"IL DENARO"

28 novembre 1998

Il dramma dei turchi e dei curdi

di Michele Capasso

10 dicembre 1994.

"...Nel Mediterraneo i valori e i princìpi dei diritti umani sono beffati, la nostra dignità è nel punto più basso. Davanti ad una tale umiliazione non resta, a noi intellettuali mediterranei, che gridare la nostra collera, sia pure nel deserto, come è accaduto tanto spesso nel passato. Gettiamo di nuovo una bottiglia nel nostro mare con un comune appello, destinato a ciò che resta della coscienza sulle nostre rive …".

Così cominciava l’"Appello per la pace" che la Fondazione Laboratorio Mediterraneo presentò a Napoli ed in Campidoglio a Roma: duecentomila firme di solidarietà e poi azioni concrete a favore dei popoli umiliati ed oppressi. In questi ultimi anni abbiamo "gettato" tante bottiglie nel nostro mare: per la Bosnia ed i Paesi della ex-Jugoslavia, per la Palestina ed il Medio Oriente, per l’Algeria e la Libia, per la Turchia e per i Curdi. Appelli, viaggi – spesso "pellegrinaggi" – nelle terre mediterranee, articoli sui giornali: con ogni mezzo abbiamo cercato di promuovere la pace e la cooperazione essenzialmente attraverso la conoscenza, l’informazione e la comunicazione. Un merito va al settimanale che ci ospita, perché – dando spazio costantemente a questi "appunti di viaggio" – ha assicurato continuità, coerenza e consequenzialità al nostro discorso consentendoci, oggi, di poter ricostruire la verità su molti argomenti: come quello del dramma dei Turchi e dei Curdi, ad esempio. Su questo giornale, nei numeri del 29 marzo 1997 e del 31 gennaio 1998, analizzammo le difficoltà della Turchia ad entrare in Europa ed i retroscena mafiosi legati al grande esodo dei Curdi. Abbiamo raccontato la storia di due popoli cercando di dare spiegazioni a questo fenomeno e preconizzando molti degli eventi che in questi giorni hanno riempito, a dismisura, le pagine dei nostri giornali. In queste ultime ore, spesso senza informare con obiettività, i cronisti si sono lasciati prendere dalle vicende politiche interne cercando, ad esempio, inesistenti legami tra Bertinotti e i Curdi. Questa crisi non giunge inaspettata. La Turchia chiede da tempo di entrare in Europa. Il dramma dei Curdi e il mancato rispetto dei diritti umani sono un ostacolo insormontabile. Molte le contraddizioni in quest’area tormentata. Le colpe, come spesso accade, sono equamente distribuite tra Turchi e Curdi: proviamo, solo come esempio, ad individuarne due, che chiaramente evidenzino la necessità di una corretta informazione per capire gli eventi di oggi. L’ultimo capitolo di una lotta feroce che si protrae da anni in Turchia tra laici ed islamici è costituito dalla sentenza che la Corte costituzionale turca ha emesso il 16 gennaio 1998 determinando lo scioglimento del partito islamico "Refah" per attività contrarie al principio di laicità della Repubblica. La decisione ha inoltre comportato per sette esponenti di questo partito, fra i quali il suo leader Necmettin Erbakan, il divieto di partecipare ad attività politiche per i prossimi cinque anni. Questa decisione ha esasperato ulteriormente la situazione politica ed ha privato i leader islamici di argomenti volti a contenere la radicalizzazione di alcuni militanti di base, già scettici sui benefici ottenibili dalla partecipazione al gioco "democratico". Occorre infatti sottolineare che in Turchia il laicismo non è il risultato di un processo democratico come in Europa, ma è stato imposto autoritariamente con le riforme volute dal fondatore della Repubblica Kemal Atatiirk, con lo scopo di sostituire un’identità musulmana giudicata decadente e arretrata rispetto alla "civiltà" occidentale.

Lo stato, i militari e coloro che hanno approvato lo scioglimento del "Refah" hanno ritenuto che gli ideali islamici costituissero una sfida alla laicità della Turchia, ma questi ideali non possono sparire semplicemente mettendo al bando un partito politico. E infatti dalle ceneri del Refah è risorto il "Partito della virtù", la cui anima rimane sempre Erbakan. La vicenda del Refah è uno degli esempi dei record negativi di questa democrazia imperfetta: il trattamento incivile della minoranza curda, la mancata soluzione cipriota, l’atteggiamento di questi giorni ostile all’Italia e la corruzione che ha colpito il governo di Yilmaz lo testimonia. Il voto a schiacciante maggioranza con il quale, nei giorni scorsi, il parlamento turco ha scacciato l’intero governo per "corruzione" e per "legami con poteri occulti" rimette ancora una volta in crisi l’antica ambizione della Turchia di essere un Paese occidentale: su questo progetto lo stesso fondatore Ataiirk aveva basato l’edificazione della moderna Turchia svincolata dai vincoli dell’Impero Ottomano e protesa in un futuro nel quale le tradizioni di Paesi occidentali quali l’Italia, la Francia e la Germania dovevano segnare l’identità della nuova società turca. E invece, l’omologazione appare fondata sui peggiori vizi della classe politica europea: Korkmaz Yigit ha coinvolto il premier turco Yilmaz in un losco traffico di 300 miliardi di lire, spariti durante la privatizzazione della Turk Ticaret Bank. I colleghi del parlamento turco non si sono lasciati convincere dal giuramento di innocenza fatto giorni fa da Yilmaz e quest’ultimo, prima di andarsene, ha fatto marcia indietro dopo aver visto la solidarietà (era ora!) dell’Europa nei confronti dell’Italia. Ma enormemente più lunga è la marcia indietro che la Turchia deve fare.

Mercoledì 25 novembre 1998. La "legge speciale sul Kurdistan" che dà ai generali i poteri politici e giudiziari di una legge marziale contro i curdi è stata prolungata per la trentatreesima volta. Nella nostra Europa, nel mondo occidentale al quale Atatiirk faceva riferimento, non c’è assolutamente spazio per questo. Come non c’è spazio per il terrorismo e la criminalità che su Abdullah Ocalan (il famoso "Apo", capo del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ospite discusso dell’Italia) lasciano perplessi. Safeen Dizayee, portavoce ad Ankara del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) guidato in Irak da Massoud Barzani, accusa Apo di essersi dedicato senza scrupoli al traffico di clandestini e di droga. Amnesty International accusa il Pkk e Ocalan di gravi colpe e le elenca nei suoi rapporti annuali. Human Rights Watch, un’altra organizzazione internazionale sui diritti umani, ha inviato lo scorso 21 novembre a Palazzo Chigi un dossier sulle violazioni dei diritti umani per le quali Ocalan è ritenuto personalmente responsabile. La lista è estremamente chiara e in essa, ad esempio, si legge: "Anno 1992. Nel villaggio di Seki uomini del Pkk uccidono 10 persone tra cui una donna e 7 bimbi. Nella provincia di Bitlis uomini del Pkk fermano un minibus ed uccidono a freddo i 10 passeggeri. Anno 1994. In un raid in provincia di Madir le forze del Pkk uccidono 20 civili incluso 6 bambini e 9 donne". E così via. In totale i crimini del Pkk documentati riguardano l’omicidio volontario di 768 uomini, donne e bambini tra il 1992 e il 1995. Durante la terza conferenza nazionale del Pkk, nel marzo 1944, fu fatta questa dichiarazione: "La lotta del Pkk ha abbandonato la strategia difensiva: è inevitabile una nostra risposta diretta alla dichiarazione di guerra turca contro di noi. Di conseguenza l’intero Paese deve diventare un terreno di battaglia". È possibile non considerare tutto questo? Solo una costante promozione del dialogo e l’abbandono di interessi di parte potranno restituire al dramma di questi popoli ed all’intero Mediterraneo verità, giustizia e solidarietà.