"IL DENARO"

1 febbraio 1997

 

Il Cinema dei Paesi Arabi*

di Michele Capasso

Martedì 28 gennaio 1997. Roma, Accademia Egiziana. Presentiamo la quarta edizione della rassegna "Il Cinema dei Paesi Arabi" organizzata dalla Cineteca del Comune di Bologna, dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo, dal Ministero Egiziano della Cultura, dal Ministero Siriano della Cultura con la collaborazione di altre Istituzioni internazionali. Continua l’esplorazione all’interno del cinema arabo avviata già da diversi anni. In questa edizione la rassegna assume una nuova dimensione, nazionale ed itinerante.

Il "Cinema dei Paesi Arabi 1997" toccherà, infatti, sei grandi città italiane, partendo da Roma (dal 27 al 31 gennaio) e proseguendo quindi attraverso Palermo (dall’1 al 9 febbraio), Bologna (dal 12 al 19 febbraio), Torino (dal 21 febbraio al 4 marzo), Venezia (dal 5 al 26 marzo) e Napoli (dal 8 al 15 marzo).

È un programma ricco ed articolato quello del "Cinema dei Paesi Arabi", con circa quaranta titoli distribuiti in tre tranches.

1. "Informativa 1994-1996", è uno sguardo sulla produzione araba contemporanea, con un’attenzione particolare rivolta alla nuova, problematica, frantumata situazione del cinema maghrebino e ad una cinematografia del tutto nuova per il pubblico occidentale come quella siriana. Tra i titoli presentati, "I silenzi del Palazzo" della tunisina Moufida Tlatli, "Il re dell’asfalto" dell’egiziano Ussama Fawzi, "Un’estate alla Goulette" di Ferid Boughedir, ormai storico pioniere e innovatore del cinema tunisino ma anche produzioni palestinesi come "Haifa" di Rashid Masharawi e libanesi come "C’era una volta Beirut" di Jocelyne Saab

2. "Profilo storico del cinema siriano", è l’incontro con il cinema della Siria attraverso una retrospettiva dedicata agli anni Settanta ed Ottanta, anni nei quali l’Organizzazione Nazionale del Cinema Siriano si pone alla guida del movimento panarabo di rinnovamento del cinema

3. "Personale Youssef Chahine", è la presentazione in Italia, per la prima volta in forma organica ed in numero consistente, dei film di questo cineasta egiziano, attivo fin dagli anni Cinquanta, in Europa scoperto ed amatissimo dalla critica francese, oggi certo tra gli autori più interessanti e complessi del cinema dei paesi arabi. Chahine ha preso parte ed ha influenzato tutte le correnti che hanno attraversato il cinema arabo negli ultimi quarant’anni, è riuscito a restare profondamente radicato nella cultura del proprio paese pur aprendosi alle correnti di pensiero europee, e attraverso una personalissima concezione polifonica del cinema, epica e lirica ad un tempo, ha compiuto anche un esemplare percorso intellettuale all’insegna della libertà di pensiero. Tra i molti film di Chahine centrali sono sicuramente quelli che compongono la "trilogia alessandrina" "Alessandria perché?" (1979), "La Memoria" (1982) e "Alessandria, ancora e sempre" (1990), presentati nel corso della rassegna.

Due cataloghi accompagneranno la manifestazione: "Il Cinema dei Paesi Arabi", a cura di Anna Di Martino, Andrea Morini e di chi scrive, pubblicato dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo e "Speciale Youssef Chahine", traduzione italiana del numero speciale dei Cahiers du Cinéma (ottobre 1996) dedicato al cineasta egiziano.

La presentazione di Roma ha assunto un particolare significato. I registi Ussama Fawizi e Kairi Bishara ed il critico egiziano Samir Farid hanno lucidamente delineato la situazione critica nei Paesi Arabi dove, nella più parte dei casi, il cinema viene considerato solo un divertimento e non un prodotto culturale anche se "i cinema sono pieni, nonostante il biglietto costi l’equivalente di un chilo di carne".

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo ha sottolineato l’importanza del linguaggio cinematografico per ricostruire quella comune identità mediterranea attraverso la valorizzazione di ciascuna propria identità. Sono questi i motivi che hanno spinto la Fondazione a selezionare, all’interno della propria rete culturale, quei soggetti e quegli eventi che perseguono tale obiettivo. In questo contesto le due rassegne che la Fondazione Laboratorio Mediterraneo coorganizza – gli "Incontri con il cinema dell’Europa centro-orientale" ed il "Cinema dei Paesi Arabi" – rappresentano due elementi essenziali per riallacciare il dialogo tra il Nord e quella Sud del Mediterraneo.

È opportuno illustrare brevemente le principali cinematografie presenti alla manifestazione.

Partiamo dal Libano, con le descrizioni di Ibrahim al-Ariss. È difficile classificare il Libano tra i maggiori paesi produttori di film, sebbene esso sia – a giudicare dal numero di pellicole ivi girate o prodotte a partire dalla fine degli anni Venti fin ai giorni nostri – nel mondo arabo, secondo solo all’Egitto, per produzione cinematografica. Tutti film libanesi messi insieme, prodotti nell’arco di circa due terzi di secolo, non superano ciò che in certi momenti è stato realizzato al Cairo in due o tre anni, e sono appena la metà di ciò che l’India produce in un solo anno. Nei sessantasette anni che ci dividono dal 1929, anno in cui l’italiano Giordano Bidotti girò il primo film libanese, "Mughamarat Elias Mabruk" (Le avventure di Elias Mabruk), il Libano ha prodotto circa 270 lungometraggi e altrettanti cortometraggi. La situazione è però piuttosto complessa, visto che la maggior parte delle pellicole realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Settanta, che prendevano a modello il cinema egiziano, erano spesso realizzate da registi ed attori egiziani e vi si parlava l’arabo egiziano sono dunque film che è difficile catalogare come libanesi. Possiamo però affermare che il cinema libanese esiste, così come esiste una storia della produzione cinematografica del Libano. Il festival cinematografico tenutosi a Beirut nel 1995 dedicato ai giovani registi ha presentato quasi quaranta cortometraggi ed ha evidenziato la presenza di una generazione postbellica di cineasti interessati a problematiche di ordine estetico e formale. Alcune di queste opere mostrano crescita e maturità e fanno pensare – se solo sarà possibile trovare finanziamenti per la produzione e la distribuzione – che si possa costituire una "nouvelle vague" nel cinema libanese.

Samir Farid2, che siede al mio fianco, con il suo "inglese arabizzante" riassume uno dei problemi del cinema egiziano degli anni ’90. Dice che nel corso degli ultimi sette anni di questo decennio che conclude il ventesimo secolo sono stati presentati per la prima volta 339 lungometraggi egiziani di fiction. Le cifre relative alla distribuzione cinematografica egiziana corrispondono pressappoco a quelle relative alla produzione. Il verificarsi di una diminuzione produttiva, quindi, è dovuto a una quantità di cause, la più importante delle quali è da rintracciarsi nell’esistenza di società di produzione finanziariamente dipendenti dalla vendita dei diritti dei circa 2500 film egiziani in circolazione sui vari mercati, il cui costo si è notevolmente abbassato grazie alla nuova distribuzione da parte delle reti televisive via cavo che si sono diffuse nei paesi arabi negli ultimi tre anni.

Interessanti si presentano le sezioni dedicate al cinema maghrebino, (tunisino e marocchino), al cinema palestinese ed a quello siriano.

La preistoria del cinema in Palestina è pressoché sconosciuta. Ma se in tutti i paesi arabi, nei primi anni del secolo, ci sono stati tentativi locali di produzione, è impossibile che non ce ne siano stati anche in Palestina. La diaspora palestinese alimentò il cinema egiziano con il fratelli Lama (Ibrahim e Badr) che, di ritorno dal Cile, realizzarono il primo film egiziano "Baiser dans le désert" (Baci nel deserto).

La storia e l’evoluzione del cinema siriano è particolare. Nel momento in cui avveniva la prima proiezione dei film Lumière, nel 1895 al Gran Café parigino, la Siria era sottomessa al giogo dell’occupazione Ottomana. Il Paese conoscerà l’arte cinematografica solo nel 1908, ad Aleppo, città nella quale un gruppo di stranieri, venuti dalla Turchia, aveva organizzato una proiezione cinematografica in un caffè. L’ingresso ufficiale del cinema in Siria avvenne nel 1912 con una proiezione, organizzata da Habid Shammass, che ebbe luogo in un caffè di Damasco. A quell’epoca l’apparecchio di proiezione era azionato a mano.

Concludo segnalando la significativa attenzione della rassegna verso la rappresentazione della donna nel cinema arabo contemporaneo, dove, con grandi difficoltà, si impone la figura femminile che compare spesso ai margini del racconto. In tanti film, per schemi legati alla tradizione, per una mentalità maschilista diffusa anche nei registi che hanno studiato all’estero, la donna è schiacciata, sottomessa, considerata un accessorio secondario anche dal punto di vista visivo. Non ha dignità nella creazione dell’immagine filmica se non in rare eccezioni. Nella storia del cinema arabo, ovviamente, non mancano i film che parlano di donne ma è spesso per raccontare la loro subalternità, le ingiustizie subite, le violenze mai denunciate, le segregazione. L’immaginario arabo è posseduto dalla figura della donna/femmina, una figura che impaurisce soprattutto se si mostra libera e indipendente, se va contro la tradizione. La paura di affrontare tematiche femminili può essere vista come paura di andare in profondità, di sviscerare i problemi per poi affrontarli. Ma nei film realizzati recentemente qualcosa sta cambiando e sta trasformando la consueta rappresentazione femminile. La donna nel Cinema Arabo può considerarsi la cartina di tornasole delle problematiche e dei disagi di una società che, nonostante tutto, non può più andare contro la Storia e impedire inevitabili cambiamenti.