"IL DENARO"

17 maggio 1997

Il tunnel di Gibilterra: voglio andare dove sono*

di Michele Capasso

12 maggio 1997. Con José Pliego – direttore generale della "Sociedad Espanola para la Comunicaciòn a través del Estrecho de Gibraltar" – parliamo di un progetto ambizioso: legare l’Africa all’Europa. Come? Attraverso lo stretto di Gibilterra. La Spagna e il Marocco uniti in pochi minuti. Quelle poche miglia di mare che hanno da sempre diviso due continenti, due mondi, due modi di essere e di pensare la vita non saranno solo percorribili via mare. Scartata l’ipotesi di un ponte con piloni alti oltre 500 metri, il progetto più attendibile è quello di più tunnel, evitando di incorrere negli errori riscontrati in quello che lega la Francia all’Inghilterra. Il progetto ha ottime probabilità di realizzazione.

Osservando i rilievi dal satellite, le mappe, i risultati dei sondaggi, le simulazioni al computer, i modellini e quant’altro è stato predisposto per illustrare il progetto, il primo problema che mi son posto è stato quello di ipotizzare come questo legame ancor più stretto tra il Marocco e la Spagna, tra l’Africa e l’Europa, tra il cosiddetto "Terzo Mondo" e l’Occidente ricco e industrializzato potrà ulteriormente mutare i rapporti socioeconomici ed i legami con le antiche tradizioni.

Cap Spartel è un promontorio vicino Tangeri, uno dei punti della costa marocchina più vicini alla Spagna. Con il cielo terso si "toccano" le case di Algeciras, cittadina sulla costa spagnola vicino a Gibilterra. Tangeri è una delle città più interessanti del Marocco. Molto simile, per certi versi, a Napoli. Qui incontro un amico scrittore marocchino: Mohamed Choukri. È nato nella regione di Rif Mohamed ed è rimasto analfabeta fino all’età di vent’anni. Il suo libro più bello, "Il pane nudo", è un’autobiografia che andrebbe letta per capire l’importanza di dare un senso alla vita, di non lasciarsi intrappolare dalle banalità. Con Mohamed parlo dell’ipotesi di legare "velocemente" il suo Marocco, la "sua" Tangeri alla Spagna. Mi risponde raccontandomi nuovamente la sua storia. Di seguito una parte della nostra chiacchierata.

"Sono un vecchio analfabeta autodidatta che ha desiderato trasmettere agli altri ciò che è riuscito a imparare. Ma oggi sarebbe abbastanza difficile per un analfabeta intraprendere il mio stesso cammino dell’epoca. Inoltre c’è da dire che ho imparato molto più dagli alunni che non dai professori". Sono le prime parole che mi dice Choukri ignorando completamente la mia domanda sul "tunnel". Non crede affatto che sarà mai realizzato e, comunque, "lui non vedrà quel giorno". E continua: "All’età di 20 anni, mi si prospettava la scelta tra diventare un contrabbandiere o andare a studiare l’arabo e lo spagnolo a Larache, che è quello che ho fatto. Così, ho letto molto i poeti maledetti, ma i miei gusti sono molto vari perché in letteratura non è come in cielo: non c’è un solo dio, ce ne sono molti...". Mi guarda con il suo baschetto in testa, si tocca i baffi con le mani ruvide dell’ex muratore orrendamente macchiate di nicotina. Fuma un’altra sigaretta e prosegue. "Nella mia vita, ho superato tre sfide: imparare a leggere e scrivere, uscire dalla mia classe sociale oppressa e, infine, sublimare la mia vita attraverso la scrittura. Da giovane, abitavo in una baracca. Quando mangiavo, c’era sempre una topolina davanti a me che voleva qualcosa da mangiare: anche lei era amica degli scarafaggi e dei topi. Frequentavo il caffè continentale a Tetouan dove vedevo un uomo che arrivava sempre molto elegante, ben vestito e che tutti salutavano. A quell’epoca, andavo alla scuola degli istitutori e abitavo nelle baracche, ma portavo un papillon e volevo elevarmi al di sopra della mia classe. Un giorno mi sono informato sull’identità di quel signore. Mi dissero che era Mohamed Sabbagh, il più grande scrittore dell’epoca. È un poeta che ha scritto dei poemi in prosa, dei libretti che si leggono in due giorni. Mi sono detto: se scrivendo cose come queste, si diventa così importanti nella società, anch’io voglio diventare scrittore. Ed è così che ho iniziato a scrivere. Poi, sono andato a mostrargli qualcosa e lui mi ha detto: "non hai stile, ma la grammatica è buona. Puoi continuare". Questo è il mio esordio: volevo acquistare prestigio, elevarmi. In seguito, mi sono reso conto che la scrittura poteva anche rivelarsi una forma di denuncia e protesta contro coloro che mi avevano rubato l’infanzia, l’adolescenza e una parte della giovinezza. È stato solo in quel momento che la mia scrittura ha preso la direzione dell’impegno".

Mentre Mohamed pronuncia queste parole si rafforza dentro di me – ove mai ve ne fosse ancora bisogno – la convinzione che lo scrittore è necessario alla sua società così come lo è il medico, l’ingegnere, il professore e così via. I responsabili dei paesi in via di sviluppo che hanno acquisito recentemente l’indipendenza sono persuasi che l’unica azione che compete loro in campo culturale sia quella di recuperare un patrimonio perduto. Questo non basta: occorre difendere ed organizzare una cultura minacciata da un integralismo che non fa alcuna concessione. "Il pane nudo" di Mohamed Choukri non si può leggere in Marocco e Mohamed è tra i pochissimi scrittori a scrivere in arabo e non in francese. Tra una sigaretta e l’altra lo scrittore mi dice: "All’epoca in cui lavoravo nell’insegnamento e nei media, vedevo la scrittura come un hobby. Ma dopo circa due anni, ho deciso di diventare uno scrittore professionista. Ritengo di avere due memorie: la memoria analfabeta e la memoria di un uomo che ha imparato a leggere dopo i venti anni. Il che significa che scrivo prima nevroticamente nella mia testa; poi passo al lavoro di tornitura con l’aiuto della grammatica e dello stile. Non ho disciplina come Alberto Moravia, Hemingway, Victor Hugo o Tahar Ben Jelloun che si svegliano alle 5 o alle 8 del mattino e iniziano a scrivere: sarebbe in contraddizione con la mia vita. Sono un uomo della strada, non sono mai stato stabile. Attualmente, possiedo un appartamento, al fine di conservare le mie cassette, i miei libri, le mie carte, ma prima ho sempre abitato in pensioni, frequentando ristorantini e piccoli bar. Difendo la mia classe, gli emarginati, e allo stesso tempo esercito la mia vendetta contro un certo periodo umiliante e miserabile della mia vita. Il mio è un caso abbastanza particolare. Non ho nulla da perdere, io. Non porto un titolo familiare che si appella alla differenza e che, scrivendo così come faccio, rischierei di insudiciare. Sono un Mohamed sconosciuto che difende le persone dimenticate dalla storia ufficiale, gli individui anonimi. Mi ritengo uno scrittore tangerino piuttosto che marocchino, poiché mi sento come un turista nei confronti del Marocco: vado a Casablanca per una settimana, a Rabat per due o tre giorni, a Fez... A Tangeri, al contrario, vivo un’intimità con le persone, con i miei personaggi, con i luoghi... È come il matrimonio cattolico: ci si separa, ma non si divorzia. Con Tangeri non potrei mai divorziare. Amo questa città, cerco sempre un pretesto per tornarci, a volte anche inconsciamente".

La città, la memoria dei luoghi: Tangeri è ammaliante e l’amico Mohamed mi trasmette emozioni che rivivo ogni volta che visito una città mediterranea. Ogni epoca della storia di una città o di un paese ha un valore e una bellezza, così come nella vita di un uomo ogni tappa ha il suo fascino. Ma ciò che è strano è quella nostalgia che provano le persone che non ci hanno mai vissuto.

Chiedo a Mohamed di parlarmi dei suoi progetti futuri. Mi risponde in un inglese rappezzato: "I want to go where I am. Voglio andare dove sono. Da dodici anni un mio libro, "Il Pane nudo", è sotto censura, ma ciò non mi impedisce di continuare a scrivere... Nella società marocchina è presente una fazione conservatrice ed è quella che ha giudicato perverse le mie opere. Tuttavia, nei miei libri non c’è niente contro il regime: non parlo di politica, né di religione. Ma ciò che irrita i conservatori, i musulmani, è constatare che critico mio padre. Il padre è sacro nella società musulmana".

I responsabili dei paesi del Terzo mondo, insieme agli scrittori, agli intellettuali ed ai cittadini, devono persuadersi che nessun regime può imporre con leggi, regolamenti o istruzioni il genere, la forma e il contenuto di un’espressione letteraria. Solo l’uso, la capacità linguistica, la disponibilità e la formazione di uno scrittore sono in grado di tracciare la via per un rinnovamento letterario.

Malgrado tutto, l’atto di scrivere è e resterà un atto libero. Ed è proprio questo che fa la grandezza e la miseria degli scrittori.