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IL DENARO
15/09/2007



Arfé: quando la semplicità passa alla storia
di Michele Capasso*

La scomparsa di Gaetano Arfé richiama ricordi legati alla mia giovinezza che ritengo giusto testimoniare per avvalorare, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la figura di un uomo semplice che ha lasciato un segno indelebile nella storia del socialismo e del nostro Paese.
“Arfé, una vita nel segno del socialismo” è il titolo con cui il presidente Napolitano ha ricordato ieri su “Il Mattino” l’amico ed il compagno di una vita, sottolineando la condivisione di comuni valori morali e sociali, nonostante ogni distinzione e diversità di posizioni.
Con un analogo titolo — “Capasso, una vita nel segno del socialismo” — diciassette anni fa Francesco De Martino commemorò, sullo stesso giornale, la prematura scomparsa di mio padre Raffaele, sindaco, per quasi 40 anni, di San Sebastiano al Vesuvio, definendolo “vero socialista dalla grande umanità”.
Non solo due titoli analoghi, ma radici comuni ed una profonda amicizia legarono mio padre ed il sottoscritto a Gaetano Arfé, che fu candidato più volte negli anni ’70 al Senato della Repubblica proprio nel collegio Napoli VI, con il suo centro operativo nel Comune di San Sebastiano al Vesuvio.
Il suo avversario in più tornate elettorali fu Gerardo Chiaromonte. Gli incontri - e le successive cene - a casa mia, in quel periodo, avevano spesso come ospiti Gaetano, Gerardo ed un sarto di nome Ernesto, che aveva un basso nei vicoli a monte di Piazza Trieste e Trento.
Il quartetto — Gaetano, Gerardo, il sarto Ernesto e mio padre Raffaele — anziché parlare delle elezioni ed alimentare una sana competizione, amava ricordare i tempi passati. Come quello delle elezioni politiche del 1946 per il referendum istituzionale e l’Assemblea Costituente.
Arfé ricordava il ruolo di Napoli quale “prima linea” nella battaglia per la Repubblica, per il proliferare dei movimenti qualunquistici e monarchici che preannunciavano ritorsioni ed attentati ed il verificarsi di situazioni incandescenti con minacce, aggressioni e ferimenti come quelli capitati al Vomero ai socialisti Antonio Guida e Ferdinando Cilia.
Mio padre ricordava agli amici: “Dormivamo nel basso di Ernesto ed io ero coccolato da voi compagni perché portavo le uova e le soppressate” e continuava sottolineando con orgoglio l’attività di vigilanza democratica e l’azione per contrastare gli avversari in occasioni quali lo scoppio dei moti di Via Medina: “Nel 1946 Lelio Porzio venne a sapere che per i referendum quelli avrebbero fatto cose ‘e pazzi e quindi andavano controllati e contrastati”.
Gaetano Arfé sottolineava come i moti di Via Medina fossero stati la risposta violenta che i monarchici avevano preparato per condizionare lo svolgimento delle elezioni per il referendum istituzionale ed il ruolo essenziale di Sandro Pertini che capeggiava la lista del partito socialista a Napoli, coadiuvato da mio padre Raffele, da Lelio Porzio e da altri esponenti del socialismo napoletano. E poi ricordava episodi della propria vita, come quando si arruolò volontario con i partigiani della Valtellina.
Il discorso continuava con riflessioni sulla scissione di Palazzo Barberini del 1947, sul ruolo di Saragat e Nenni e, successivamente, di Francesco De Martino, con il quale lo stesso Arfé ebbe un lungo sodalizio.
Una sera Gaetano, dopo cena, ascoltava con grande attenzione mia madre che gli raccontava i sacrifici fatti per aiutare due zii, gravemente malati, di Somma Vesuviana - compaesani dei genitori di Arfé, Raffaele e Maddalena Maffezzoli - e si divertiva molto ascoltando i miei racconti sulle relazioni sociali della mia famiglia.
“Sin dagli anni ’50 - gli dicevo - queste relazioni consistevano essenzialmente in una complessa attività di aiuto, assistenza e sostegno morale a molte famiglie, per lo più contadine, bisognose di essere risollevate dai disagi dovuti alla distruzione del paese”.
E mio padre concludeva questi racconti sottolineando come la gestione di una famiglia così allargata - che comprendeva tutti gli abitanti di San Sebastiano al Vesuvio - non fosse una cosa semplice; ricordava a Gaetano, con molta freschezza, i simpaticissimi baratti, di sapore quasi tribale, che avvenivano durante le festività natalizie e pasquali ed alle ricorrenze degli onomastici: all’inizio era una vera e propria invasione di polli, capretti, verdure, scarole, finocchi, vino, uova, frutta e quanto altro la terra produce. “Ma tutta questa merce - sottolineava con orgoglio mio padre - era solo di passaggio per casa nostra, pronta ad essere trasferita ai cittadini più bisognosi che si vedevano così, proporzionalmente al loro bisogno, recapitare derrate alimentari o capi di abbigliamento essenziali per la loro sussistenza.”
Altri tempi, lontani anni luce dallo squallore e dalla sterilità etica che caratterizzano la politica di questi ultimi anni, allontanandola dalla gente. La levatura morale ed etica di uomini come Gaetano Arfé dava, allora, proprio alla politica, una dignità alta ed un rispetto che oggi sembrano sepolti per sempre. Ho voluto affiancare ai tanti riconoscimenti sullo studioso, sullo storico e sull’europeista, questo modesto ricordo personale su un uomo sensibile, colto, curioso del mondo, ma attento alle piccole testimonianze di un’Italia minima che, come lui stesso affermava, costituiscono i pilastri portanti della storia. In queste ore è stato ricordato il desiderio di Gaetano Arfé di donare parte della sua biblioteca ai giovani napoletani: la Fondazione Mediterraneo potrebbe immediatamente ospitare questi libri dedicando ad Arfé un’apposita sezione della Biblioteca del Mediterraneo.
Oltre al riconoscimento, sarebbe questo un contributo concreto per ricordare la sua figura.

*presidente Fondazione Mediterraneo



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