IL MATTINO

18 luglio 2005

 

 

 

Mediterraneo area chiave

 

 


Di Antonio Badini *

 

È indubbio che il tragico attentato terrorista di Londra sia parte della strategia delle forze eversive che si propongono di sostituire al dialogo fra le culture la violenza di uno scontro di civiltà creato ad arte. Gli estremisti, che operano sulla scia della barbarie dell'11 settembre, sono evidentemente ansiosi di ricevere una legittimità politica, accreditandosi quali alfieri dell'Islam contro le asserite ingiustizie dell'Occidente. Una pretesa che sempre piú assume i contorni di un arbitrio.

Lo conferma, se ve ne fosse bisogno, la dura condanna che la stragrande maggioranza del mondo musulmano ha rivolto dopo l'attentato di Londra nei confronti di ogni forma di fanatismo che si richiami ai valori dell'Islam. Il Mediterraneo e il Medio Oriente tornano di fatto periodicamente al centro dell'attenzione internazionale ma nel modo sbagliato. Eppure, da molto tempo alcuni Paesi della riva Nord, in particolare l'Italia, e la stessa Ue si erano preoccupati di stabilire con i partner arabi del Mediterraneo un solido rapporto di partenariato. Con un duplice obiettivo. Da un lato, dimostrare che un dialogo delle culture fondato sul reciproco rispetto avrebbe potuto avvicinare le società civili attorno a una piattaforma di progresso condiviso. Dall'altro, grazie proprio a una ritrovata unità di intenti, restituire una nuova centralità alla regione del Mediterraneo allargato, un'area aperta a intese con gli altri paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico. La Dichiarazione di Barcellona sottoscritta nel novembre del 1995 fra l'Ue e dieci partner della riva meridionale e orientale, incluse Israele e l'Autorità palestinese, aveva in sostanza riaffermato la validità di un approccio geo-politico con l'assunzione da parte dei paesi aderenti di reciproche obbligazioni. Da quell'atto nacque il partenariato euro-mediterraneo, un progetto che definisce le linee direttrici di un grande processo riformistico fondato sull'interazione di tre capitoli: politico, economico e socio-culturale. In parallelo l'Ue è impegnata alla conclusione di un accordo di libero scambio con i paesi del Golfo: due cerchi che negli auspici di alcuni Stati membri dell'Ue, Italia inclusa, dovrebbero presto convergere nella stessa orbita. Occorre ammettere che quei nobili propositi sono rimasti in buona parte inattuati. Lo slancio politico non si è tradotto in iniziative di grande respiro e l'impatto sui grossi nodi della regione è stato al di sotto delle aspettative. Anche la visibilità del partenariato euro-mediterraneo è risultata modesta tanto che l'opinione pubblica internazionale ne percepisce a malapena gli scopi. Per converso, grande è stato il risalto riservato dai media all'idea del Grande Medio Oriente enunciata dal presidente Bush nel novembre del 2003 e approvata dal G8 di Sea Island nel giugno 2004. Molti hanno letto nelle parole dell'attuale inquilino della Casa Bianca il desiderio di promuovere un cambiamento di regime e l'avvento di una democrazia di stampo occidentale. Di qui le reazioni negative, oggi in parte rientrate dopo i chiarimenti, e diciamolo pure, qualche correzione di rotta di Washington, di molti Stati arabi contrari all'introduzione di modelli di democrazia ritenuti estranei alla specificità delle loro culture. Il governo italiano si è molto adoperato per conciliare l'idea del Grande Medio Oriente con i postulati del partenariato euro-mediterraneo ed è oggi impegnato ad assicurare successo al Vertice di Barcellona del prossimo novembre che, nel celebrare il decennale della Dichiarazione, si prefigge l'ambizioso obiettivo di rilanciarne i contenuti. Il fine è lungimirante ma certo non facile da ottenere. Progressi significativi tuttavia non mancano come indicano le utili sinergie realizzate dall'Ue e dagli Stati Uniti all'interno del Quartetto, costituitosi per favorire il negoziato di pace mediorientale. Ma per una azione strutturata e a tutto campo restano ancora divergenze. L'approccio degli Stati Uniti nella regione tende a mantenere una dimensione più strategica, enfatizzando l'attenzione verso gli sviluppi suscettibili di toccare gli equilibri mondiali. Ad esempio, verso i paesi, come la Siria e l'Iran che gli Stati Uniti accusano di nutrire propositi di destabilizzazione. La politica di Washington segue delle priorità globali e non esclude l'opzione militare, come è accaduto in Iraq. L'Ue mira a ridurre ed eliminare la minaccia attraverso il perseguimento di interessi condivisi. Abbassando il livello della minaccia viene meno, in principio, il rischio di una escalation militare. Insomma, una sorta di sicurezza politica. Di fatto, né l'uno né l'altro dei due approcci si sono rivelati privi di controindicazioni. Vuoi perché l'opzione militare alza la tensione; vuoi perché gli interessi condivisi tardano a materializzarsi. Di qui l'opportunità di concordare una linea di compromesso. L'Ue, senza disconoscere la globalità del fenomeno terrorista, vuole giustamente salvaguardare la specificità del Mediterraneo e la omogeneità degli indirizzi di progresso nell'area. Il punto è se al già ricordato Vertice di Barcellona emergerà con chiarezza la capacità dell'Ue di dimostrare che il progetto geo-politico ha al suo arco sufficienti frecce per poter colpire i mali legati allo squilibrio socio-economico fra le due rive, mali che ancora oggi alimentano, unitamente all'irrisolto conflitto arabo-israeliano, il serbatoio del terrorismo. Costruire nella regione un reale progetto di prosperità condivisa puó ridestare a mio avviso la coscienza mediterranea e porre le basi per una operosa convivenza tra Islam e Occidente. L'Ue e gli Stati membri possono svolgere un ruolo importante per permettere al Mediterraneo di diventare nei fatti uno degli scacchieri in grado di influire positivamente sulla stabilità mondiale, senza subire acriticamente una globalizzazione che pregiudichi la specificità culturale ovvero azzeri la dimensione sociale del mercato.

 

(* Ambasciatore al Cairo)