IL MATTINO

24/09/2006

 

RIFLESSIONI

Quelle voci dall’Islam « Riformare il Corano »

Comincia il Ramadan un mese di purificazione e digiuno per oltre un miliardo di musulmani

 

di Antonio Badini

 

Per i musulmani comincia in queste ore il Ramadan, il nono mese del calendario lunare considerato sacro poiché fu in tale periodo che nel 610 della nostra era il Corano venne rivelato a Maometto. Più di un miliardo di persone praticano attualmente l’Islam. Una moltitudine. Che spiega accanto al fattore religioso e culturale la dimensione politicamente rilevante dell’evento. Difficile non essere infatti coscienti dell’influenza che i comportamenti, gli stati d’animo e le attese nel periodo di Ramadan di una così larga parte dell’umanità esercitano negli umori se non addirittura nelle vicende mondiali. Oltre ai riti e alla ricca simbologia sociale, cui i musulmani continuano a restare legati, il mondo dell’Islam ripropone annualmente ai propri fedeli le prove, ardue, dell’espiazione, dell’umiltà, del sacrificio purificatore. Ma anche i sentimenti del conforto, della serenità gioiosa e della solidarietà. L’«Iftar», il pasto che al tramonto rompe il digiuno, celebra la condivisione, il ristoro rassicurante con la famiglia, i vicini e gli ospiti in genere, particolarmente graditi se stranieri. Nel Ramadan il buon musulmano si adopera di essere premuroso, condiscendente e comprensivo verso i meno fortunati e gli infelici, rinnovando nelle ore determinate i valori della sottomissione a Dio, i legami della famiglia e della colleganza socio-religiosa. C’è anche molto interesse all’incontro con i cristiani, invitati a condividere le loro storie, ad accostarsi ai loro focolari ma anche a parlare del futuro, di quello che potrà riservare il mondo. Ciò specialmente quando si avvicina la «Notte del destino», fra il ventiseiesimo e il ventisettesimo giorno del Ramadan. È allora che i musulmani si interrogano sul futuro, sui propositi di avanzamento sociale di miglioramento delle condizioni di vita senza nascondersi le delusioni e privazioni che, almeno una larga parte di loro, dovrà essere pronta ad affrontare. E così mentre il Ramadan volge al termine tornano a mischiarsi valori antichi e sfide nuove, il rifugio offerto dalla fede con la dura realtà della vita di tutti i giorni, i desideri e le speranze di approdi più rassicuranti con le ansie e le paure che li rendono elusivi e meno ospitali, a causa delle esistenti tensioni fra Islam e Occidente. E invero, lo scacchiere regionale appare ancora gravido di nubi minacciose. In Iraq, le televisioni satellitari continuano a mostrare scene di violenza interconfessionale, di distruzione e morte; in Medio Oriente le notizie di passi in avanti si alternano a quelle di brusche frenate. E nondimeno c’è qualcosa che insiste a volerci annunciare barlumi di speranza. L’Ue, grazie in particolare all’Italia, si è ridestata alle sue responsabilità. Essa sta fornendo un grande contributo per permettere al governo legittimo del Libano di riappropriarsi delle funzioni sovrane, incluso il controllo territoriale. I caschi blu delle Nazioni Unite prendono giorno dopo giorno posizioni nei luoghi affidati prima al presidio militare delle milizie di Hezbollah. È lecito attendersi dall’Unifil rafforzata lo spiegamento di una capacità dissuasiva sufficiente a impedire nuovi pericolosi incidenti alla frontiera con Israele. Nel frattempo i membri del «Quartetto» (Ue, Stati Uniti, Russia e Onu) sono tornati a parlarsi per rimettere in moto un meccanismo inceppatosi dopo la vittoria di Hamas alle elezioni legislative nei Territori palestinesi. La formazione di un governo di coalizione darà certamente al presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, una maggiore autorevolezza per la ripresa del negoziato di pace con Israele. Occorre però restare vigili. Il Parlamento italiano ha dato in occasione del voto sulla missione in Libano una prova di grande significato per le altre mosse che si stanno disegnando nello scacchiere mediorientale. A cominciare da quella, ancora promossa dall’Italia, di schierare una forza di pace Onu al confine fra Gaza e Israele. Sono passi apparentemente lenti e faticosi ma che potrebbero innescare dinamiche più robuste capaci di condurre a quella Conferenza di pace globale che anche l’Italia si è candidata a ospitare. Occorrerà allora ampliare la prospettiva e lavorare perchè anche Siria e Iran siano coinvolte. L’Iran chiede garanzie per quanto riguarda la propria sicurezza, la Siria cerca di capire se sussiste una chiara volontà di includere la restituzione delle alture del Golan nell’agenda delle trattative. È verosimile che il lancio di un regolamento di pace globale e durevole, ovvero l’avvio di un processo serio, in tale direzione, come chiede la Lega degli Stati arabi, toglierebbe gran parte della legittimità alle forze estremiste che puntano sul sovvertimento violento degli attuali equilibri regionali. Anche la lotta contro il terrorismo acquisterebbe in ampiezza e in autorità morale, isolando il radicalismo violento che è privo di qualsiasi progetto politico. Ma anche sul fronte arabo interno non mancano sviluppi promettenti. Si avvertono in alcuni paesi fermenti di un nuovo slancio verso il rafforzamento delle istituzioni democratiche, il rispetto dello Stato di diritto e a più breve termine un più grande accesso all’istruzione, alla mobilità sociale e all’evoluzione del pluralismo. C’è un appello delle istanze più avvertite volto a contrastare l’inerzia per favorire una più cosciente e capillare partecipazione dei cittadini alla vita nazionale. Sbaglierebbe chi mettesse aprioristicamente in dubbio la forza delle istanze riformiste; sbaglia chi continua a lasciarsi guidare dagli stereotipi. è lecito mettere in dubbio la capacità del mondo arabo di dotarsi di strutture democratiche. La democrazia può non essere esportabile se la si confeziona sulla base di procedure e modelli estranei alla tradizione arabo-musulmana. Ma anche qui occorre lavorare seriamente diffidando dei pannicelli caldi di frettolosi convegni inter-religiosi e inter-culturali. Meno folklore e più coerenza dando voce ai protagonisti del possibile cambiamento, cioè gli scrittori, gli uomini di pensiero, i media, il mondo della Scienza del diritto e dell’economia. Molto dipenderà dai dibattiti interni ai due mondi poichè ogni processo riformistico e di modernizzazione deve essere endogeno, maturare nelle rispettive società. C’è già una continuità di ricerca fra tradizione e modernità che avanza sia pure a passo incerto nel solco tracciato da riformatori quali Mohamed Abdu (sceicco di Al Azhar), Gamal Eddin Al Afghani e soprattutto di Taha Hussein. Un solco che oggi fa intravedere spazi nuovi per la classe intellettuale arabo-musulmana chiamata a conciliare la specificità dell’Islam con la tendenza verso un’economia mercato integrato, che sollecita una più grande apertura verso culture condivise come ad esempio quella di impresa e mercato. Di recente, Gamal El Banna, fratello del fondatore in Egitto dei «Fratelli Musulmani», ha dichiarato pubblicamente il suo impegno per rimettere la cultura e l’arte islamiche nei processi formativi del progresso mondiale. Secondo il noto scrittore, ma certo non è il solo, un nuovo impulso al pensiero islamico potrà avvenire se si riuscirà a elaborare una interpretazione aggiornata del Corano. Mohamed Chérif Ferjani - altro noto autore islamico - nella sua opera «Politica e Religione nell’Islam» va oltre il suggerimento di storicizzare il Corano sollecitando una teologia meno acritica secondo la definizione data dal politologo francese Olivier Roy. È probabile che le tesi dei riformatori, susciteranno le reazioni dure e eclatanti da parte di coloro, i «tradizionalisti», che temono di essere confinati ai margini della società islamica come fanatici fomentatori di violenza. Oggi se i media diffondono maggiormente gli episodi di conflitto, la realtà vissuta è anche testimone di incontro e conciliazione fra cristiani e musulmani. Manca ancora una sufficiente azione di visibilità. Ma iniziative nuove e interessanti assunte dai riformatori, che aspirano ad adattare il nozionismo cristallizzato dei tradizionalisti alle esigenze della vita moderna, sembrano destinate a riequilibrare la percezione pubblica. Sarebbe tuttavia sbagliato per l’Occidente mettersi provocatoriamente dalla parte dei riformatori senza il doveroso rispetto che si deve alle questioni interne a uno Stato. Anche l’Occidente del resto deve infatti fare la sua parte e liberarsi delle politiche che direttamente o indirettamente evocano una discriminazione o comunque un riguardo carente per la tradizione musulmana e la causa araba. Aiutare l’affermazione dei riformatori dell’Islam significa far prevalere in Occidente posizioni e comportamenti che manifestano una reale volontà di incontro filosofico, politico e economico che permetta di affrontare con un approccio condiviso di geo-strategia le sfide della globalizzazione da un lato e di una pace durevole e equa, dall’altro.