NAPOLI PIU’

13 febbraio 2005

 

 

Mediterraneo, dall’ulivo al mandorlo

 

di Diego Disonoro

 

In occasione dell’incontro di giovedì scorso sul dialogo tra Europa e Islam nel Mediterraneo, abbiamo incontrato Pedrag Matvejevic’, presidente del Comitato Scientifico Internazionale della Maison de la Méditerranée e autore del libro “Breviario Mediterraneo”. Traendo spunto da questo volume, abbiamo posto alcune domande al professore di Mostar.

 Nel suo libro leggiamo: “E’ possibile, indipendentemente dal luogo di nascita, diventare mediterranei. La mediterraneità non si eredita ma si consegue”. Crede che bisogna imparare ad essere mediterranei? In che modo si può conseguire questa dimensione?

“Direi che non tutti quelli che abitano sulle sponde del Mediterraneo si possano definire mediterranei; ci sono quelli che sanno apprezzare, sentire questo mare vicino, vedere i suoi valori, i suoi colori, sentire i suoi profumi e poi ci sono quelli che rimangono sempre barbari. Questa differenza fra barbari e mediterranei, cioè coloro che hanno accolto e accettato la cultura mediterranea, è sempre esistita ed esiste tuttora. Ci sono posti nel nostro mare in cui proprio sulla costa il territorio non accetta il mare e invece ci sono altri posti in cui l’irradiazione, l’influsso mediterraneo va oltre e abbraccia una grande parte di entroterra. Di questi temi ho già parlato nella prima edizione ma adesso, nell’ultima, ci sono alcune integrazioni proprio per dare una risposta a questa domanda che lei mi fa ho cercato di allargare le prospettive e far vedere il Mediterraneo attraverso altri dati, come il glossario e le carte geografiche, trasposizioni dell’immaginario dei cartografi…”.

A tale proposito lei sottolinea che la geografia del Mediterraneo non è data dai confini territoriali….

“Assolutamente, come anche la storia nel Mediterraneo. Ci si è sempre chiesti e scontrati su dove cade la frontiera del mare nostrum. Forse le uniche vere frontiere sono quelle a cui pensavano i vecchi saggi quando dicevano che il mediterraneo arriva fin dove nasce l’olivo, fin dove nasce il fico, fin dove nasce la palma, e probabilmente potremmo aggiungere ancora due piante, il melograno e il mandorlo. Queste sono le vere frontiere del Mediterraneo”.

Lei afferma che le sponde del Mediterraneo hanno affrontato con ritardo la modernità. Ci troviamo ancora molto in ritardo rispetto alla modernità europea?

“Il Mediterraneo è stato per secoli il centro del mondo, qui è nata la consapevolezza che ha fatto sorgere la storia con i primi storici greci ma purtroppo questo mare, essendo così pieno di storia, è diventato vittima dello storicismo, da patria dei miti è diventato patria delle mitologie e nel momento in cui si aprivano nuove vie e altri centri verso il nuovo mondo, il Mediterraneo continuava cullarsi nella sua idea di centralità, e dopo il Rinascimento non ha seguito la storia del mondo, non ha seguito i lumi, l’idea di laicità. Anche adesso una parte del Mediterraneo ne soffre, non solo quella islamica ma anche la nostra, quella dell’Europa del sud. Siamo diventati quindi vittime di una falsa rappresentazione, che non ci ha fatto capire in tempo che nel mondo si stava creando una multicentralità dopo le grandi scoperte, e che ci ha fatto rimanere indietro rispetto a molti processi di civilizzazioni. Dobbiamo superare questo ritardo per andare avanti.”

Adesso il partenariato euromediterraneo del 1995 nacque anche per riequilibrare verso il sud le relazioni che l’Unione Europea sviluppava con i Paesi dell’Est. Adesso, con l’allagamento, quali sono le concrete possibilità che l’Europa “offre” alla sponda sud?

“L’Unione europea ha una politica continentale, non guarda al Mediterraneo. Non dimentichiamo che le più grandi istituzioni si trovano al Nord: Strasburgo, Lussemburgo, Bruxelles, Francoforte. Perché le città del sud che hanno una grande storia, strati di storia, come Atene, Roma, Venezia, Genova, Napoli, Barcellona, non ha avuto una piccola parte e una fetta di questo? Nello stesso momento in cui si allarga l’Unione europea, aprendo le frontiere ad altri dieci Paesi dell’Europa dell’Est, si scava un fossato tra l’Europa Continentale e l’Europa Mediterranea. Un grande pericolo per l’Europa. In questo contesto opera la nostra Fondazione, che ha compiuto 10 anni. Eravamo agli inizi solo Michele Capasso, Caterina Arcidiacono (rispettivamente presidente e vicepresidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, ndr) e io. La nostra prima iniziativa riguardò la guerra nei Balcani, sono andato in Bosnia a testimoniare, abbiamo pubblicato libri, abbiamo premiato scrittori bosniaci, li abbiamo accolti qui, abbiamo così portato avanti un’attività che era al di sopra dei mezzi che avevamo in possesso. Ad oggi abbiamo moltissimi convegni, creato una banca dati enorme e come vede in questa casa (indica i quadri alle pareti, ndr) ci sono opere di pittori marocchini, algerini, greci, palestinesi, israeliani e via dicendo. Tuttavia siamo stati insufficientemente aiutati. Io, come consulente del Gruppo di Saggi nominato da romano Prodi alla Commissione europea, ho lottato tantissimo perché l’Italia, e soprattutto Napoli, ospitasse la nuova fondazione euromediterranea (Fondazione Anna Lindh, ndr). Abbiamo molto lavorato per due anni e abbiamo prodotto un rapporto sulla situazione del Mediterraneo. Purtroppo, anche a causa di un’esitazione e di un ritardo da parte delle istituzioni delle autorità italiane, ha vinto la proposta della costruzione della casa ad Alessandria d’Egitto. Questa città è un grande mito, con la sua grande biblioteca e siamo tutti d’accordo con questo. Ma a parte ciò Alessandria è una città marginalizzata e provincializzata nel complesso egiziano. E’ necessaria per una fondazione euromediterranea una dialettica nei rapporti con le università, con le culture vicine, e tutto questo non mi sembra possibile ad Alessandria. L’Italia sarebbe stato il Paese ideale, circondato da tutte le parti dai venti e dalle acque mediterranee. Quando sono venuto in questo paese, da straniero, sono rimato sorpreso vedendo che un paese con una tale posizione, che dovrebbe essere il promotore principale dell’Europa nel Mare Mediterraneo, è invece molto assente da questo punto di vista. Mi sono reso conto che questo paese non aveva un‘università mediterranea, non aveva una fondazione culturale per il mediterraneo….C’è una facoltà mediterranea a Lugano in lingua italiana tra la nebbia e le montagne….Questo la dice lunga”.

Per concludere, lei ha scritto, a proposito dei convegni sul mediterraneo, che “il destino del nostro mare non si risolve purtroppo negli incontri dove solo si parla di lui”. Come vede la conferenza di oggi?

“Il convegno di oggi è un po’ un contro-incontro, contro tutte queste resistenze, contro tutte queste difficoltà su come superarle. Sono venuti uomini di buona volontà. Sono molto lieto che tra noi ci sia Tariqu Ramadan, il più grande intellettuale islamico, che vive in Europa, evitato in molti paesi. Non occorre essere d’accordo con lui ma occorre ascoltarlo, così si fa il dialogo. Se sono tanto sensibili al suo discorso i musulmani, allora bisogna sentirlo per sapere cosa dice. Allora mi sembra che bisogna ascoltarlo in questa città, prima città europea in cui è nato l’Istituto Orientale, prima città europea in cui si è incominciato a studiare la lingua araba, slava, albanese, turca. Napoleone ha poi rubato l’idea dell’istituto Orientale napoletano per fare in Francia la scuola di lingue orientali….Questa è la sede adatta al dialogo nel Mediterraneo, questo dà il significato all’incontro di oggi”.