IL
MATTINO
26/08/2006
Medio Oriente e nuova diplomazia
di
Mario Orfeo
L’Onu, l’Europa, l’Italia. Mortificate
dall’unilateralismo degli Stati Uniti e dall’attacco in Iraq, le Nazioni Unite
sembravano destinate a un rapido e preoccupante tramonto: la missione in Libano
restituisce al Palazzo di Vetro dignità e ruolo oltre al merito di aver posto
fine alla guerra tra Israele e Libano. Divisa, litigiosa, indebolita dai no
alla ratifica della Costituzione, l’Unione europea si trascinava verso un
triste fallimento politico: oggi è la spina dorsale della missione Unifil.
Prima schiacciato dall’eccesso berlusconiano di americanismo, poi condizionato
dall’esasperato pacifismo della sinistra radicale, il nostro Paese rischiava di
pagare in campo internazionale le divisioni interne: dal marzo 2007 il comando
della forza di pace sarà italiano. Per questi motivi il vertice Ue di ieri a
Bruxelles rappresenta un traguardo importante per la diplomazia mondiale dopo
la svolta - gli scettici dovranno ricredersi - della Conferenza di pace di Roma
con Rice, Annan, Siniora e D’Alema. E lo si può dire senza dover cedere alla
benevolenza, senza trascurare i pericoli che la missione comporterà, senza
nascondersi che il peggio può ancora arrivare, che il risultato finale è tutto
da scrivere. Di sicuro il ritorno da protagonista dell’Onu, la ritrovata
(finalmente) compattezza dell’Europa, la riuscita strategia dell’Italia sono il
migliore viatico alla pace dopo più di un mese di combattimenti e una fragile
tregua. I primi soldati - anche quelli italiani - partiranno al più presto e
resteranno a lungo, con compiti chiari, regole d’ingaggio ben definite, rischi
non sottaciuti, ma con un sostegno unanime. Il governo di Israele ha capito che
la sicurezza del suo Stato dipende anche dalla responsabilità della comunità
internazionale, quello di Beirut sa che il suo destino (e ha assicurato il
massimo sforzo) è legato al disarmo di Hezbollah attraverso un’integrazione
delle milizie del «partito di Dio» nella forza regolare libanese.
La Casa Bianca sta rivedendo
le sue convinzioni sulla dottrina della guerra preventiva e l’apertura della
Rice all’Europa - e all’Italia in particolare per il modo con cui sa parlare al
mondo arabo - non nasce solo dalle gravi difficoltà in cui l’amministrazione Usa
si trova nello scacchiere mediorientale. Siria e Iran mandano timidi segnali di
apertura al dialogo che non rassicurano del tutto, eppure consentono di essere
meno pessimisti. Capitolo a parte merita l’Italia: il ministro degli Esteri,
Massimo D’Alema, ha rivendicato come un successo del governo l’esito del
vertice di Bruxelles. E Prodi ha ringraziato lui e Parisi. Il sì responsabile
della Cdl e l’adesione «senza se e senza ma» dell’estrema sinistra sono
l’ulteriore testimonianza della bontà dell’operazione di peacekeeping a cui
l’Italia parteciperà in prima fila. Certo bisognerà essere all’altezza del
compito sia nelle stanze di comando che sul campo, con militari di assoluta
competenza. E bisognerà fare tesoro del modo con cui si è arrivati a questo epilogo
positivo. La Rice
a Roma accanto ad Annan su invito di D’Alema, la visita del nostro ministro
degli Esteri a Beirut, la richiesta del summit Ue, il pressing sulla Francia,
le relazioni con la Spagna,
l’apprezzamento di Tel Aviv con il viaggio della Livni: le tappe del dopoguerra
sono state tutte segnate dall’azione italiana eppure ad ogni tassello hanno
corrisposto critiche, a volte le più rumorose provenienti dalla stessa parte
del governo. I capezzoni o i margheritini che avevano gridato allo scandalo per
la passeggiata dalemiana sottobraccio con il deputato di Hezbollah sono rimasti
in silenzio davanti «all’amico Massimo» pronunciato dal ministro degli Esteri
israeliano. E chi aveva agitato con malcelata soddisfazione lo spettro
dell’isolamento del governo in Europa ora deve contare i circa venti Paesi del
Vecchio Continente che a vario titolo hanno deciso di impegnarsi nella
missione. Polemiche da cortile, spazzate via dall’imminente partenza per il
Libano e dalla speranza di un effetto domino in Medio Oriente che gradualmente
arrivi fino alla Palestina.