"IL DENARO"

2 maggio 1998

Non abbandoniamo Luxor

di Michele Capasso

Luxor, aprile 1998. Questa città dell’alto Egitto tristemente famosa per l’attentato ai turisti avvenuto lo scorso anno e le cui ferite vanno ben al di la del dolore per le vittime: è stata danneggiata l’immagine stessa del patrimonio culturale di questo Stato e sono stati allontanati centinaia di migliaia di turisti che costituiscono l’entrata principale per le risorse egiziane. È dovere di tutti evitare che tragedie di questa portata si verifichino, ma è altrettanto doveroso non abbandonare questa città demonizzandola. Luxor è certamente il museo archeologico all’aria aperta più imponente del mondo: è qui che si trovano il tempio di Karnak, lo straordinario tempio di Ammone, mentre dall’altra parte del fiume sono ubicati la valle dei Nobili, il tempio di Hatseput, i Colossi di Memnon, la valle dei Re. Luxor è una città di provincia ancora rurale dove il tempo è dilatato. "A Sud del Sud": così un vecchio contadino risponde alla mia domanda "dove ci troviamo?". La memoria del tempo è radicata ovunque in questa città. Il nome di Luxor deriva da Al-Uqsur, che in arabo significa "i palazzi dei re"; nell’Egitto dei faraoni Luxor era Tebe ed in quel tempo ebbe altri due nomi: Oast, che significa "Centro del Potere", e Het Hamon, che significa "I castelli di Dio". Il tempio di Luxor è una delle meraviglie d’Egitto: lungo 260 metri, un tempo era conosciuto come l’harem meridionale di Ammone: Ammon Ra era la grande divinità del sole e dell’aria e rappresentava la regalità in quanto massimo dio all’epoca del grande splendore di Tebe. Moufid è una giovane guida e mi accompagna durante la visita al tempio stentando in un inglese imperfetto la sua descrizione: "Il dio Ammon Ra – mi dice – era accoppiato anche in simbiosi con il dio Min, simbolo della fecondità" e mi mostra una statua con il membro eretto ed un cartello che indica colui che edificò il tempio: Amenofis III, faraone della XVIII dinastia, vissuto circa 3400 anni fa. La guida continua il suo racconto: "Il 28 luglio di ogni anno le porte dell’Ipet-ressut-Imen (harem meridionale di Ammone) si aprivano per celebrare le festività del nuovo anno e l’inizio del ciclo agrario provocato dalla piena del fiume Nilo. Dal vecchio tempio di Karnak venivano trasportati su una barca Ammone e sua figlia Nut, la dea-falco protettrice e vendicatrice. Entrambi venivano collocati nella casa più buia di Luxor: le due divinità si amavano per intere giornate e fecondavano il paese che correva ad adorarli offrendo una schiera di doni che i sacerdoti immagazzinavano...". Mentre l’egiziano parla, osservo la sfinge con la testa di montone che custodisce l’entrata del tempio di Karnak: rovine imponenti di un labirinto dove convivono la religione della morte ed un’assurda divinizzazione del potere. È un immenso, portentoso complesso architettonico che, durante diciassette secoli – dall’anno 2000 a.C. fino ai romani – fu il luogo ove risiedettero vari simboli: dagli scarafaggi, simbolo del futuro e dell’aldilà, alla croce ricurva – chiave della vita –, ed al cobra sacro che è l’occhio di Ra, dio del sole. Tutti sono sotto la protezione dell’obelisco della regina Hatsepsut: un enorme pezzo di granito alto più di trenta metri e scolpito con curiosi geroglifici. Richiamo alla memoria il mio mestiere di architetto e cerco di capire come sia stato possibile trasportarlo dov’è. La guida egiziana mi fa un rudimentale schema che è, però, poco credibile: più tardi scoprirò che il masso di granito fu trasportato da Assuan in sette mesi di accidentata navigazione ed issato con ardui meccanismi da migliaia di schiavi. I sacerdoti di Tebe dominarono l’alto Egitto e l’Egitto intero durante i periodi più gloriosi del Karnak: essi condizionavano il faraone stesso ed il popolo con il loro dominio teologico che produsse i tetri capitoli del "Libro dei morti" e del "Libro delle caverne. Leggo alcuni brani dei testi riportati su alcuni manoscritti antichi commentati. All’epoca di Ramses III, più di 80.000 uomini divisi in 122 categorie servivano Ammon Ra in questo tempio che possedeva quasi mezzo milione di capi di bestiame, oltre 80 imbarcazioni e 65 villaggi. "Per respingere i demoni serpenti", "per mettere fine ai sentimenti di vergogna nel cuore degli dei", "per uscire alla luce del giorno e per vivere oltre la morte": così alcuni brani dei libri. Gli interni di Karnak dovevano essere un oscuro e folle luccichio di opprimente immaginazione: la sala ipostila con 122 colonne ed un’altezza di oltre 23 metri era ricoperta di pitture d’oro e d’argento che, paradossalmente, esaltavano la morte. I misteri dell’antico Egitto e di Luxor in particolare hanno come protagonista principale la morte che, in un certo senso, ubriacava gli egizi. Sul "Libro dei morti" si legge: "Ecco che Ra appare all’orizzonte e che, uscendo dalle regioni misteriose, seguito dagli dei, placa la fame del Cielo Orientale. Il Verbo di Potenza della dea Nut prepara la strada a questo principe degli dei...". Luxor non è solo magnificazione dell’antica Tebe o glorificazione della morte: l’Old Caract Hotel ricorda le frivolezze del film "Morte sul Nilo", l’irresistibile satira politica con Mia Farrow, Peter Ustinov e Bette Davis. Il romanzo di Agatha Christie è perfetto nella sua struttura: sempre e ancora la morte che vaga sul Nilo e i suoi dei. Un altro tempio appare tra gli orti del villaggio di Dandara. Vi sono aggiunte di epoca romana e cristiano-copta. Un tempo fu dedicato ad Hathor, dea dell’amore, del vino e della musica: veniva simboleggiata da una vacca tranquilla e grassa. Hathor ed Horus, sempre nel corso di una processione marittima e annuale, si incontravano e si amavano. Stupende storie d’amore e morte si intrecciano alimentando la magia di questa terra dal fascino insostituibile. Questi appunti di viaggio vogliono semplicemente evidenziare che l’Egitto va vissuto e goduto visitandolo: non è possibile "avere paura" di vedere la culla della nostra civiltà. "Non venire da noi in Egitto per paura di attentati è come restare seppelliti in casa per paura di essere investiti da un auto", con questo appello la mia guida egiziana si congeda da me.