10 marzo 2005
di Danilo Zolo
Il
presidente del Consiglio, nelle sue dichiarazioni al Senato, ha esaltato
l’amicizia “forte e leale” che stringe il governo italiano all’amministrazione
degli Stati Uniti. E si è dichiarato certo che la Commissione di Inchiesta che
verrà nominata per fare luce sull’assassinio di Nicola Calipari e il tentato
assassinio di Giuliana Sgrena opererà all’insegna della massima collaborazione.
Gli italiani – un diplomatico e un ufficiale di alto grado, entrambi ovviamente
designati dal Governo – lavoreranno in stretta collaborazione con i
rappresentanti delle forze multilaterali che occupano l’Iraq, sotto la
direzione del Generale statunitense Peter Vangjel.
La partecipazione dell’Italia
all’inchiesta è presentata dal governo come una prova del grande rispetto che
gli Stati Uniti portano per l’alleato italiano. E sarebbe evidente la volontà
degli Stati Uniti di condurre un’indagine imparziale sui fatti, come, si
sostiene, è stato chiesto con grande dignità ed energia dal ministro degli
esteri italiano. Dunque, l’intera vicenda finisce gloriosamente e il governo
italiano incassa i sui crediti internazionali che spenderà per comprare i voti
degli italiani alle prossime scadenze elettorali. La riparazione al “tragico
incidente” c’è stata. Il caso è politicamente chiuso.
O quasi…
Il “quasi” separa il cinismo di
un governo servile da una riflessione minimamente realistica che collochi la
vicenda della tragica liberazione di Giuliana Sgrena nel contesto
dell’occupazione armata dell’Iraq e della logica della “guerra globale”: una
guerra che gli Stati Uniti stanno conducendo da oltre un decennio per
l’affermazione della loro egemonia planetaria fondata sull’uso sistematico dei
più micidiali strumenti di distruzione di massa. La commissione mista – se vale
l’esperienza di tutte le precedenti commissioni militari nominate per casi
analoghi – non avrà alcun effettivo potere di indagine e di valutazione
giudiziaria dei fatti e delle responsabilità. E si guarderà bene dal porre
anche le più generiche premesse perché i militari responsabili dell’assassinio
vengano successivamente incriminati da una corte marziale americana. E’ noto a
tutti che i vertici militari degli Stati Uniti proteggono fermamente i loro
soldati in guerra e che mai – nel corso della loro intera storia – essi hanno
consentito che un loro soldato venisse processato da parte di una corte
straniera. Del resto è all’insegna di questo privilegio imperiale che
l’amministrazione Bush ha scatenato la sua devastante offensiva contro la Corte
penale internazionale dell’Aja, finendo per neutralizzarne la stessa
giurisdizione.
La “commissione mista” si
limiterà al più a mettere a confronto il comportamento della pattuglia che ha
crivellato di proiettili l’auto degli italiani, con le “regole di ingaggio” che
ne avrebbero dovuto disciplinare il comportamento. Ma in che cosa consistono
queste regole di ingaggio? Sono regole che hanno sinora consentito alle truppe
di occupazione statunitensi di violare sistematicamente tutte le norme
internazionali che, dalle Conferenze dell’Aja alle Convenzioni di Ginevra del
1949, impongono agli occupanti di garantire se non la dignità, almeno
l’integrità della popolazione civile sottoposta ad occupazione.
Si pensi non solo agli orrori di
Abu Ghraib, ma all’uso sistematico di bombardamenti a tappeto sulle città
irachene resistenti all’invasione nemica. E non si dimentichino i bombardamenti
terroristici di Falluja, che qualcuno ha accostato a quelli di Dresda, Hiroshima
e Nagasaki: sembra ormai provato che a Falluja siano stati usati contro la
popolazione civile persino bombe al fosforo, capaci di ridurre i corpi umani a
tizzoni, moltiplicando l’effetto terroristico delle devastazioni e delle
stragi.
Se le “regole di ingaggio” dei
militari statunitensi in Iraq consentono tutto questo, si tratta di regole di
ingaggio che non è esagerato definire terroristiche. E dunque la partecipazione
del governo italiano ad una commissione militare “mista” per giudicare – in
realtà, come è facile prevedere, per giustificare – dei soldati statunitensi le
cui regole di ingaggio consentono operazioni terroristiche è un atto di
complicità, non una dimostrazione di forza e di prestigio internazionale.