IL MATTINO
25/10/2005
«Bush sta
perdendo, il suo militarismo è fallito»
DI FRANCESCO ROMANETTI
«Bush sta perdendo. Il disastro
iracheno lo dimostra. Gli Stati Uniti, a quasi tre anni dall’attacco all’Iraq,
non ne controllano il territorio né le risorse. La parola d’ordine della guerra
preventiva ha perso credibilità e oggi un’evenuale aggressione alla Siria o
all’Iran - minacciata e annunciata dopo l’11 settembre - è diventata
inimmaginabile». Ignacio Ramonet, 62 anni, direttore di Le Monde Diplomatique,
è uno dei critici più autorevoli e spietati della versione militare imposta
dall’amministrazione Bush ai processi di globalizzazione. Di formazione
strutturalista, già allievo di Roland Barthes, autore di numerosi saggi,
Ramonet ha ricevuto ieri a Napoli il Premio Mediterraneo 2005 per
l’informazione. «Mensile non neutro, in quanto animato dalle passioni umane e
sociali - è detto nella motivazione letta da Michele Capasso, presidente della
Fondazione Mediterraneo - Le Monde Diplomatique ha per mezzo secolo suscitato
una riflessione indipendente». È vero, Le Monde Diplomatique - Diplò - non è
«neutro». Come ogni presenza culturale che esprima un «pensiero forte».
Ramonet, a Baghdad e in tutto l’Iraq continuano gli attentati. Di che cosa
possiamo parlare? Resistenza irachena? Terrorismo? «Credo che si debba parlare
di più fenomeni. C’è una resistenza di impronta baathista, legata al vecchio
regime saddamista. C’è un’opposizione diffusa all’occupazione militare
straniera e c’è un terrorismo di matrice fondamentalista islamica, fomentato da
Al Qaida». Il fondamentalismo islamico si autopromuove come risposta alle forme
di dominio neocoloniale: questo progetto ha un futuro? «Naturalmente tutte le
forme di terrorismo sono da condannare. Ma questo non basta. L’estremismo
fondamentalista nasce dal fallimento del nazionalismo arabo di impronta
nasseriana, nasce come reazione alla corruzione all’autoritarismo e al
malgoverno diffusisi in molti regimi arabi. Tuttavia credo che non abbia
potenzialità rivoluzionarie: perché il suo messaggio è di natura messianica e
non sociale». Torniamo agli Stati Uniti. L’esito della guerra in Iraq può far
dire che il progetto di Bush e dei neocons americani sia in fase declinante? «È
un fatto che tutti principali artefici della teoria della guerra preventiva -
il vicepresidente Cheney, il ministro Rumsfeld, l’attuale presidente della
Banca Mondiale, Wolfowitz - sono oggi in difficoltà e contraddetti dai fatti.
Tutti e tre hanno coltivato una tentazione imperialistica. Ma i fatti
dimostrano che un imperialismo di tipo militare oggi è impossibile. I processi
di globalizzazione dicono che per controllare le ricchezze di un paese
straniero, non è necessario conquistarlo (e da questo punto di vista la
globalizzazione è estremamente insidiosa). Ma i teorici neoconservatori
americani sono andati oltre. Compiendo un grande errore, perché hanno creduto
che l’incommensurabile superiorità militare americana potesse bastare. Non è
così». Emmanuel Todd, sociologo francese, ha scritto che gli Usa hanno cessato
di essere una soluzione per i problemi dell’umanità, per diventare essi stessi
«il problema». Una tesi eccessiva? «Una sintesi convincente. Penso all’uragano
Katrina e al disastro di New Orleans: gli Usa hanno dimostrato di non sapere
risolvere i problemi dei loro poveri. Come potrebbe, quel sistema di potere,
risolvere i problemi dei poveri del mondo?» Mentre Bush conduceva due guerre -
in Afghanistan e Iraq - si rafforzava la potenza cinese. La Cina ha cambiato il
volto della globalizzazione o rappresenta ”solo“ un elemento che ne complica la
ramificazione? «La Cina resta un enigma. L’ultimo grande paese comunista è
diventato l’officina del mondo. Non è ancora una potenza militare e non
sappiamo se è una realtà stabilizzata. L’innalzamento del livello di vita della
popolazione fa sviluppare domande di libertà e democrazia, oggi negate. La
struttura non è eterna: nemmeno la struttura del potere cinese può esserlo».
Tra i critici della globalizzazione c’è chi, come Samir Amin, dice
esplicitamente che lo strapotere americano può essere bilanciato solo da un
”riarmo“ di Cina ed Unione Europea. Cosa ne pensa? «Penso che sia una posizione
teorica interessante: ma non realistica. Oggi gli Usa impegnano il 7% del loro
Pil per spese militari. Una cifra enorme. Il loro budget militare è il doppio
della somma del budget di Europa, Cina e Russia messe insieme. Per raggiungere
il livello americano, l’Ue dovrebbe spendere il 10% del suo Pil per 40-50 anni.
Quale opinione pubblica acetterebbe una cosa del genere?».