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E’ L’ ORA DI HAMAS

di Michele Capasso
Presidente della Fondazione Mediterraneo



Il Movimento della resistenza islamica Hamas ha vinto le elezioni palestinesi del 26 gennaio battendo il partito di governo Al Fatah, al potere da più di quarant’anni.
La vittoria di Hamas, oltre a sollevare questioni a livello internazionale, ha portato a delle divisioni in seno allo stesso partito di Al Fatah: la maggioranza, come affermato prima delle elezioni, respinge ogni possibilità di creare una coalizione di governo, mentre una minoranza rappresentata da Marouan Barghouti (capolista nazionale di Al Fatah, attualmente imprigionato in Israele) si è espressa a favore.
In effetti, ancor prima delle elezioni, il movimento nazionalista si era già diviso sulla questione della condivisione delle responsabilità.
Mahmoud Abbas ha comunque confermato l’intenzione di portare avanti i piani di negoziazione per la risoluzione del conflitto con Israele.
Il leader nazionale di Hamas Ismail Haniyeh ha dichiarato : “Non ci sono vincitori né vinti, queste elezioni non sono che una tappa per la costruzione di un sistema politico palestinese”, affermando inoltre la sua intenzione di rinnovare sine die la tregua degli attacchi ad Israele “a condizione che Israele faccia lo stesso”.
Israele, dal canto suo, ha dichiarato che rifiuterà ogni trattativa.
Allah Akbar. Con queste parole, la maggioranza dei palestinesi ha accolto la vittoria inattesa di Hamas. Un ringraziamento ad Allah per aver consentito al popolo palestinese di intraprendere la via del riscatto e del rispetto della propria identità.
Credo utile richiamare alcuni concetti generali sulla Modernità, l’Occidente e l’Islàm necessari per meglio capire il nuovo scenario disegnato dalla vittoria di Hamas.

Le società musulmane nel Vicino e nel Lontano Oriente, incluso la Palestina, rispondono alla dinamica occidentale che prende il nome di globalizzazione con una reazione fondamentalmente ostile e non di rado violenta.
La riflessione occidentale pone in proposito la domanda sbagliata, espressa nel titolo d’un breve e importante saggio di Bernard Lewis What Went Wrong? Western Impact and Middle Eastern Response. Ciò che è «andato sbagliato» non va cercato nella storia ma nei termini del problema Islàm e modernità di cui è opportuno perciò rivedere il significato, soprattutto all’indomani della vittoria di un partito, Hamas, definito islamico, terrorista e armato e, per definizione, contrario all’Occidente ed alla modernità.
Islàm è un comune denominatore con cui rappresentare tutto il mondo musulmano nonostante la sua diversità: un concetto generico, in cui l’immaginario storico occidentale, sviluppatosi per diversi secoli, fa confluire molti inconsci sottintesi. Con esso raffiguriamo una società in cui lo Stato è autoritario e la vita civile è regolata dalle norme religiose dettate dal Corano. Ma anche la modernità è un comune denominatore, indice d’una società fondata sul diritto umano e non divino, sull’eguaglianza giuridica e l’eguale accessibilità a posizioni di rappresentanza politica. Come Islam è la raffigurazione statica d’una realtà differenziata e dinamica, così modernità è l’astrazione statica di realtà diversificate e in divenire. La modernità perciò non s’identifica con l’Occidente né con l’Europa di oggi. È un progetto di società, sorto in Europa all’epoca dell’Illuminismo e sviluppatosi durante il Positivismo, ed i suoi princípi basilari sono indispensabili per la complessità della vita moderna, inadattabile alle strutture che erano idonee ai modi di vivere passati; tuttavia se il mondo dell’ Islàm deve affrontare i problemi dovuti alla mancanza di modernità intesa come affermazione del diritto individuale e della democrazia, l’ Occidente soffre per l’eccesso di modernità: velocità, razionalità, assenza di solidarietà, anomia dei contesti collettivi sono i nuovi problemi di una società che si definisce post-moderna.
Il problema di Islàm e modernità non è dunque l’opposizione di due antagonisti ma un problema a tre termini, l’Islàm, l’Occidente e la modernità: due realtà storiche e un’area critica comune; una problematicità dove ognuno vede nell’ occhio dell’ altro l’ espressione della propria mancanza; un universo condiviso dove le logiche del grande capitale mondiale rendono l’ occidente europeo e il Mediterraneo sempre più periferici ai luoghi di governo.
La questione, che posta in due termini contrapposti porta a una politica d’opposizione tra Israele e Palestina, a tre termini non pone Islàm e Occidente in contrasto ma richiede una politica di solidarietà per muovere insieme in un’evoluzione parallela e concorde verso uno stesso fine, anche se diverso è il punto di partenza e diverse sono le distanze dal termine e gli obiettivi.
Nel caso specifico di attualità, e cioè la guida al Governo palestinese del gruppo – considerato terroristico – di Hamas, richiede da parte di tutti gli attori sulla scena uno sforzo per una collaborazione necessaria non solo nell’interesse della Palestina e dell’Islàm – auspicato da Hamas - ma anche in quello dell’Occidente poiché l’Occidente in questo processo non avanza rettilineo ma ha i suoi arresti ed arretramenti.
Il Mediterraneo, l’Europa e l’Islàm, così come gli Israeliani e i Palestinesi, hanno un interesse vitale a seguire un altro cammino da quello a cui spingono la crociata statunitense e la risposta fondamentalista islamica che, fino ad oggi, ha avuto Hamas tra i protagonisti.
La via della collaborazione ed intesa è la sola necessaria per entrambe.
Su questo scenario Hamas dovrà dimostrare il proprio volto moderato e sforzarsi per compiere lo stesso “mutamento” che operò Arafat anni fa: proprio in virtù della responsabilità assegnatale dal popolo palestinese, Hamas dovrà perseguire una politica di collaborazione e solidarietà.
Noi “europei” ed “occidentali” non dobbiamo mai dimenticare che la civiltà europea ha verso l’Islam un grande debito poiché l’Europa occidentale ha dovuto il suo risveglio in gran parte alla civiltà islamica. È giunto il momento di pagare quel debito e sarebbe un grave errore non aiutare Hamas nel suo percorso difficile.
Ma molti, purtroppo, non sono su questa strada.
La modernità e la democrazia sono spesso offerte all’Islàm in forme che non promuovono la parità bensì attraverso strutture che devono esprimerne la sottomissione. In questo modo esse si erodono anche in Europa.
Il destino della Palestina, di Israele, dell’Islam e dell’Europa sono più legati di quanto non si creda.
Queste considerazioni sono state e sono alla base dell’intenso lavoro che la FONDAZIONE MEDITERRANEO porta avanti ormai da dodici anni spesso anticipando gli accadimenti attraverso un lavoro di analisi e di studio.
La Palestina di Hamas e Israele del dopo-Sharon devono costituire un laboratorio attraverso cui dar vita ad una Coalizione di valori e d’interessi condivisi tra due Popoli e due Stati condannati dalla storia e dalla geografia ad essere “siamesi”.
Con questa convinzione, la Coalizione dovrà agire sul terreno dei fatti sviluppando modelli e programmi di crescita morale e materiale basati sulla pari dignità e il rispetto reciproco di identità originarie diverse, portatrici di principi e valori autonomamente prescelti e definiti, ma aperte allo scambio e al confronto.
L’Occidente – l’Europa, la Russia, gli Stati Uniti, le Nazioni Unite, i quartetti, i quintetti e tutte le alchimie di una politica scialba – devono avere la forza di unirsi e parlare con voce unica rispettando la scelta democratica del popolo palestinese.
Oggi è l’ora di Hamas. Se i parlamentari appartenenti a tale partito definito “Islamico e armato” saranno in grado di esprimere un governo capace di agire nel rispetto delle leggi e del diritto, tutti noi dobbiamo agevolare la loro azione e non assumere posizioni di opposizione preconcetta.
Hamas, come un tempo l’OLP di Arafat, prevede nel suo statuto la distruzione di Israele. E lo stato ebraico, come allora, esclude di poter trattare con un governo che persegue tale obiettivo e che negli ultimi anni ha rivendicato circa sessanta attentati terroristici che hanno causato centinaia di vittime innocenti. Guai a strumentalizzare questo “status” influenzando le prossime elezioni israeliane.
Le parti dovrebbero fare un passo indietro e guardare al futuro, non al passato.
Pensando in “positivo” credo che l’ora di Hamas possa essere l’ora della svolta. Il partito islamico, palla al piede di Al Fatah e di Arafat, con la nuova responsabilità di governo non ha più alibi e dovrà assumere decisioni di portata storica nei confronti dei suoi elettori e della comunità internazionale.
La speranza, per noi costruttori di pace, è che l’ora di Hamas possa precludere alla fine del tunnel e trasformarsi nell’ora del dialogo e della pace.
La coincidenza di queste riflessioni con la “Giornata della memoria” deve obbligare tutti noi ad abbandonare il chiacchiericcio e ad agire.

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