NAPOLIPIU’

13 febbraio 2005

 

 

Tra Europa e mondo islamico un mare di cui bagnarsi insieme

Tavola rotonda con il gruppo dei saggi sul futuro del bacino

 

Che non ci si possa bagnare due volte nello stesso torrente è cosa ormai accettata. Che il torrente non possa bagnare due volte lo stesso individuo è un pensiero ancora più ostico del cous-cous algerino. Ma se il torrente il Mediterraneo e l’individuo è l’insieme degli individui, dei popoli, che vi si affacciano, allora è il caso di fare un assaggio, di quel cous-cous. La tavola rotonda l’ha fornita la Fondazione Laboratorio Mediterraneo (che conta tra i suoi sostenitori anche Pedrag Matvejevic), che in occasione del decennale della Fondazione propone una serie di incontri dal titolo “Il Mediterraneo, Europa e Islam: attori in dialogo”. Dalla Seconda Guerra in poi l’asse mondiale si è infatti lentamente spostato indietro, dall’Atlantico di nuovo al Mare Nostrum, che si risveglia tagliato in due da Gibilterra ad Atene da due realtà antiche e nuove come il mare che le lambisce e separa: l’Europa, confederata, e l’Islam, tornato violentemente alla ribalta. E se ad Orzinuovi sono tollerate defezioni, Napoli non poteva tirarsi indietro, e piuttosto ha rilanciato con l’Assessorato al Mediterraneo, e con questo ciclo di incontri e di studi della Fondazione Laboratorio Mediterraneo. Incontri che nelle parole del Segretario Generale della Fondazione hanno anche un importante valore pratico: “noi vogliamo non solo discutere, ma anche avere un peso nelle scelte politiche dei nostri governi.” ha detto John Esposito. Ma la grande sfida non è solo questa: il punto più arduo su cui confrontarsi è che nessuna delle parti in campo ha di fronte un soggetto unico, un’unica realtà culturale. “Non c’è un’unica voce cristiana e non ce n’è un’unica musulmana. Perciò, per fare realmente qualcosa bisogna ascoltare tutte le voci, compresa quella dell’Islam politico, che è comunque una realtà che non deve essere trascurata” ha concluso Esposito. Non a caso, infatti, il titolo dell’incontro è “attori in dialogo”. Ed è sul tema del dialogo che si sono sviluppati molti degli interventi successivi. Wassyla Tamzali, dell’università del Cairo ha più volte ribadito l’importanza del dialogo in particolare tra le nuove generazioni, che possiedono mezzi di scambio culturale più efficienti e veloci di quelli dei padri. Mezzi di comunicazione e di informazione. Tanti hanno ricordato quanto sta avvenendo in Iraq, ed hanno ribadito la loro solidarietà a Giuliana Sgrena. James Piscatori ha ricordato il dovere di “sostenere chi dice la verità durante i conflitti, che non deve mai essere lasciato solo”.

Verità che non è mai la verità di uno solo, o di un solo popolo. Come sostiene Mario Rosso, dell’Ansa Italiana, il quale si fa portavoce di una iniziativa che vede la collaborazione di tutte le agenzie stampa del Mediterraneo, per fornire un’informazione comune a tutti i  paesi in questione, non solo riguardo a notizie particolarmente gravi, ma anche e soprattutto per raccontare gli eventi quotidiani, ciò che caratterizza la normalità di ciascun popolo. Per realizzare questo, ribadisce Rosso; sono però necessarie “fiducia reciproca e rispettiva accettazione”. E soprattutto tolleranza: se si potesse stilare una graduatoria delle parole più usate negli interventi, Tolleranza sarebbe sicuro nella zona più alta della classifica. Citata dall’on. Azzolini, al giornalista Massimo Galluppi, che parla anche di “unità nella diversità”. Perché le diversità tra le varie parti in gioco esistono e sono ineliminabili. Ma, come ricordano Nullo Minissi e Walter Schwimmer, il Mediterraneo ha anche una lunga tradizione di tolleranza e di scambi sotterranei lungo le sue sponde e che non si è mai del tutto estinta. Ed è a questa tradizione che bisogna guardare per costruire un futuro insieme. Un futuro comune, necessariamente, ma su basi condivise. Caterina Arcidiacono, vicepresidente della Fondazione, insiste sulla “necessità di individuare insieme quei valori che hanno carattere condiviso insieme alle risorse e alle prospettive condivisibili per costruire un destino comune”. E questo non può chiamarsi che democrazia. Che democrazia e diritti umani siano i valori da condividere per tutti, e prima ancora di condividere qualsiasi altra esperienza sembra mettere d’accordo tutti. E su questo punto è intervenuto anche Tariq Ramadan, personaggio controverso, svizzero di passaporto, musulmano europeo di seconda generazione, accusato di sostenere il dialogo in pubblico e Al Qaeda in realtà. Ramadan h obiettato che la democrazia, e in generale tutti quelli che in Occidente sono considerati valori, non sono una merce imponibile su tutti i mercati. “Tutti noi vogliamo la democrazia – ha detto – quella scelta dalla gente, però, e non quella imposta dall’esterno.” Che sia fondamentale l’inclusione è ovvio, ma che questa non sia qualcosa di artificioso, perché i risultati negativi dei flebili tentativi fatti in questo senso dall’alto sono sotto gli occhi di tutti. Un esempio fra tutti è quello dei musulmani europei, in particolare quelli di seconda e terza generazione: “costoro non saranno mai meno musulmani per essere più europei. E’ sciocco chiedere questo. Se vogliamo instaurare un dialogo con il mondo islamico dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. E il dialogo non si può costruire sulle frontiere, ma nella quotidianità locale”. A supportare queste tesi Ramadan non cita solo le difficoltà di integrazione degli immigrati musulmani: la marginalizzazione sociale non è un problema solo islamico. Non sono solo gli immigrati ad essere marginalizzati. Quello dell’integrazione è u problema politico, e riguarda più strati della società; “ed è di quello che bisogna occuparsi, ed è tempo di occuparsene”. Rispettando, aggiunge Schwimmer, il modo altrui di integrarsi.  Il Cous-cous è stato assaggiato. Non tutti gli ingredienti andranno giù facilmente.