IL MANIFESTO

30 marzo 2005

 

Riletture del codice penale islamico

Un confronto tra ulema, intellettuali e musulmani per un’analisi attuale del Corano

 

Una moratoria internazionale sulle punizioni corporali, la lapidazione e la pena di morte nel mondo islamico. Per Tariq Ramadan può essere questa la chiave di volta per avviare un dibattito serio sui testi del codice penale islamico e sul contesto di cui di volta in volta si deve tenere conto nell’interpretazione dei testi. Nel documento che chiede la moratoria, Ramadan sottolinea come la domanda sempre più stringente sia oggi: come essere fedeli al messaggio dell’Islam nell’era contemporanea ? E’ una domanda che provoca discussioni e un dibattito molto vivace e interessante tra gli ulema (studiosi) e tra musulmani. Nell’Islam oggi ci sono diverse correnti di pensiero, anche profonde. C’è chi, una minoranza dice Ramadan, rivendica una rigida applicazione della sharia o , in termini più esatti della hudud (“limiti”, che nel linguaggio specializzato dei giuristi comprende le punizioni corporali). Altri ritengono che l’applicazione dell’hudud debba essere regolata dallo stato, Altri, infine, respingono i testi relativi all’hudud ritenendoli estranei alle società musulmane contemporanee.

La matassa da sbrogliare è dunque assai complessa. Ma se per i musulmani l’Islam è un messaggio di uguaglianza e giustizia, allora sostiene Ramadan nell’appello, “diventa impossibile stare zitti di fronte ad una applicazione ingiusta dei nostri riferimenti religiosi”, L’appello per la moratoria prosegue analizzando la posizione degli ulema. Che riconoscono (tutti) l’esistenza di fonti che citano le punizioni corporali (Corano e Sunna), la lapidazione delle donne e degli uomini adulteri (Sunna) e il codice penale (Corano e Sunna). Le divergenze tra gli ulema e le varie correnti di pensiero riguardano l’interpretazione di alcuni di questi testi, le condizioni della loro applicazione. “La maggioranza degli ulema – si legge nell’appello – è dell’opinione che questi pene nel complesso sono islamiche ma che le condizioni richieste per la loro applicazione siano praticamente impossibili da ricreare (in particolare per quel che riguarda la lapidazione). Sono cioè “ quasi mai applicabili”. L’hudud serve dunque come deterrente, con l’obiettivo di scuotere la coscienza del credente rispetto alla gravità dell’azione che potrebbe indurre una tale punizione”. Ma se gli ulema definiscono “ quasi mai applicabili” le pene corporali, la realtà sul campo è purtroppo assai diversa. “Uomini e donne – scrive Ramadan – vengono puniti, colpiti, lapidati e uccisi in nome dell’hudud. Queste pene poi, ed è questa ingiustizia maggiore, colpiscono quasi esclusivamente donne e poveri, doppiamente vittime, Mai i ricchi, chi governa, gli oppressori. Inoltre, centinaia di detenuti non hanno mezzi legali per difendersi. La pena di morte è comminata a donne , uomini, minori (prigionieri politici, trafficanti, delinquenti) senza che gli accusati abbiano avuto alcun contatto con un avvocato”. Accettare questo significa “ rassegnarci al peggior tradimento del messaggio dell’Islam”.

La comunità internazionale non è esente da responsabilità e deve essere coinvolta nelle questione dell’hudud nel mondo musulmano. Per Ramadan “il mondo islamico sta per attraversare una crisi profonda le cui cause sono molteplici e volte contraddittorie”. Ma stare zitti non è un’opzione. L’appello per una moratoria internazionale che viene lanciato aggi propone: una mobilitazione dei musulmani nel mondo perché chiedano ai loro governi di dichiarare la moratoria sull’ applicazione dell’hudud e di aprire un dibattito intercomunitario tra gli ulema, gli intellettuali, i leader e la popolazione; di chiedere conto agli ulema affinché evidenzino le ingiustizie e le strumentalizzazioni dell’Islam; la promozione di une educazione dei musulmani che li aiuti a superare i miraggi del formalismo e delle apparenze. Questo movimento di riforma dall’interno, non dovrà mai, è la conclusione, rifiutarsi di ascoltare il mondo circostante e le domande che l’Islam suscita.