3 settembre
2005
Il premier di Ankara in Italia replica al nuovo stop in
sede europea. E incassa l’appoggio di Berlusconi
Di Francesco Romanetti
Il senso della risposta all’Europa è in
cinque parole: la Turchia ha già dato. Recep Tayyp Erdogan, primo ministro
turco, sceglie Napoli per replicare a dubbi e tentennamenti europei sul
processo di integrazione della Turchia nella Ue. Il premier di Ankara, che ama
le immagini poetiche e le citazioni letterarie (nel ’98, quando era
all’opposizione, finì in galera per aver declamato una poesia non gradita al
regime), evoca «le brezze del Mediterraneo», destinate ad unire popoli e
civiltà. Ma il discorso si fa secco, quasi ultimativo, quando deve sintetizzare
la posizione del suo governo, al quale viene rimproverato il mancato
riconoscimento di Cipro, stato membro dell’Unione Europea. Erdogan non cita
Cipro. Ma non ce n’è bisogno: «Chi si aspetta - dice - molte cose da noi prima
del 3 ottobre (data prevista per il via ai negoziati Turchia-Ue, n.d.r.), sta
sbagliando. Abbiamo già ottemperato a tutti i cosiddetti criteri di Copenaghen
per l’avvio del negoziato. Non abbiamo più nulla da dare». A Napoli, l’ex
calciatore Erdogan gioca in casa. È venuto per ritirare il premio «Mediterraneo
istituzioni 2005» assegnatogli dalla Fondazione Mediterraneo. L’architetto
Michele Capasso, presidente della fondazione, illustra le motivazioni: Erdogan
«ha contribuito a ridurre le tensioni ed avviato un processo di valorizzazione delle
differenze culturali dell’area euro-mediterranea». Concetti ripresi dal
governatore della Campania, Bassolino («la Turchia nella Ue può rappresentare
un ponte fra occidente e Islam») e dal vice ministro per i Beni culturali,
Martusciello («non c’è dubbio che questo Paese ha assolto alle prescrizioni che
gli erano state date»). Del rispetto dei diritti umani, delle importanti
dichiarazioni dello stesso Erdogan che il 12 agosto scorso a Dyarbakir aveva
per la prima volta riconosciuto l’esistenza di una «questione curda»
(dichiarazioni però seguite da sanguinose incursioni dell’esercito turco nella
provincia di Batman), a Napoli non si parla. Annullata la prevista conferenza
stampa, il premier vola a Roma per incontrare Berlusconi. E anche a Roma, Erdogan
continua a giocare in casa. Il capo del governo turco ottiene quel che si
aspettava: un comunicato di Palazzo Chigi, al termine dell’incontro a pranzo
tra i due premier e il ministro degli Esteri Fini (presente anche Afef, in
veste di consigliere informale per i rapporti con l’Islam), fa sapere che è
stato «riconfermato il sostegno italiano all'aspirazione della Turchia»
all’ingresso nell’Unione Europea. Nella sua intensa giornata italiana - che si
conclude a Cernobbio per prendere parte al workshop Ambrosetti - Erdogan riesce
a mostrare il volto migliore, che è quello dell’islamista moderato, del
riformista che ha avviato la Turchia sul terreno della trasformazione
democratica. Con efficacia respinge preclusioni e ostracismi di natura
islamofoba: «C’è chi vorrebbe fare dell’Ue - dice a Napoli - un club di
cristiani, ma non è così. Per noi l’Ue è un insieme di valori che
condividiamo». Insiste sul concetto di «alleanza» tra civiltà e culture e
ammonisce che il terrorismo si combatte proprio rifiutando lo «scontro di
civiltà». È semmai lontano dall’Italia - a Newport, nel Galles - che la
questione turca si impastoia nelle ragioni della politica. La riunione dei
ministri degli Esteri europei si conclude con un rinvio. Il programmato
documento di risposta ad Ankara - che nel firmare il protocollo doganale con
l’Ue ha precisato che questo non implica il riconoscimento di Cipro - non viene
partorito per le divisioni emerse. Le assicurazioni del ministro degli Esteri
turco Abdullah Gul («la Turchia applicherà tutti gli accordi che ha firmato»)
attenuano la tensione, ma non sciolgono i nodi di fondo. Lo stesso Gul si era
fatto precedere da secche dichiarazioni, in sintonia con (e oltre) l’«abbiamo
già dato» di Erdogan. Se l’Europa porrà altre condizioni, ha detto in sostanza
Gul, potremmo anche lasciar cadere la richiesta di adesione all’Ue. E ognuno
per la sua strada. Solo una tattica?