IL MATTINO

26/08/2006

 

Le suffragette dell’Islam

di Gianni Verdoliva

 

Una ricerca storiografica. Un manuale didattico. Un testo che ispira e fa riflettere. Great Ancestors è questo e altro. Curato da Farida Shaheed e da Aisha Lee Shaheed per conto del Women Living Under Muslim Laws, un network di femministe musulmane il cui scopo è preservare ed espandere i diritti delle donne che vivono in contesti islamici, il libro porta una nuova prospettiva di lettura all’attuale situazione di crisi che molti definiscono «scontro di civiltà». L’idea alla base del progetto costituisce una sfida al luogo comune che ritiene che solo il mondo occidentale permetta lo sviluppo di società in cui le donne godano di eguali diritti. Un’idea sfruttata non solo dai sostenitori dello scontro di civiltà ma anche dal fondamentalismo islamico che costantemente delegittima e attacca i gruppi delle donne come occidentalizzate. Eppure l’approfondita ricerca storica documentata dal testo mostra esattamente l’incontrario. Le donne che hanno combattuto per raggiungere la parità di genere sono esistite per secoli nelle società musulmane. Secondo Farida Shaeed «si elimina il mito secondo il quale le lotte per i diritti delle donne sono aliene alle società islamiche». Per fare ciò le autrici si sono volte al passato. Trattati, testi, lettere, documenti. Tutto ciò che poteva essere utile a dare la giusta visibilità alle donne musulmane del passato. Comprese le ricerche già svolte. Perché è ormai oltre un decennio che le studiose stanno concentrando le loro ricerche su figure di grandi donne musulmane del passato o su locali gruppi femministi che hanno agito in contesti islamici. A cominciare da Margot Badran che ha tradotto gli scritti di Hoda Shaarawi, una femminista egiziana dei primi del Novecento. E senza dimenticare Le regine dimenticate dell’Islam della marocchina Fatima Mernissi. Eppure Great Ancestors differisce dalle ricerche finora svolte. Se non altro perché, nell’intenzione delle autrici, il passato sia di ispirazione per il futuro. Inoltre non racconta solo storie di donne famose perché, spiega Farida, «tratta delle donne che hanno lottato per l’uguaglianza e la giustizia sociale, che fossero famose o no». E include anche donne non musulmane o donne la cui identità principale non era la religione. Senza dimenticare gli uomini che hanno appoggiato le donne nelle loro lotte. Inoltre amplia lo sguardo all’intero mondo islamico, senza limitarsi a una particolare regione geografica. Ecco quindi che dal passato riemergono figure affascinanti e moderne che hanno colpito le autrici stesse. «Nel nostro profilo sulla regina egiziana Sitt-Ul-Mulk, descriviamo, a proposito delle relazioni interreligiose, come lei aveva eliminato le regole intolleranti verso i non musulmani, stabilite dal fratello, che era il sovrano precedente» spiega Aisha Shaheed. Anche sul tema della leadership religiosa per le donne ci sono sorprese interessanti. «Abbiamo incontrato esempi di donne che svolgevano funzioni religiose in pubblico. Queste donne, come Umrah bint Abdur Rahman e Umm Waqara bint Abdullah operavano nei primi secoli dell’Islam prima che venissero cementate le pratiche sessiste di esclusione delle donne». Si può quindi parlare di storia nascosta delle donne musulmane. «Credo che molto della storia delle donne sia nascosto» spiega Aisha «per tre ragioni, tutte rilevanti anche per le donne musulmane. Prima di tutto la storia è scritta dai vincitori o da coloro che detengono il potere e per questo motivo le storie dei popoli, delle nazioni e degli eventi tendono a offuscare la partecipazione delle donne. In secondo luogo, dato che la storia generalmente si trasmette attraverso gli scritti, e poche donne avevano l’istruzione e il tempo di raccontare il loro vissuto. Infine, altre forme di trasmissione della storia, come le tradizioni orali, sono state messe da parte a vantaggio degli scritti marginalizzando ulteriormente il contributo femminile». Una ricerca difficile e minuziosa quindi. «Molte delle fonti più antiche sono sparse per il mondo. Parte della nostra ricerca si è basata sulla rielaborazione di ricerche già effettuate» spiega. Riemergono quindi dal passato storie di donne coraggiose. «Uno dei profili più significativi che credo sia stato incluso è la storia, basata sull’autobiografia della figlia, di Aini Ait Mansour» continua Aisha. «Questa donna viveva in Algeria tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Essendo stata ripudiata dal marito, la tradizione locale decretava che lei tornasse a casa dai genitori e abbandonasse i figli. Invece di arrendersi, ha resistito alle pressioni sociali ed è rimasta a casa sua con i figli, combattendo una vittoriosa battaglia legale e garantendosi l’autonomia praticamente da sola. Parlando di sessualità, abbiamo anche incontrato riferimenti su donne colte che seducevano gli uomini o avevano relazioni amorose con altre donne». Tra tutti i profili inclusi una donna in particolare ha colpito Aisha: «Ho sentito un’affinità particolare con Atyia Fyzee, un’artista e attivista dell’Asia del sud. Il suo togliersi il velo pubblicamente durante una conferenza sull’istruzione è stato un gesto forte e coraggioso. Ho avuto la fortuna di incontrare una delle sue amiche che è stata così gentile da condividere con me i suoi ricordi e le foto di Atyia e questo mi ha resa più vicina a lei e alla sua vita». Ricordi, racconti, fotografie, diari. Accanto ai testi ufficiali anche l’altra storia riappare. E porta un messaggio a volte più che mai attuale. «Begum Sharifa Hmaid Ali» racconta Aisha «è stata attiva negli anni Trenta e Quaranta in India. Aveva creato un modello di contratto matrimoniale chiamato nikahnama che era una garanzia per la donna, proteggendola nel matrimonio. Il contratto matrimoniale fa parte dell’Islam ed è considerevole il fatto che lei usasse proprio i testi sacri dell'Islam per proteggere i diritti della donna nel matrimonio. Il nikahnama è di nuovo alla ribalta e ci sono donne che stanno cercando di introdurlo, ai nostri tempi, in posti come l’Afghanistan».