LA REPUBBLICA

19 febbraio 2005

 

 

Se l’Islam ritorna al passato si sangue

 

 

 

di Khaled Fouad Allam

 

 

Gli sciiti stanno entrando nel vivo del loro calendario rituale con la celebre festa del Ashura, che ricorre nel decimo giorno del mese sacro di Mukadem. Essa commemora il martirio di Huseein, morto nel 680 nella celebre battaglia di Serbala in uno scontro fra l’esercito di Alì e quello degli Omayyadi sanniti. I terroristi sanniti hanno scelto proprio questo giorno per sferrare un attacco senza precedenti alle moschee, e sembrano far precipitare l’intero mondo musulmano indietro di secoli, quando nella moschea di Kufa fu assassinato Alì, cugino del profeta, uno dei primi quattro califfi dell’Islam.

Questo spostamento nella scelta degli obiettivi è strategico nella linea dei terroristi. L’attacco è stato portato nelle moschee sciite perché intende aver un’enorme effetto simbolico: è come se una sacralità si scatenasse contro un’altra, per preparare il terreno non solo una guerra civile ma anche a una guerra di religione all’interno dell’Islam. Forse abbiamo sottovalutato il fatto che nei programmi strategici dei gruppi salafisti, ai primi posti tra gli elementi da combattere appaiano gli sciiti.

L’Iraq di oggi rappresenta un’anomalia sia nell’ambito dell’area regionale mediorientale  - in cui i sanniti restano maggiorati, anche se sono minorati all’interno dell’Iraq – che nel quadro dell’intero mondo musulmano. L’Iraq, che era politicamente sanniti fino a due anni fa, oggi è politicamente sciita, dopo la vittoria di Sistani alle elezioni. si tratta di un cambiamento storico e geopolitico di enorme portata, di cui non abbiamo ancora misurato tutte le conseguenze.

La questione sciita è complessa: perché il rovesciemanto in atto porta in primo piano, nelle relazioni fra sunnismo e sciismo, la grande questione dell’autorità nell’Islam, questione centrale e mai risolta, questione che in tutta la storia della civiltà musulmana ha dato luogo a spargimenti di sangue.

Gli attentati kamikaze nella moschee sciite rischiano di accentuare la frattura fra sanniti e sciiti, di fronte allo stato che si va costruendo nel nuovo Iraq. L’esclusione o la discriminazione nei confronti di un gruppo o dell’altro renderebbe meno percorribile la stradac della costruzione di uno stato unitario, perché il prisma comunitario tende ad indebolire l’equilibrio dello Stato. Ed è proprio ciò che vogliono i gruppi salafisti, che vogliono impedire la costruzione di un nuovo Stato in Iraq. Colpire la sacralità dei luoghi e la simbolica della cultura sciita, tende a creare una barriera che renda impossibile il superamento dell’identità comunitarie in Iraq.

Come risolvere la questione? Non bastano l’ingegneria costituzionale o la tecnica giuridica: se è essenziale non cedere al ricatto e alla violenza, è oggi necessaria la costruzione di un’identità sciita che non si configuri come un’identità confessionale, che non esprima un ravanscismo sulla storia, ma sia capace di aggregare attorno a sé le altre comunità. Per vincere questa sfida, forse si dovrebbe lavorare sulle istituzioni e religiose sciite in Iraq, in particolare sulla Marja (l’autorità sciita), aiutandola ad articolarsi come una sorta di istituzione ecclesiastica, capace di stipulare una specie di concordato con un nuovo stato iracheno, stato da cui essa sarebbe stata capace di staccarsi. Un tale aspetto dei poteri, oltre che delimitare le competenze fra lo Stato e l’autorità religiosa sciita, permetterebbe alla società irachena di non percepire il cambiamento di potere in atto come un rovesciamento della situazione, come un’alternanza tra un potere sannita e uno sciita.