CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

25 febbraio 2005

  

Starova: i Balcani e Napoli, una “macedonia” culturale

Lo scrittore a Galassia Gutenberg con Matevskj

 

Il “caso letterario” Luan Starova trova casa a Napoli. Macedone, classe 1941 – è nato a Podgradec, in Albania – Starova, oltre ad insegnare letteratura francese all’università di Skopje, è un robusto scrittore che con la sua Saga dei Balcani ha conquistato negli ultimi anni i lettori e la critica europea. Oggi le sue opere sono tradotte in ben dieci lingue. Tra queste però, fino a ieri, non compariva l’italiano. “Colpa di un pregiudizio – spiega Nullo Minissi, uno dei massimi esperti di filologia slava ed ex rettore dell’Istituto Orientale di Napoli – per il quale la letteratura dei Balcani, e segnatamente quella albanese, non interesserebbe il lettore italiano. Certo la traduzione di alcuni scrittori slavi ha costituito per alcune case editrici un fiasco e questo non ha fatto altro che accreditare il pregiudizio”. Che viene sfatato ora a Napolidove l’editore Tullio Pironti ha appena mandato in stampa la traduzione di Il tempo delle capre (1993, premiato come libro dell’anno in Francia) che uscirà a marzo, nella traduzione di Marina Giaveri. “I romanzi di Starova – continua Minissi – rappresentano, invece, qualcosa di diverso rispetto alla letteratura balcanica tout court. Nell’interpretazione complessiva del dramma, il protagonista scompare e la storia si fa collettiva. Egli è testimone di una fine tragica, quella dello stalinismo, più che del comunismo delle regioni balcaniche”. Dei contenuti de Il tempo delle capre e del ciclo romanzesco di Starova, parlerà lo stesso Minissi a Galassia Gutenberg (domenica alle 18,30), la fiera del libro e dell’editoria che si apre oggi alla Mostra d’Oltremare e che vede tra gli appuntamenti più importanti della prima giornata la consegna del premio “Mediterraneo Delfino d’argento” alla memoria di Manuel Vasquez Montalban – oggi alle 18 – a Mateja Matevski (è un’iniziativa della Fondazione Laboratorio Mediterraneo). Alla cerimonia di assegnazione – nella sala Galleria Mediterranea I – parteciperà lo stesso Starova, contento di essere nel capoluogo campano anche perché è made in Naples la rivista “Ventre” che, per prima, ha pubblicato una sua pagina in italiano, proprio dal Tempo delle capre.

 “Napoli è il centro naturale del Mediterraneo – dice Starova – ed è particolarmente importante che una rassegna dell’editoria sia interamente dedicata a questo tema. La vocazione naturale della città ad essere centro strategico di tutti i paesi che si affacciano sul mare nostrum ha giustificazioni mentali e storiche. Mi spiego. Per quanto riguarda la mentalità mi riferisco ad una speciale capacità della civiltà partenopea ad armonizzare la pluralità etnica, che si spinge fino alla convivenza degli opposti. E tutto questo avviene con un grande rispetto delle identità culturali. Difendere la propria storia è di per sé un bene, ma riesce ad esserlo fino in fondo solo in alcune regioni, come la vostra. Gli elementi identitari, infatti, trovano altrove una pericolosa estremizzazione. E’, ad esempio, il caso del nazionalismo balcanico che degenera e crea situazioni drammatiche purtroppo consegnate alla storia dell’ultimo decennio”.

E dunque non è un caso che proprio a Napoli veda la luce la prima traduzione di un suo romanzo.

“L’anima napoletana, che è consustanzialmente multietnica, ha saputo penetrare anche la complessità dei miei romanzi. La storia è molto semplice, e ha alle spalle una cultura che sin dal nome, rispecchia quello che per voi è un piatto. La chiamate macedonia, quella pietanza mista con frammenti di frutta varia? Ecco, per il mio romanzo macedone dovete avere lo stesso approccio che si ha con un piatto di macedonia. Inoltre devo rendere merito alla traduttrice de Il tempo delle capre, Marina Giaveri, che ha davvero fatto un ottimo lavoro. E ad Edgar Morin che ha scritto una prefazione in cui sintetizza i temi del  mio ciclo”.

Se anche la cultura napoletana è una “macedonia” allora le analogie tra i due paesi sono molte.

“Certo, ma le disparità sono altrettanto importanti. Da noi la situazione è molto difficile perché c’è una secolare incapacità a coltivare pacificamente le differenze. Per questo noi abbiamo bisogno di Napoli, perché la vostra città è la nostra porta sul Mediterraneo, un luogo concreto dove costruire una convivenza interreligiosa ed interetnica per la creazione di una comunità che non appiattisca le diverse storie, ma sia capace di valorizzarle come risorsa e non come elemento di conflitto. Nei Balcani abbiamo un problema gravissimo che è quello dell’eliminazione delle frontiere, un processo che non può mettersi in atto se non in un'Europa che guardi al Mediterraneo come una casa comune. Noi ci percepiamo come europei, ma è grazie allo sbocco sul Mediterraneo, attraverso Napoli, che questa percezione può diventare realtà”.

I suoi romanzi hanno un epilogo tragico. Le anguille trucidate da una turbina e anche le capre alla fine moriranno.

“Si tratta ovviamente di immagini metafisiche che lasciano sempre un varco aperto. Io credo che in cielo ci sia sempre una speranza e che il cielo che splende in alto è lo stesso in tutta Europa. Ma, come in un quadro di Chagall tra il cielo terso e la terra compaiono spesso delle nuvole che impediscono la comunicazione. I personaggi dei miei libri sono come quelli usciti dal pennello del pittore russo, sospesi tra cielo e terra. E, in fondo, anche lo scrittore e così: un uomo totalmente immerso nella sua storia ma capace di alzare lo sguardo e mantenere la leggerezza”.