"IL DENARO"

8 marzo 1997

Il Mare delle Donne*

di Michele Capasso

16 febbraio 1996. In una trattoria di Genova discuto con Carmen Llera Moravia e Tahar Ben Jelloun sul ruolo degli intellettuali e degli scrittori mediterranei. Concordiamo sull’importanza delle donne mediterranee per rafforzare il dialogo interculturale ed accelerare il processo di pace. Tahar paragona il Mediterraneo ad una donna, ad una madre. Gli chiedo di scrivermi il suo pensiero.

Sabato 8 febbraio 1997. Festa della donna. Rileggo il foglio che mi scrisse Tahar "Il Mediterraneo è una madre abusiva che noi amiamo malgrado tutto.. Il Mediterraneo è una passione amara che si sopporta grazie all’olio di oliva, ai colori del cielo e delle verdure. Essa ci inebria di sogni pazzi ma necessari. Il Mediterraneo è una maniera di respirare, di ridere, di gioire e di piangere. Tutto è eccessivo le lacrime come il riso, l’amore come l’odio. E poi il Mediterraneo ha un seno abbondante e a noi piace rifugiarci in esso, soprattutto quando il sangue fratricida sgorga a fiotti".

Wijdan Ali, Caterina Arcidiacono, Clelia Cerqua Sarnelli, Assia Djebar, Grazia Francescato, Maria Teresa Giaveri, Khalida Messaoudi, Franca Pizzini, Luciana Stegagno Picchio a tutte loro un grazie per il contributo fornito alle attività ed ai programmi di ricerca della Fondazione Laboratorio Mediterraneo.

Donne mediterranee. Protagoniste, nel bene e nel male, delle travagliate storie dei Popoli che si affacciano su questo mare il "Mare delle Donne".

Mercoledì 5 marzo 1997. Valona. La tragedia albanese che avevamo previsto e descritto da tempo, anche in precedenti articoli su "Il Denaro", si è puntualmente verificata. Riesco a parlare con Ana, un’amica di Valona. Piange. Si dispera. Ha perso tutto. Prima con le "finanziarie truffa", ora con le bande di ribelli che saccheggiano e sparano all’impazzata. Come lei piangono altre donne. Con dignità. Eppure resistono. Cercano di riportare un minimo di equilibrio e ragione in una guerra civile che è ormai inevitabile responsabili i governanti dell’Albania ed anche quelli dei Paesi occidentali sordi ai gridi di allarme da tempo lanciati.

È sempre una donna, una nonna, a convincere il genero – ricercato dalla polizia italiana – a mettere in salvo i figlioletti in Italia. L’uomo attraversa l’Adriatico. Consegna i figlioletti ed i suoceri alle autorità italiane e ritorna a Valona. La televisione ci ha mostrato le immagini di quella nonna sofferente in ospedale che chiede notizie dei nipotini.

Zuri, Elena, Razija, Elsa, Sara, Marica, Vera, Nina, Irine, Lara, Nada, Katarina, Diana, Marina, Marija, ...Migliaia di nomi sbiaditi stanno su croci o assi di legno nei cimiteri di Sarajevo, Tuzla, Mostar, Sebrenica e di tanti altri luoghi della ex Jugoslavia. Sono donne "fortunate". Hanno per lo meno una tomba. Altre, spesso con i loro figli, sono finite in fosse comuni senza nome. Trucidate dalla follia di uomini come Karadzic; e Mladic; quest’ultimo è rimasto inerte anche di fronte al suicidio della giovane figlia, ultimo disperato atto di una "giovane donna" che sperava di "intenerire" il padre sacrificando la propria vita. Così non è stato.

Le eroine sconosciute della Bosnia, della Croazia e degli altri luoghi dove si è perpetrato il più grave eccidio dopo la seconda guerra mondiale hanno contribuito, soffrendo, a mitigare l’esasperazione degli uomini. Anche oggi, laddove la pace esiste solo su un trattato, a denti stretti, contribuiscono a tener ferma la guerra ad ogni costo. Scrisse nel 1994 Vera di Sebrenica "Chi ci riunirà un giorno come un popolo di gioia" Questa donna fu uccisa. Si oppose a uomini che cantavano "O Slobodan Milosevic;, pensa tu a fornirci l’insalata, di carne ce ne sarà, scanneremo i croati".

La moglie di Mile Stojic;, scrittore croato di Erzegovina, si rifugiò con la famiglia a Vienna. In valigia ha messo un piccolo cactus portandolo di città in città "racchiude l’unica zolla di terra bosniaca nella quale non c’è ancora una goccia di sangue".

"Moriamo. / Moriamo terribilmente presto / e terribilmente male / in questa città / alla fine del secolo/alla fine dell’amore. / Moriamo / in ospedali ghiacciati / nei corridoi restano le impronte di sangue dei nostri concittadini massacrati, / stanchi e umiliati/molti senza alcuna donna che possa star loro vicino / ...". Così scrive Izet Sarajlic; dedicando "Il libro degli addii" alle sue sorelle morte in quest’assurda guerra "sono state le due grandi donne della mia vita – mi dice Izet – come farò, sono abituato ad essere fratello...".

Alle donne della Bosnia e della ex Jugoslavia va il ricordo e la riconoscenza di quel che resta del "mondo civile".

Algeri, 27 febbraio 1997. Ore 15,45. Una bomba esplode nel cinema El Mouggar, nel pieno centro della città. È in corso una proiezione di uno dei rari film che ridanno dignità alla donna araba. È l’ennesimo attentato di un’infinita catena che ogni giorno insanguina l’Algeria una guerra dichiarata alla società intera. I testi firmati dal Gruppo islamico armato – il Gia – annientano il ruolo della donna. Oliver Ray, esperto del mondo arabo, dice che "la totale negazione di una cultura millenaria, la distruzione mondiale e sociale assoluta, l’annientamento di valori come l’uomo, la donna e la famiglia, segnano il ritorno a pseudo valori tribali".

Le donne di Algeri guidate da Khalida Massaoudi continuano a sfidare i gruppi integralisti. Molte di loro sacrificano la loro vita. Per la libertà. Per la dignità. Per tentare di risollevare una società allo sbando, vittima della sua stessa ferocia.

Oggi, 8 marzo, si inaugura a Napoli la sessione conclusiva della rassegna "Il cinema dei Paesi Arabi" dal titolo "La donna nel cinema dei Paesi Arabi". Organizzata dagli Assessorati alla Dignità ed all’Identità del Comune di Napoli, dalla Cineteca del Comune di Bologna e dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo, la rassegna prevede le proiezioni di 8 film (dall’8 al 15 marzo al Teatro Nuovo di Napoli), dibattiti su temi quali "Le donne nell’Islam" ed incontri tra la letteratura ed il cinema arabo "dalla parte delle donne".

È significativo che la manifestazione si concluda a Napoli, dopo Roma, Palermo, Bologna, Torino e Venezia. È inserita nel programma "Marzo donna 1997" del Comune di Napoli. Questa città può diventare la capitale culturale del Mediterraneo luogo di dialogo e di riferimento per i vari Popoli, per la valorizzazione di ciascuna propria identità, per l’affermazione di un comune "concetto mediterraneo" che contribuisca allo sviluppo economico dei Paesi che su questo mare si affacciano o convergono

La città di Napoli deve molto alle "sue" donne non sono eroine o vittime di guerre fratricide ma protagoniste che lottano con il quotidiano. L’8 marzo è soprattutto la Festa delle donne che ancora sopravvivono ogni giorno nell’ombra e nell’oblio, spesso tra affanni e miserie. È proprio nel quotidiano che il "femminile" dimostra la sua forza spesso spaventando e non trovando l’atteso e dovuto consenso.

Vi sono molte analogie tra le donne delle periferie di Napoli ed alcune protagoniste dei film in rassegna. Le tematiche femminili trattate spesso hanno paura di sviscerare i problemi per poi affrontarli. Qualcosa tuttavia sta cambiando nella consueta rappresentazione dell’universo femminile la donna deve essere considerata come la cartina di tornasole delle problematiche e dei disagi di una società che, nonostante tutto, non può più andare contro la Storia e impedire gli inevitabili cambiamenti tesi a restituire dignità e significato al ruolo della donna.

Tra i film in rassegna, venerdì 14 marzo, alla presenza dell’autore, sarà proiettato il film del critico e regista tunisino Ferid Boughedir "Un’estate a La Goullette". Le ragazze protagoniste della storia, ambientata negli anni ’60 in un piccolo paese vicino a Tunisi, sono figure spregiudicate, di rottura vogliono andare contro gli schemi predefiniti dai genitori, vogliono ribellarsi alle tradizioni e all’imposizione di un marito predestinato scegliendo loro un ragazzo con cui divertirsi. Senza necessariamente sposarsi. Ancora meglio se di altre origini e con differenti sentimenti religiosi. Queste ragazze vogliono essere padrone della propria anima e del proprio corpo, che utilizzano in funzione provocatoria e senza paura di mostrarlo, a differenza di quello che imporrebbe la mentalità araba.

Oggi fermenti di trasformazione esistono su tutte le sponde del Mediterraneo, a Nord come a Sud il desiderio è quello di avere la capacità di scavare nel passato per poter affrontare il presente con coraggio.

L’8 marzo a Napoli, voluto e gestito dalle donne della città, vede la partecipazione di molteplici associazioni, gruppi ed istituzioni. L’obiettivo è dare voce e visibilità alle risorse e competenze che animano silenziosamente le "donne di Napoli" un "importante golfo" del "Mare delle Donne".