"IL DENARO"
12 ottobre 1996

Aiutiamo il processo di pace tra israeliani e palestinesi

di Michele Capasso

Venerdì 4 ottobre 1996. Festa di San Francesco. Ore 14,15. Come una meteora compare a Napoli Arafat, accompagnato da una pioggia battente e da imponenti misure di sicurezza. Riesco a stento a salutarlo.

Yasser, stanco e deluso dal recente viaggio in America e dal braccio di ferro con Netanyahu, chiede aiuto ai partner europei. Veltroni lo trova "molto preoccupato". Prodi, ancora con i pensieri nell’incontro con Chirac e la delegazione francese, si sforza per "sintonizzarsi" sul problema palestinese. Chirac, ligio ad incomprensibili regole diplomatiche, vola subito a Parigi per ricevere lo stesso Arafat. Molti non capiranno perché questo incontro non sia avvenuto a Napoli, risparmiando all’esausto Arafat un altro pellegrinaggio in terra francese. Bassolino è il vero padrone di casa e promette un’iniziativa dei Comuni per la pace in Medio Oriente. Arafat invita il Sindaco di Napoli a visitare la Palestina.

Il leader palestinese ha il volto cupo. Lo stesso che ha mostrato negli Usa all’incontro con Clinton, Hussein di Giordania ed il premier israeliano. Niente a che vedere con l’immagine di Arafat, Rabin e Clinton sorridenti più di un anno fa. Allora la pace sembrava cosa certa. Su questo evento il presidente americano aveva costruito il successo della sua politica estera. Gli accordi di Oslo avevano posto il sigillo di pace. Oggi tutto appare perduto e viene evocato da più parti lo spettro di una nuova guerra che potrebbe avere conseguenze serissime per l’intera regione Mediterranea con ripercussioni su scala mondiale.

A Gerusalemme, "capitale" del culto delle tre Fedi – islamica, cristiana ed ebraica – la riapertura del "cunicolo di Erode" – un tunnel lungo 488 metri costruito all’epoca de regno ebraico degli Asmenei nel secondo secolo a.C. e scoperto 130 anni fa dall’archeologo italiano Pierotti – ha provocato decine di morti. Le ragioni delle diverse fedi navigano tra alibi politici, integralismi ed archeologia. La questione di Gerusalemme, città universale che non può essere umiliata diventando solo la capitale di uno stato moderno, pone seri ostacoli alla maturazione del processo di convivenza tra Israele e la Palestina.I provocatori estremisti desiderano esattamente quello che sta accadendo: creare incidenti, alimentare le tensioni, seminare tra i più ignoranti e sprovveduti tra i musulmani simpatie per i fondamentalisti in modo da poter tranciare con giustificazioni credibili il processo di pace. L’obiettivo chiaro è la provocazione. Per creare disperazione e spingere verso gesti insani. L’uccisione di Rabin è stata la prima tappa di un progetto folle che confonde l’esaltazione idolatrata della "terra" d’Israele con lo Stato d’Israele, la stessa "terra" con l’"uomo".

Il Medio Oriente è infermo. La crescita di un integralismo ebraico che si contrappone a quello islamico non alimenta più guerre esterne contro Israele, ma guerre civili. Fino ad oggi Israele è stata odiata per la sua "occidentalità", per essere l’alleato Usa più vicino al mondo musulmano. Oggi viene odiata nell’intimo, quasi per una contrapposta simiglianza tra i due integralismi. Ecco perché Hosni Moubarak ha severamente criticate l’inaffidabilità di Netanyahu disertando il negoziato Usa. Il presidente egiziano considera un grave oltraggio la riapertura del tunnel sottolineando il pericolo di ricadere in un circolo vizioso: la violenza – ribadisce Moubarak – si ferma solo, volendolo, accelerando i negoziati di pace e la stessa pace andrà avanti se e solo "se", non ci sarà violenza.

Martedì 8 ottobre 1996. Arafat incontra il Presidente dello Stato d’Israele Weizmann. Il suo volto appare più disteso. La consapevolezza – o la speranza – che non tutti gli israeliani la pensano come Netanyahu riaccende barlumi di pace.

Credo importante, a questo punto, capire, in modo semplice, quale potrebbe essere la soluzione e quale ruolo possono svolgere i Paesi europei, Italia compresa.

Il governo di Netanyahu non ha capito bene che è necessario "dare" per poter poi "ricevere". Senza giustizia non c’è pace. E questo lo stesso premier israeliano sembrava averlo compreso. Il motto della sua campagna elettorale è stato "Pace con sicurezza". Oggi non vi è né pace né sicurezza. La sicurezza, del resto, si ottiene solo con la pace e per conquistare la pace ci vuole un compromesso che garantisca la sicurezza. Siamo di nuovo di fronte ad un circolo vizioso.

Per giungere al compromesso occorre una "mutua" concessione, sia da parte degli israeliani che dei palestinesi. Arafat, dunque, deve garantire la sicurezza: non allo Stato d’Israele, ma ai singoli israeliani. Il problema fondamentale non è oggi la sicurezza dello Stato ma quella degli individui. I palestinesi devono garantire tale sicurezza. Per ottenere l’appoggio fondamentale dell’opinione pubblica israeliana al processo di pace. Bisogna riaffermare, come avevano già fatto Rabin e Peres, il principio che Israele – e torniamo all’altra concessione – non può e non deve dominare un altro popolo, e che è giusto cedere, in cambio della pace, territori abitati dai palestinesi: un popolo che ha diritto come tutti all’autodeterminazione ed all’indipendenza. Non è possibile che Israele, spinto da una minoranza ultranazionalista, possa essere il responsabile della distruzione di un processo di pace. La storia verrebbe riportata indietro e la guerra che potrebbe scaturirne oggi sarebbe la prima tra Israele e la Palestina (che un tempo "non esisteva" ma che oggi è riconosciuta da tutti).

Ecco, credo di aver espresso in pochi concetti lo stato delle cose ad oggi. Queste motivazioni e preoccupazioni sono state oggetto degli incontri di Arafat con Prodi e Chirac. Ai politici con la "P" maiuscola il leader palestinese ha chiesto aiuto. Come se l’arte della politica, del compromesso e della pace controllata fosse un merito storico degli europei. Oggi più che mai l’Europa – e soprattutto il governo italiano – possono dare una mano per interrompere il "circolo vizioso". Possono trasmettere "antiche" esperienze capaci di aiutare la costruzione di un compromesso attraverso concessioni equilibrate.

Per fare questo è indispensabile capire – una volta per tutte – che il Mediterraneo è una questione vitale. Lo hanno da sempre compreso i Presidenti degli Stati Uniti – Clinton incluso – è ora che lo comprendano i leader europei. Solo se si renderanno conto che pace e guerra del terzo millennio si decideranno a Gerusalemme, città delle tre Fedi, sarà possibile contribuire a costruire nuove regole per far coesistere, in modo equilibrato, le democrazie liberali e gli integralismi, arabi o israeliani che siano.

Mentre scrivo queste pagine i palestinesi stanno scavando una moschea sotterranea, dove un tempo erano le "Stalle di Salomone". È la risposta al "tunnel" degli ebrei. Un rapporto dello "Shin Bet" annunzia un futuro delineato da attentati a "sfondo religioso". Il circolo vizioso non riesce ad interrompersi. La pace è sempre più lontana.