"IL DENARO"

31 gennaio 1998

A chi giova l’esodo dei Curdi?

Di Michele Capasso

Parigi, 29 gennaio 1998. Incontro alcuni delegati del "Movimento di Liberazione Curdo". Parliamo del recente esodo verso l’Italia ed altri Paesi europei. Schematicamente, tre sono le ipotesi sulle cause di questa fuga massiccia e ben organizzata 1) l’esodo è facilitato da alcuni politici turchi 2) il governo di Ankara chiude gli occhi, forse troppo volentieri, anche perché è felice di sbarazzarsi di una presenza ingombrante 3) le più potenti organizzazioni curde tentano, attraverso questo esodo, di richiamare l’attenzione sul loro caso. Il sostituto procuratore incaricato per la lotta contro la mafia Alberto Maritati, interpellato in proposito, per aver seguito sin dall’inizio gli sbarchi, in Puglia e in Calabria, di clandestini di diverse nazionalità, parla di legami internazionali tra mafie di diversi Paesi e quella italiana e di gestione comune, o comunque in collaborazione, del traffico dei clandestini. Anche i più recenti sbarchi dunque – secondo Maritati – sono opera della mafia, in questo caso turca, che ha il monopolio sui mezzi di trasporto nonché forti legami con la malavita russa. In alcune città del nord dell’Italia, la mafia ha messo in piedi una vera e propria organizzazione logistica per dirottare i clandestini verso gli altri Paesi europei, in particolare Germania e Belgio. Maritati conferma anche l’ipotesi di "eccessiva tolleranza" del governo turco. Infatti, quasi tutti i clandestini affermano di "fuggire via dall’inferno", dalle "persecuzioni più dure", in quanto "il governo turco ha tutto l’interesse di sbarazzarsi di noi". Le pressioni diplomatiche italiane hanno avuto un certo effetto poiché le autorità turche hanno bloccato molti curdi che tentavano di espatriare. Tuttavia è necessario prevenire il fenomeno stabilendo accordi tra gli addetti alla giustizia dei due Paesi, così com’è avvenuto per l’Albania. Sulla terza ipotesi, secondo cui i curdi abbiano organizzato l’esodo, c’è da considerare che le condizioni di salute di molti di coloro che sbarcano sono lontane dall’essere preoccupanti. Molti di loro affermano di aver pagato dai tremila ai cinquemila dollari per la traversata una somma elevata data la povertà di questo popolo. La tesi che tutto questo possa essere stato messo a punto da alcune organizzazioni indipendenti curde al fine di portare il loro dramma sulla scena politica internazionale non è da scartare. Tuttavia, per ciascun leader curdo il responsabile è l’altro.

Safeen Dizayee, portavoce di Ankara del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), guidato in Iraq da Massoud Barzani, accusa "Abdullah Oçalan (detto "Apo", capo del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) è compromesso fino alla testa. Quelli del PKK si dedicano senza scrupoli al traffico di clandestini come già facevano con quello della droga". Saib Chazat, rappresentante nella capitale turca dell’UPK, l’Unione Patriottica del Kurdistan iracheno guidata da Jalal Talabani, replica a Barzani "Sono quelli del PDK, come Barzani, che si arricchiscono sul traffico degli emigrati clandestini. Ogni giorno riescono ad avere dai turchi più di cento visti per far passare i curdi nell’area da loro controllata. Sono dei contrabbandieri, ce l’hanno nel sangue". Vecchi rancori, ma anche nuovi giochi di potere in questi ultimi due anni, i due principali partiti curdi iracheni si sono combattuti tra loro per il dominio del commercio con l’Iraq e l’Iran ed oggi continuano a farlo per il controllo del traffico dei clandestini. In realtà, c’è da sottolineare che i curdi, specie quelli dell’Iraq, cercano di abbandonare le proprie regioni, povere e prive di risorse. La Turchia concede difficilmente visti e, per questo, molti di loro cercano di farsi accettare, quali rifugiati, dall’Alto Commissariato dell’Onu, ma senza esito. Ed è così che passano clandestinamente la frontiera con un passaporto falso – costa non più di centocinquanta-duecento dollari – restano in Turchia cinque-sei mesi prima di imbarcarsi verso l’Europa. Almeno cinquecento curdi si trovano attualmente in Turchia in questa situazione. Si sono organizzati creando un’apposita associazione il flusso di controlli all’emigrazione clandestina non è destinato a diminuire. Dal punto di vista turco vi è il fastidio dell’ingerenza dei Paesi occidentali nella questione curda. Eppure vi è una coincidenza da non sottovalutare. Senza voler rispolverare teorie di complotti e simili, è singolare che all’esodo dei curdi verso l’Italia corrisponda un’insolita calma nel sud-est dell’Anatolia. È una strategia estremamente efficace per evidenziare, senza ricorso a guerriglie ed attentati, all’attenzione pubblica internazionale che la questione curda non è chiusa. Questa politica consente di ottenere due risultati creare l’opinione che la gente di origine curda in Turchia fugga dal proprio Paese per ottenere il "diritto alla vita" e mettere la Turchia in condizioni tali da non avere l’appoggio, per la sua candidatura all’Unione Europea, di quei Paesi, come l’Italia, che fino a ieri sostenevano la sua entrata tra i quindici. A prima vista, questo stratagemma sembra aver centrato il suo scopo. L’Italia pare determinata a considerare i clandestini come un popolo che fugge dalla persecuzione turca e ad accordare loro lo status di rifugiati politici. Con questo atteggiamento si potrebbe ipotizzare che il governo italiano voglia utilizzare questo esodo per sensibilizzare gli altri Paesi della Unione Europea. Ma, in realtà, ogni Stato dell’Ue sa che la fuga dei curdi non è causata dalla repressione politica turca. La dichiarazione olandese dimostra che molti conoscono bene la realtà sono ragioni più economiche che etniche ad alimentare questo massiccio movimento migratorio. Molti confondono un commercio umano con un esodo politico. In realtà, tra le cause che spingono i curdi ad abbandonare il proprio Paese vi è quella della sopravvivenza. Chi vive nella precarietà più totale o chi ha già una parte della propria famiglia radicata in Germania o in altri Paesi europei, coglie al volo quell’opportunità che legalmente gli viene negata. Klaus Kinkel, ministro degli affari esteri della Repubblica Federale Tedesca, si è così espresso in proposito "La questione curda non può essere regolata che attraverso vie politiche, con l’adozione di misure economiche, sociali e culturali a favore di questo popolo. È un problema che occorre considerare nel contesto dei diritti umani. Se l’ottica è questa, non ci si dovrà più confrontare con dei rifugiati. Non è la politica di asilo dei Paesi europei ad essere responsabile di questo fenomeno". Quest’affermazione lascia prevedere che la Turchia sarà pressata dall’Unione Europea che dovrà prendere urgenti provvedimenti quali assicurare misure economiche capaci di ridurre al minimo le cause che costringono il popolo curdo ad emigrare fare in modo che tutto il mondo possa comprendere che la causa di questo esodo massiccio è soprattutto di natura economica arrestare coloro che organizzano questo traffico umano diretto verso l’Italia. Quest’ultimo punto è senza dubbio il più importante. È molto curioso, infatti, che navi cariche di emigrati – lente e visibili – possano allontanarsi senza che alcun responsabile turco ne sia al corrente. Tutto ciò assume ancora più valore se si pensa che la Turchia ospita organismi internazionali ufficiali preposti proprio al controllo delle frontiere. Il generale Cevik Bir, capo di Stato maggiore aggiunto dell’esercito turco, ha recentemente affermato che la situazione politica nel sud-est dell’Anatolia è divenuta stabile come nel 1983, quando il movimento armato del PKK era ancora debole e non radicato in questa regione a maggioranza curda. È un’affermazione di grande significato politico, espressa da una delle autorità più competenti. Come ignorare i cambiamenti intervenuti in questa Regione Come evitare di considerare la coincidenza di tutto questo con l’esodo curdo. Intanto la stampa turca continua a non utilizzare il termine "Kurdistan" per individuare zone a popolazione maggiormente o esclusivamente curda. Si impiegano termini come "sud-est dell’Anatolia" per il Kurdistan e "nord dell’Iraq" o "sud-est dell’Iran" per i territori curdi di questi Paesi.

Fino a quando l’identità e il diritto ad esistere di una comunità di oltre trenta milioni di persone non sarà assicurato, molti profughi lasceranno quelle terre alla ricerca della sopravvivenza, ma, soprattutto, della propria dignità umana.