisa, perché rivolta al futuro è fondata sulla speranza che i popoli del Mediterraneo possano acquisire una pace duratura; lavorare per la ricostruzione economica, sociale e politica dei loro Paesi, nei limiti delle frontiere oggi riconosciute; vivere le loro differenze in perfetta armonia e con uno spirito di tolleranza, dialogo e libertà.
L’approccio originale portato avanti dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo sin dal 1994 - in accordo con i principi affermati dal Consiglio d’Europa e, poi, dall’Unione europea nel Processo di Barcellona - è stato quello di promuovere il processo d’integrazione euromediterranea utilizzando la scienza e la cultura.
E’ un approccio originale e realista, perché sono fermamente convinto che, nello spazio euromediterraneo come altrove, il dialogo e la mediazione devono comunque prevalere sulle soluzioni militari.
Questa è una sfida politica, economica, sociale e culturale che coinvolge tutti noi.
L’interdipendenza tra cittadini, società e spazi è ormai la norma e le mutazioni scientifiche e tecnologiche, la globalizzazione economica e finanziaria, la circolazione immediata dell’informazione conducono l’umanità intera verso un futuro di omologazione. Ciò non significa affatto verso un destino comune, anzi: le ineguaglianze e le povertà che si aggravano nel mondo ne sono la prova. Come costituiscono prova il rischio di egemonia di qualche potenza su decisioni che coinvolgono l’avvenire del nostro pianeta – e gli avvenimenti di questi giorni lo dimostrano - oppure il blocco dell’informazione operato verso le fasce più deboli e meno abbienti.
Un altro rischio è la sottomissione delle economie locali a strategie industriali che hanno poche relazioni con i bisogni reali di quel paese o i monopoli di attori specifici – privati o pubblici – sulla costruzione e diffusione di modelli standardizzati di comportamento, di consumo, di pensiero, di creatività e, quindi, di esistenza.
Quando gli scambi internazionali si diffondono e si ingigantiscono gli Stati, ma specialmente i cittadini, hanno la sensazione di vedersi sottrarre la gestione del proprio mondo e si sentono imporre una "monocultura". Di fronte a questa perdita d’identità, specialmente nel Mediterraneo, grande è la tentazione di rifugiarsi in se stessi, di cristallizzarsi su valori arcaici radicati nel passato, in un clima di intolleranza che spesso conduce al fanatismo, all’odio, al rigetto dell’Altro.
Se vogliamo evitare che la guerra fredda di ieri si trasformi oggi in un suicidio culturale, agevolato da massicci movimenti migratori internazionali, occorre – nel senso più ampio del termine –democratizzare la mondializzazione prima che la mondializzazione snaturi la democrazia.
Ciò significa promuovere, in maniera veloce ed efficace, il dialogo e la cooperazione tra spazi potenzialmente generatori di conflitti, qual è lo spazio euromediterraneo.
Sono convinto che le grandi aree culturali e linguistiche – di cui il Mediterraneo è antico custode - costituiscono oggi spazi privilegiati di solidarietà che, se rafforzati dal dialogo e dalla cooperazione, sono la migliore garanzia per la democrazia, la pace e lo sviluppo condiviso.
Il dialogo tra le culture è oggi più che mai indispensabile non solo nel Mediterraneo ma come progetto di scala planetaria: un progetto di società in cui le culture si completano senza escludersi, si rinforzano senza scomparire, si accorpano senza perdere ciascuna la propria identità.
Dobbiamo tutti concorrere alla costruzione di un mondo multipolare, rispettoso delle lingue, delle culture, delle tradizioni e di una gestione veramente democratica delle relazioni internazionali.
Ma tutto questo presuppone che la diversità culturale mondiale divenga una condizione preliminare per costruire un dialogo reale tra i popoli, che il riconoscimento della cultura come forza dominante non costituisca un’eccezione bensì il fondamento del nuovo processo di civilizzazione, che la cultura non si limiti solo alle arti e alla letteratura, ma che essa inglobi tutti gli aspetti della vita nella sua dimensione spirituale, istituzionale, materiale, intellettuale ed emotiva nei diversi tessuti sociali: in poche parole che la cultura – in un mondo aspro fatto di forze spesso in contrasto tra loro- possa assumere il ruolo di “forza buona” capace di incidere sui processi della storia.
Riconoscere che cultura e sviluppo sono indissociabili, senza limitarsi ad un semplice approccio commerciale ed economico della cultura, è essenziale per costruire il futuro, qui nel Mediterraneo come altrove.
La speranza forte è che tacciano, per sempre, le armi. La violenza deve cessare.
I popoli del Mediterraneo, all’alba di questo nuovo millennio, devono chiudere definitivamente con un passato tragico ed esaltare tutta la loro ricchezza ed il loro grande patrimonio, che hanno costituito e costituiscono un universale valore per tutta l’umanità.

3. PROPOSTE
I blocchi al processo di partenariato euro-mediterraneo sono essenzialmente:
• La mancanza di una politica estera dell’UE verso il Mediterraneo.
• Una burocrazia, sia a livello europeo che degli Stati membri, che di fatto annienta ogni sforzo e minimizza le azioni concrete (una nostra ricerca dimostra che solo il 7% resta in attività sul campo).
• La lentezza nei processi di democratizzazione nei Paesi della Riva Sud, spesso solo formali.
• Il riattivarsi di fondamentalismi in chiave antioccidentale.
• La mancata applicazione dei diritti umani di base (istruzione, sanità, giustizia, ecc.) in molti Paesi della Riva Sud.
• La disomogeneità delle ricchezze e delle risorse nell’intera Regione euromediterranea.
• La non corrispondenza tra identità politica e identità geografica, con l’esclusione della Libia e dei Balcani.
• Un disequilibrio tra Nord e Sud per effetto dei Nuovi Paesi UE.
• L’assenza di un’ipotesi più generale di dialogo euro-arabo.

Le principali proposte sono:
a) Impegnare i Paesi europei mediterranei – Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia – alla creazione di una politica dell’UE più forte per la Regione euro-mediterranea attraverso il rilancio del Processo di Barcellona e revisionando le politiche di vicinato che di fatto riducono le azioni orizzontali privilegiando quelle bilaterali.
b) Denunciare gli abusi di una burocrazia malata ed autoreferenziata che, spesso in malafede, di fatto annienta i risultati delle poche decisioni politiche riducendo gli strumenti creati a pure scatole che, alla fine, hanno il solo merito di esistere.
c) Attivare strumenti di coinvolgimento degli attori della Riva Sud e, più in generale, del Mondo Arabo.
d) Creare strumenti di una più radicata mutua conoscenza. In tale contesto si sottolinea che sono i Paesi europei a conoscere poco i Paesi arabi, mentre questi ultimi hanno una maggiore e più diffusa conoscenza dell’Europa.
e) Strutturare trasversalmente i 3 pilastri del Processo di Barcellona: in un sistema globale non è più possibile, come l’UE ha fatto finora, ragionare a compartimenti stagni. La politica, l’economia e la cultura costituiscono un unico intreccio: in una nostra recente ricerca abbiamo dimostrato che il dialogo tra le società e le culture nello spazio euromediterraneo avviene, per il 60%, attraverso gli scambi economici , tecnologici, scientifici.
f) Produrre azioni concrete a favore dei giovani, delle donne, dei diritti umani di base: ciò per ridurre le enormi differenze non solo “digitali” ma di istruzione di base tra la Riva Nord e la Riva Sud.
g) Impegnarsi per un utopia che è, giorno dopo giorno, sempre più indispensabile: essere capaci di trasformare una diffusa e sterile “identità dell’Essere” – da sempre associata all’ “Amore per il Potere” – in una indispensabile “identità del Fare”, da associare al “Potere dell’Amore”: per il dialogo, per lo sviluppo condiviso, per la giustizia sociale, per i diritti umani e per la pace nella regione euromediterranea.

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