CORRIERE DELLA SERA

24/02/2007

 

 

Non si dialoga con chi non rispetta Israele

di

Magdi Allam

 

 

Tralasciando le polemiche personali, il convegno di Napoli «Dare voce ai democratici musulmani» pone tre questioni oggettive: la natura del dialogo tra Occidente e islam; l'identità dei «democratici musulmani»; Israele come parametro valoriale. Al riguardo mi riconosco nelle posizioni espresse da Benedetto XVI e dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. Sulla natura del dialogo si tratta di stabilire se esso sia un contenitore vuoto dove si immettono e interagiscono in modo casuale e acritico le posizioni più discordanti, oppure se è un percorso che si intraprende nell'accettazione di regole, principi e valori comuni, nonché nella consapevolezza di un traguardo condiviso. Per decenni l'Occidente e la Chiesa hanno coltivato nei confronti dell'islam la percezione del dialogo come tabula rasa, facendo prevalere il formalismo delle strette di mano per soddisfare gli interessi di breve termine, rispetto al confronto sui valori fondanti la nostra umanità con il respiro del lungo termine. Ed è grazie a questo Papa, con lo storico discorso di Ratisbona del 12 settembre scorso, che la Chiesa ha chiarito che le basi del dialogo corretto e costruttivo devono basarsi sull'accettazione della verità, sul riconoscimento delle differenze, sul rifiuto della violenza, sulla condivisione dei valori assoluti e trascendentali a partire dalla sacralità della vita e dalla dignità della persona. Ebbene, a fronte di questa concezione etica del dialogo, il convegno di Napoli sembra prediligere un approccio deresponsabilizzato. Il prorettore dell'Orientale, Augusto Guarino, ha sostenuto che «compito dell'Università non è giudicare, ma mettere gli intellettuali in condizione di dialogare tra loro».

Quindi nessuna valutazione nel merito delle loro idee. Al riguardo, il rettore Pasquale Ciriello ha detto: «I criteri con cui si valuta il tasso di democraticità delle persone non si possono tagliare con l'accetta, altrimenti si finisce per dialogare solo tra simili». Dal canto suo John Esposito, professore di Religione e Affari internazionali alla Georgetown University, si è così espresso: «Il fondamentalismo secolare è una posizione neoconservatrice che nega una parte essenziale del dialogo, in particolare la discussione libera e aperta. Se si sceglie il dialogo, allora bisogna sedere tutti insieme attorno a un tavolo. Magdi Allam invece vuole essere lui a scegliere chi far sedere intorno a questo tavolo». Questa caratterizzazione dell'identità dei «democratici musulmani» si scontra con la realtà dell'ideologia dell'odio, della violenza e della morte che anima la loro profonda avversione a Israele. Al riguardo condivido pienamente la posizione espressa da Napolitano nel Giorno della Memoria, contro «ogni rigurgito di antisemitismo. Anche quando si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele». Mi domando pertanto come possa il rettore dell'Orientale Ciriello parlare di «acclarata democraticità» a proposito di chi, come Ramadan, nega in modo subdolo il diritto di Israele all'esistenza affermando «il mio auspicio è uno Stato unico che accolga gli ebrei, i cristiani, i musulmani, di altre religioni e credi sulla base dell'uguaglianza davanti alla legge e la comune cittadinanza». Come possa il sociologo Stefano Allievi parlare di «sconfitta della democrazia» a proposito della decisione di Rached Ghannouchi di non partecipare al convegno di Napoli, quando si tratta di un personaggio che ha detto: «Non ci sono civili in Israele. La popolazione, uomini, donne e bambini, sono dei soldati della riserva, quindi possono essere uccisi». Come possa John Esposito sostenere che Youssef Qaradawi «ha reinterpretato i principi islamici per riconciliare l'islam con la democratizzazione e i sistemi politici multipartitici» quando quest'ultimo ha legittimato l'uccisione dei feti delle madri israeliane «perché diventeranno soldati nell'esercito israeliano». Mi sembra evidente che Israele è più che mai il parametro etico per valutare il livello di democraticità dei musulmani. Il dialogo va benissimo, ma diventa controproducente se l’interlocutore non rispetta il diritto alla vita di tutti, a cominciare da quello di Israele.