LA REPUBBLICA

26 febbraio 2005

 

Algeria, le donne tradite dalla legge

Nuovo codice di famiglia, così il laico Bouteflica cede agli islamici

 

In tutti questi anni di crisi, affacciata sull’orlo di un conflitto civile che ha mietuto migliaia di vittime, schiacciata tra un regime autoritario e una rivolta islamista presto degradata a bieco terrore, l’Algeria ha sempre avuto un vanto. Un vanto speciale per un Paese arabo e musulmano: le sue donne, protagoniste della scena politica e intellettuale. Donne al potere e donne all’opposizione. Anche negli anni più bui dello scontro fratricida, queste figure, belle e appassionate, hanno affascinato i visitatori e conquistato l’attenzione dei media internazionali. La società algerina non ha emancipato la donna; ha prodotto però, e continua a produrre, delle magnifiche femministe.

E’ una cosa brutta perciò, che la tanto attesa riforma del Codice della famiglia, l’insieme di leggi che regolano ruolo e diritti della donna nella sfera familiare, sia stata soffocata dagli imperativi del mercanteggiamento politico e in nome delle intese sottobanco tra governo e ambienti tradizionalisti islamici si sia risolta in poco o nulla. Molti punti dell’originaria bozza governativa sono stati abbandonati. Tra questi spicca, per il suo valore simbolico perché è l’incarnazione dello stato di soggezione in cui vengono mantenute le donne algerine, la figura del wali o tutore matrimoniale.

Questa figura, fortemente radicata nella tradizione e considerata dagli imam e dagli ambienti islamici un’espressione della shar’ia, cioè della legge cranica, rappresenta la donna nella stipula dell’atto di matrimonio e non ha nulla a che vedere col fatto che la futura sposa sia minorenne: il wali interviene anche se è maggiorenne. Normalmente si tratta del padre della sposa, oppure di un fratello. In assenza, il ruolo viene svolto da un giudice. Dal punto di vista degli accordi che lo precedono, il matrimonio e dunque una faccenda tra uomini.

La bozza governativa prevedeva l’abolizione della figura del wali e fin dal suo annuncio, nel settembre dell’anno scorso, aveva provocato levate di scudi dai pulpiti delle moschee e da tutti i portavoce degli ambienti tradizionalisti islamici. Il governo si è piegato. Il nuovo Codice si limita a porre qualche vincolo alla discrezionalità del tutore: non può impedire a una donna di sposare chi vuole. Ma davanti al matrimonio, la donna algerina continua a essere considerata una minorenne a vita.

Il Codice della famiglia algerino risale al 1984. La sua introduzione da parte del regime laico e socialisteggiante del partito unico aveva avuto il valore del compromesso storico con l’Islam algerino. Le femministe lo chiamano “il codice della vergogna” e ne reclamavano l’abrogazione pura e semplice. Per questo le donne non si sono  veramente mobilitate a favore del progetto di riforma, che ne prevedeva soltanto migliorie ma non l’abolizione.

I miglioramenti introdotti sono pochi. Il maggiore è forse l’obbligo del padre, in caso di divorzio, a garantire l’alloggio alla prole minore. La madre mantiene invece il diritto di custodia. L’età minima per contrarre il matrimonio, che era di 21 anni per lo sposo e 18 per la sposa, è adesso si 19 anni per tutti.

Per il resto, la moglie continua a dovere per legge obbedienza al marito e rispetto alla famiglia di lui, a cominciare dai suoceri. Davanti al divorzio o all’eredità la disuguaglianza tra i sessi resta scandalosa. Alla consorte vengono riconosciuti solo motivi molto particolari per chiedere il divorzio, come l’infermità sessuale o l’assenza prolungata per oltre un anno senza motivazione. Quanto all’eredità, la parte spettante alla donna è la metà di quella dell’uomo.

La causa del cedimento governativo, spiegano gli osservatori della politica algerina, sarebbe la legge di amnistia sugli anni della guerra civile alla quale il presidente Abdelaziz Bouteflika sta lavorando da tempo. Per questa legge, che ha l’ambizione di fare i conti con la sanguinosa storia recente dell’Algeria, è indispensabile un ampio consenso nazionale e in particolare quello degli ambienti religiosi. Una cosa da uomini, di cui le donne algerine sono state chiamate ancora una volta a fare le spese.