“IL MATTINO”

 

28 giugno 2002

 

 

 

Mostar anno zero

 

Ieri è stata posta la prima pietra per ricostruire il ponte che venne distrutto dalla guerra nel 1993. Lo scrittore croato ricorda storia e valore simbolico del “Vecchio”, eretto nel 1566, sotto l’Impero Ottomano.

 

 

di Predrag Matvejevic’

 

Ieri sono stato a Trieste, dove l’università ha voluto assegnarmi la laurea honoris causa, la prima data a uno slavo dopo la guerra. Ma una parte di me era a Mostar, mia città-madre, terra natale troppo a lungo straziata. Ero a Mostar proprio come il presidente Ciampi, che per uno di quegli incroci di strade preparati dal destino ho incontrato pochi giorni fa, guarda caso a Trieste. Lì abbiamo parlato di Mostar, e io gli avevo detto che tra esilio e asilo ho continuato a portarmi dentro la ferita del giorno della distruzione del ponte.

Avvenne il 9 novembre 1993. brutto presagio: quando muore la bellezza, e si ferisce un simbolo antico di civiltà, si preparano tante altre morti, e nel 1993 fu così. Ma ieri, a Mostar, è nato un buon presagio. Si è fatto strada un segno di pace e di speranza. Ieri, alla presenza del presidente Ciampi, è stata posta la prima pietra per ricostruire il Vecchio Ponte. Quello che ha dato nome alla città, che nella nostra lingua vuol dire “guardiano del ponte”.

Quando venne giù, io rimasi attonito, come tramortito. Non avrei mai creduto che qualcuno avrebbe osato alzare la mano contro il Vecchi Ponte della mia città natale. Fino al 1993 erano già sette i ponti andati in frantumi a Mostar e dintorni, ma il più vecchio resisteva sempre. E io ero certo che, nonostante tutto, sarebbe rimasto in piedi, a far da guardia ai valori e alla storia di tutti noi.

Ero stato un ingenuo. Ma adesso voglio raccogliere il segno di speranza che viene da Mostar. Anche se non so se si potrà mai eguagliare la bellezza del Vecchi Ponte, l’audacia della sua architettura, il bianco della pietra tagliata per il suo arco. Fu costruito sotto l’Impero Ottomano, nel 1566 secondo il calendario cristiano, da un architetto di nome Hairuddin. Era il tempo di Solimano il Magnifico.

In città lo chiamavano semplicemente “il Vecchio”, come si fa con un amico o con un padre o un nonno: ci si dava appuntamento sul “Vecchio”, ci si bagnava sotto al “Vecchio”, i più temerari di noi si tuffavano dalla sua cima, giù nella Neretva, “il fiume più verde del mondo”. Ci sembrava il più limpido di tutti i fiumi. Le sue rive sono contornate da scogli alti e piatti, ai quali gli abitanti davano il nome  di “grotte”: la Verde, alla quale si abbarbicano il fico selvatico e la rosa canina, la Profonda, che nasconde un gorgo pericoloso detto “il Coperchio”, il grande e il piccolo Sparviero accanto all’imboccatura di un modesto affluente, il Capo, che assomiglia a un molo di un piccolo porto dell’Adriatico, il Duradzik (balcone o piattaforma in turco) dal quale i ragazzi si esercitavano prima di osare “il tuffo dalla cima del Vecchio”. I gabbiani che arrivavano dal mare vicino si posavano su quelle rocce, come sul ponte.

Là è ancora Mediterraneo. Là abbiamo vissuto per molto tempo in buona intesa, nonostante le nostre differenze. Oriente e Occidente si erano dati la mano a Mostar, sia nel modo di vivere che nell’architettura.

Nella storia delle barbarie i distruttori delle città e di monumenti occupano il posto più vergognoso. Il vecchio ponte era più di un monumento per la città. La sua presenza era tanto simbolica che reale. Le peggiori invasioni, perfino i terremoti l’avevano risparmiato. I “serbi” hanno cominciato a bombardare Mostar. I “croati” hanno continuato.

Quando un ponte crolla, per lo più ne resta, da una parte o dall’altra, una sorta di moncherino. Il Vecchio invece sprofondò tutto intero, trascinando con sé parte di roccia e anche un po’ della terra di Erzegovina. Poco importa chi abbia aperto per primo il conflitto, chi abbia causato più danni o morti in tutta la ex Jugoslavia: la colpevolezza degli uni non potrebbe giustificare gli altri.

Da ieri, però, quel passato terribile si è allontanato un po’ di più. E voglio ringraziare il presidente Ciampi per esser stato nella mia città, nel giorno della speranza. Mi auguro di rivederlo presto, magari nella Maison de la Méditerranée che abbiamo fondato a Napoli, dove c’è una stanza intitolata a Mostar, come auspicio di pace.