IL DENARO

5 febbraio 2005

 

 

Lavorare come garanti della Democrazia

 

di Giovanni Ciuffi

 

Un tema di grande attualità, “Il dibattito sulla promozione della democrazia: tra Euro-Mediterraneo e Grande Medio Oriente”, è stato al centro della conferenza tenutasi presso la sede della Fondazione Laboratorio Mediterraneo nell’ambito del ciclo di incontri “La politica internazionale nel Mediterraneo”. Relatore è stato Roberto Aliboni, vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali di Roma ed a capo del Programma sul Mediterraneo e sul Medio Oriente dello stesso Istituto. L’evento ha visto la partecipazione del rettore dell’Università di Napoli “L’Orientale”, Pasquale Ciriello, oltre che di numerosi docenti, come Fabio Petito e Franco Mazzei e il preside della Facoltà di Scienze Politiche Amedeo Di Maio, a testimonianza del rapporto di collaborazione intrapreso tra la Fondazione presieduta Michele Capasso e l’ateneo napoletano, da sempre attento ai temi della politica internazionale e del dialogo interculturale. Il tema centrale della relazione del professor Aliboni è stata la differenza di approccio e di metodo tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti nella cosiddetta “esportazione” della democrazia.
Entrambi gli attori internazionali considerano desiderabile la diffusione di regimi democratici nei paesi del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, anche in base ad interessi di sicurezza e di governare regionale.

L’Europa preferisce mettere l’accento sul dialogo con questi Stati e sullo sviluppo economico, per creare condizioni favorevoli alla affermazione della democrazia e in questo modo creare condizioni di “stabilità strutturale” che garantiscano la propria sicurezza e quella dell’area.
Lo strumento finora usato dall’Ue è stato il partenariato Euro-Mediterraneo, di cui quest’anno ricorre il decennale, che ha permesso di instaurare un dialogo tra i paesi dell’Unione e quelli della sponda sud del bacino, in tre settori fondamentali, politico e di sicurezza, economico, umano e sociale. Tuttavia non si può nascondere che i risultati del “metodo europeo” nella promozione della democrazia sono stati scarsi, regimi autoritari o quanto meno poco democratici caratterizzano ancora tutti gli stati del Nord Africa e del Medio Oriente. Aliboni individua due difetti fondamentali nel dialogo instaurato con questi paesi. Innanzitutto l’aver scelto come propri interlocutori esclusivamente i governi, che in realtà sono poco interessai allo sviluppo della democrazia, dato che questa probabilmente garantirebbe la sicurezza europea, ma probabilmente minerebbe la propria; secondo elemento, una cattiva interpretazione del movimento islamista, che nella sua gran parte è aperto alla democratizzazione e alla modernità, non è incline alla violenza e critico nei confronti dei regimi autoritari interni. Non bisogna identificare tutto il movimento islamista con le sue ali più radicali e violente, che esistono e da cui bisogna difendersi, ma che rappresentano una sua degenerazione.
Aprire quindi un dialogo con la società civile dei paesi del bacino del Mediterraneo è la proposta del professor Aliboni, non rinunciare al dialogo. Seppur mirando allo stesso obiettivo, gli Stati Uniti non hanno rinunciato alla possibilità di esportare la democrazia attraverso il ricorso alla coercizione. Al di là di una valutazione positiva o negativa della strategia americana, l’Occidente non deve cercare di affermare, calandolo dall’alto un proprio modello di democrazia, ma cercare di favorire un suo sviluppo endogeno, che sia compatibile con la cultura e la società locali. Gli interventi dei presenti hanno reso ancor più ricco il dibattito.
Petito ha sottolineato la ricerca da parte delle culture indigene di una propria strada alla democrazia. L’intervento del preside Di Maio ha invece posto l’attenzione sulla necessità di riforme economiche in questi paesi, che possano incidere sulla struttura delle loro società.
Il rettore Ciriello ha sostenuto che spesso i paesi occidentali non hanno favorito l’ascesa dei moderati, come il caso di Khatami in Iran. Infine il professor Ottorino Cappelli, docente di Scienza Politica, all’Università di Napoli “L’Orientale”, ha messo in guardia dai pericoli di deriva populista e plebiscitaria della democrazia, se non sostenuta e vincolata dagli istituti del costituzionalismo liberale.
Astenendosi dall’offrire facili soluzioni ad una questione così complessa, la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, continuerà a proporre degli approfondimenti sulle tematiche chiave della politica internazionale nel Mediterraneo. Per cominciare questo dialogo con l’anima moderata dell’Islam politico, individuato dal professor Aliboni come l’interlocutore mancante, la settimana prossima la Fondazione riunisce il nuovo Comitato Esecutivo Scientifico, presieduto da John Esposito e che vede la partecipazione di intellettuali musulmani di primo rilievo come Tariq Ramadan, Malek Chebel, Heba Raouf Ezzat, Wassyla Tamzali (vedi riquadro a lato).