IL MATTINO

31/08/2006

 

Per lui portai la mia Napoli in riva al Nilo
di Tullio Pironti

 

Era il 1988 quando lessi su tutti i quotidiani che lo scrittore egiziano Nagib Mahfuz aveva vinto il premio Nobel per la letteratura. Ero amico di due studentesse dell’ Orientale, Tania Dragotti e Elisabetta Landi, che conoscevano bene Mahfuz. Mi dissero che era il più grande scrittore moderno arabo e aveva vinto il Nobel grazie ai romanzi della Trilogia, (Tra i due palazzi, Il palazzo del desiderio, La via dello zucchero), il suo capolavoro. Pensai che dovevo fare di tutto per assicurarmi i diritti per l’Italia. Sapevo che non c’era tempo, che dovevo decidere tutto e subito, prima che si muovessero i grandi editori, e ci riuscii. Affidai la traduzione a Clelia Sarnelli Cerqua. Ero felice. Che grande soddisfazione: un piccolo editore napoletano pubblicava i migliori romanzi di un premio Nobel. Dovevo presentare quel libro e volevo fare le cose in grande. Quale posto migliore del Cairo, del caffé Ali Baba, il luogo dove Nagib Mahfuz aveva scritto quasi tutti i suoi libri? Sapevo che ogni mattina, alle otto, prima di raggiungere la redazione di «al-Ahram», il giornale a cui collaborava, si fermava nella saletta al primo piano del caffé. Dall’unico tavolo vicino alla finestra osservava la grande piazza e scriveva. Si serviva di una vecchia Remington britannica con il carrello alto e la tastiera ampia. La lasciava nel bar e la trovava sempre allo stesso posto. Scriveva tra gli odori e i rumori del bar e della strada. La gente del Cairo era la sua fonte di scrittura e quei personaggi di cui lui narrava erano proprio come quelli che entravano e uscivano dal bar, gente che lui vedeva e osservava quotidianamente. Partii da Roma con i giornalisti. Arrivammo all’aeroporto del Cairo che era già pomeriggio e ci trasferimmo al Nile Hilton Hotel, al centro del Cairo dove pullman sgangherati, taxi e Mercedes scintillanti sfrecciavano incuranti dei pedoni che cercavano disperatamente di attraversare la strada. Quello stesso giorno, andai con Clelia Sarnelli Cerqua nella casa lungo il Nilo dove lo scrittore arabo viveva con una delle due figlie. Ci ricevette con molte cerimonie. Parlava con voce bassa. Nella grande casa si respirava un’atmosfera ottocentesca. Quando prima di andar via ci salutammo, si rivolse a me dicendomi: «È per me un grande onore averla conosciuta». Rimasi sbalordito. Pensai che era la modestia dei grandi. Il giorno dopo presentammo il libro. Tutti i giornalisti gli fecero una domanda. A tutti rispose con affabilità. Poi rivolgendosi a Carmen Llera Moravia, che era con noi, le disse: «Ho letto molti libri di suo marito, Alberto Moravia. Pensavo che fosse lui a vincere il Nobel. Lo meritava». Di Nagib Mahfuz, negli anni, ho dato alle stampe ancora una lunga serie di romanzi e racconti - Il tempo dell’amore, Chiacchiere sul Nilo, Il mendico, Principio e fine, La taverna del gatto nero, L’epopea dei Harafish, Echi di un’autobiografia, Il settimo cielo, Il miraggio, Il rione dei ragazzi e, pochi mesi fa, La ricerca - e sempre la loro pubblicazione ha avuto un grosso consenso dal numeroso pubblico di lettori italiani.