"IL DENARO"

22 novembre 1997

Il lungo cammino verso un’area di libero scambio*

di Michele Capasso

Napoli, 22 novembre 1197. L’obiettivo principale della I Conferenza Euromediterranea di Barcellona del 1995 – ribadito nella II Conferenza di Malta nel mese di aprile 1997 – è quello di creare, entro il 2010, un’area di libero scambio tra i paesi dell’Ue e quelli del bacino mediterraneo.

Più volte abbiamo affrontato il problema dal punto di vista socio-culturale. In vista del II Forum Civile Euromed, del prossimo dicembre, ritengo utile esporre alcune considerazioni di natura economico-sociale che saranno affrontate nella sessione del Forum dal titolo "Il ruolo dei partner economici e sociali e la cooperazione decentrata".

È importante non sottovalutare la compatibilità tra le specializzazioni produttive delle Regioni italiane con la natura della domanda dei Paesi del bacino mediterraneo. L’industria italiana, salvo alcune eccezioni, è orientata a produrre beni di largo consumo in cui è forte la componente "qualità" e la componente "immagine". Sono in parte produzioni il cui fattore di competitività sul mercato internazionale non è il prezzo e che, di conseguenza, possono essere esportate in mercati a medio-alto reddito. E qui veniamo alle condizioni e alle prospettive (almeno di medio periodo) prevalenti nelle economie del bacino mediterraneo, e cioè proprio nei Paesi che molti, qui da noi, considerano clienti privilegiati del nostro sistema produttivo. Nei fatti, la gran parte dei Paesi mediterranei non aderenti all’Unione europea non ha conosciuto i processi di crescita impetuosa che hanno interessato il Sudest asiatico o parte dell’America Latina. Se, ad esempio, si guarda ai livelli di reddito pro-capite, si resta sorpresi nel notare come in nessun Paese della riva Sud del bacino – con l’eccezione della Libia, da addebitare alla limitata consistenza demografica e alla sua natura di Paese esportatore di greggio – raggiunga la soglia dei duemila dollari all’anno (Italia 20,000). Neppure nell’Algeria, largamente provvista di materie prime strategiche quali il gas, i fosfati, il petrolio. Particolarmente grave la condizione della Repubblica Araba d’Egitto, dove il livello del prodotto interno lordo (Pil) pro-capite (700 dollari l’anno) si situa su livelli da Africa subsahariana. Il quadro non cambia, nella sostanza, se si osservano i valori di altri indicatori di benessere, come la speranza di vita o il tasso di scolarizzazione. In nessuno dei Paesi considerati, infatti, la speranza di vita media per le femmine – sesso che vive più a lungo – raggiunge i 70 anni, e si mantiene attorno ai 63-65 anni per i maschi. Quanto ai tassi di scolarizzazione, l’unica eccezione positiva è rappresentata dalla Tunisia mentre nello stesso Egitto, che pure vanta le istituzioni formative e culturali più prestigiose del mondo arabo, non va oltre il 51%.

Se, ancora, si guarda alla distribuzione dell’occupazione per settori di attività, si evidenzia come la forza lavoro agricola sia sopra il 35%. Il quadro del reddito pro-capite non cambia se prendiamo in esame i Paesi mediorientali (fatta eccezione per Israele). In Siria, ad esempio, dove il tasso di scolarizzazione è del 71% e dove esistono tradizioni di cultura urbana e cosmopolitismo plurisecolare, il prodotto interno lordo annuo per abitante è di circa 1.500 dollari contro i 13.000 di Israele. In questi Paesi il livello di reddito basso fa si che la massima parte di questo venga speso in consumi alimentari, vincolando e riducendo le capacità di risparmio.

Massima attenzione va posta invece alla Turchia, il gigante demografico del Mediterraneo (62 milioni di abitanti incremento demografico del periodo 1990-1995 = + 2%). Un Paese con un reddito pro-capite ancora sotto i duemila dollari annui (ma il valore maschera fortissime disparità fra regione e regione) con tassi di crescita negli ultimi tempi persino negativi, per di più associati a iper-inflazione (incrementi dei prezzi su base annua sopra il 140%), con problemi di stabilità politica e colpito dalla guerriglia interna curda, ma anche un Paese con grandi prospettive. Si pensi al ruolo che ha l’alta burocrazia, fra le più efficienti del Mediterraneo alle inclinazioni modernizzanti e laiche (un argine alla diffusione del fondamentalismo) di gran parte della sua pubblica opinione e del ceto militare alla presenza di un apparato produttivo settorialmente diversificato e di tutto rispetto (l’industria in senso stretto contribuisce per un 27% al valore aggiunto) alla capacità attrattiva che il Paese manifesta nei confronti dei Paesi turanici dell’Asia Centrale ricchi di materie prime (l’Azerbaigian ad esempio) e di alcuni Paesi dei Balcani. Se c’è nel Mediterraneo "non-europeo" un Paese che ha buone prospettive di sviluppo, questo è dunque la Turchia, e ad Ankara conviene guardare con attenzione.

Con attenzione si deve inoltre guardare ai due Paesi del Mediterraneo orientale a tutti gli effetti classificabili come "Paesi ricchi" Cipro e Israele. Il primo, pur di modeste dimensioni (solo 700.000 abitanti) si distingue per stabilità finanziaria, apertura agli investimenti internazionali (in sostanza, è una zona "off-shore"), elevatissimo livello di qualificazione della forza lavoro (un cipriota su quattro è laureato). È una destinazione privilegiata per investimenti finanziari e potrà diventare la City del Mediterraneo.

Il secondo, dopo decenni in cui l’economia era sostanzialmente sostenuta dagli aiuti Usa, conosce da circa vent’anni un processo di crescita quasi da Sudest asiatico, sostenuto da una disponibilità di forza lavoro altamente qualificata e indirizzato verso le alte tecnologie. Israele è la "Silicon valley" del Mediterraneo, un partner ideale per acquisire e per sviluppare e vendere insieme "Know how" scientifico e tecnologico di punta. Un Paese a tutti gli effetti "europeo"(reddito pro-capite 14.000 dollari tasso di scolarizzazione 97% speranza di vita alla nascita, per le femmine, 72 anni), la cui integrazione nell’Ue è frenata solo da considerazioni politiche, ma le cui prospettive restano però negativamente condizionate dalla persistente stasi del processo di costruzione della pace nell’area.

Per il momento abbiamo tenuto fuori da questo quadro l’analisi della situazione e delle prospettive dei nostri vicini balcanici, rinviandoLa a un’altra occasione.

Dal quadro che abbiamo delineato, ricaviamo alcune osservazioni conclusive

1) i vantaggi comparati "ideali" derivati dalla posizione geografica dell’Italia, e soprattutto delle Regioni meridionali, devono essere tradotti in vantaggi comparati "reali" 2) i mercati mediterranei non sono un Eldorado a portata di mano, e le opportunità che offrono restano, nella generalità dei casi, piuttosto limitate 3) all’interno del bacino si distinguono in positivo alcuni Paesi sui quali andrebbe concentrata l’attenzione e la costruzione di strategie di cooperazione e di penetrazione commerciale e/o di promozione di investimenti in comune.

A tutto questo si deve aggiungere che se si tratta di costruzione di una strategia che valorizzi la posizione geografica delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia, tale obiettivo deve essere realizzato con la collaborazione di tutte le forze sociali e politiche, e non "contro" o "a favore" di qualcuno.