13 luglio 2005
L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto
rassicurante. La sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord
Europa, e altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a
Nord quanto a Sud, l'insieme del bacino si lega con difficoltà al continente.
Non è davvero possibile considerare questo mare come un «insieme» senza tener
conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: oggi in
Palestina, ieri in Libano, a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani,
nell'ex-Jugoslavia, riflessi delle guerre più lontane, quelle in Afganistan,
quella ancora più vicina-in Iraq.
Il Mediterraneo conosce ben altri conflitti tra la costa e l'entroterra.
L'Unione Europea è compiuta, fino a qualche tempo fa, senza tenerne conto: è
nata un'Europa separata dalla «culla dell'Europa». Come se una persona si
potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua
adolescenza. Le spiegazioni che se ne davano, banali o ripetitive, non riescono
a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le
propongono. I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e
l'avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di
lettura sono diverse. La costa settentrionale del Mare Interno ha una
percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte.
Ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno in comune che le loro insoddisfazioni.
Il mare stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si estende dal
Levante al Ponente per separare l'Europa dall'Africa e dall'Asia Minore.
Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di
esso o senza di esso: ciò genera frustrazioni e fantasmi. Le manifestazioni di
gioia davanti allo spettacolo del Mediterraneo si fanno contenute e fugaci. Le
nostalgie si esprimono attraverso le arti e le lettere. Le frammentazioni
prevalgono sulle convergenze. Si profila all'orizzonte, da qualche tempo, un
pessimismo storico, un «crepuscolarismo» letterario.
Le coscienze mediterranee si allarmano e, ogni tanto, si organizzano. Le loro
esigenze hanno suscitato, nel corso degli ultimi decenni, numerosi piani e
programmi: le Carte di Atene, di Marsiglia e di Genova, il Piano d'Azione per
il Mediterraneo (PAM) e il Piano Blu di Sophia-Antipolis che proietta
l'avvenire del Mediterraneo «all'orizzonte del 2025», le Dichiarazioni di
Napoli, Malta, Tunisi, Spalato, Palma di Maiorca, tra le tante, le Conferenze
euro-mediterranee di Barcellona, Malta, Palermo, i Forum della società civile a
Barcellona, Malta ed in ultimo a Napoli (con 1200 persone da tutti i paesi
mediterranei). Simili sforzi, lodevoli e generosi nelle intenzioni, stimolati o
sorretti da commissioni governative o da istituzioni internazionali, non hanno
conseguito che risultati limitati. A cosa serve ribadire, con rassegnazione o
con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Nulla
tuttavia ci autorizza a farle passare sotto silenzio: degrado ambientale,
inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal
controllati, corruzione nel senso letterale o figurato, mancanza di ordine e
scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri «ismi» ancora.
Il Mediterraneo non è comunque il solo responsabile di questo stato di cose. Le
sue migliori tradizioni (quelle che associano l'arte e l'arte di vivere!) si
sono opposte invano. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di
«partenariato» devono essere sottoposte a un esame critico. La sola paura
dell'immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una
politica ragionata. Il Mediterraneo si presenta come uno stato di cose, non
riesce a diventare un progetto. La costa Sud mantiene le sue riserve, dopo
l'esperienza del colonialismo. Entrambe le rive furono molto più importanti
sulle carte utilizzate dagli strateghi che non su quelle che dispiegano gli
economisti. Tutto è stato detto su questo «mare primario» diventato uno stretto
di mare, sulla sua unità e sulla sua divisione, la sua omogeneità e la sua
disparità: da tempo sappiamo che non è né «una realtà a sé stante» e neppure
«una costante»: l'insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che
sfidano o rifiutano le idee unificatrici. Concezioni storiche o politiche si
sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere
o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e
al Sud non si lasciano ridurre ai denominatori comuni. Gli approcci dalla
fascia costiera e quelli proposti dall'entroterra si escludono o si
contrappongono.
Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo. Non ha conosciuto la
laicità lungo tutti i suoi bordi. Per procedere a un esame critico di questi
fatti, occorre prima di tutto liberarsi da una zavorra ingombrante. Ciascuna
delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi
sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. La realizzazione di
una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove
s'incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti,
conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele. Non esiste una sola cultura
mediterranea: ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo. Sono
caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le
somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all'incontro sulle
sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono
segnate da fatti d'origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le
somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a
prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia. «Elaborare una cultura intermediterranea
alternativa». Mettere in atto un progetto del genere non pare imminente;
«condividere una visione differenziata» è meno ambizioso: senza essere sempre
più facile da realizzare.
Tanto nei porti quanto al largo «le vecchie funi sommerse», che la poesia si
propone di ritrovare e di riannodare, spesso sono state rotte o strappate
dall'intolleranza o dall'ignoranza. Questo vasto anfiteatro per molto tempo ha
visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori
sono talvolta noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in ogni
epoca riaffermare la sua creatività a nessun'altra uguale. Occorre perciò
ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di
distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le
relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Non basta più osservare
queste cose unicamente in una scala di proporzioni o sotto un aspetto
dimensionale: possono essere considerate anche in termini di valori. Certe
concezioni euclidee della geometria hanno bisogno di essere superate. Le forme
di retorica e di narrazione, di politica e di dialettica, invenzioni del genio
mediterraneo, sono state adoperate per troppo tempo e talvolta appaiono logore.
«Il Mediterraneo esiste al di là del nostro immaginario?» ci si domanda al Sud
come al Nord, a Ponente come a Levante. Eppure esistono modi di essere e
maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei
conflitti che vive o subisce questa parte del mondo.
Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimane
un'abitudine tenace, tanto sul litorale quanto nell'entroterra. La «patria dei
miti» ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno
nutrito. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La
tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si
perpetua: l'immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si
identificano affatto. Un'identità dell'essere, amplificandosi, eclissa o
respinge un'identità del fare, mal definita. La retrospettiva continua ad avere
la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane
prigioniero degli stereotipi.
PER IL BACINO CHE È STATO LA CULLA DELLA CIVILTÀ SI PERPETUA LA TENDENZA A
CONFONDERE LA RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTÀ CON LA REALTÀ STESSA