CORRIERE DELLA SERA
24/02/2007
Non si dialoga con chi non rispetta Israele
di
Magdi Allam
Tralasciando le polemiche personali, il convegno di Napoli «Dare
voce ai democratici musulmani» pone tre questioni oggettive: la natura del
dialogo tra Occidente e islam; l'identità dei «democratici musulmani»; Israele
come parametro valoriale. Al riguardo mi riconosco nelle posizioni
espresse da Benedetto XVI e dal capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Sulla natura del dialogo si tratta di stabilire se esso sia un contenitore
vuoto dove si immettono e interagiscono in modo
casuale e acritico le posizioni più discordanti, oppure se è un percorso che si
intraprende nell'accettazione di regole, principi e valori comuni, nonché nella
consapevolezza di un traguardo condiviso. Per decenni l'Occidente e
Quindi nessuna
valutazione nel merito delle loro idee. Al riguardo, il rettore Pasquale Ciriello ha
detto: «I criteri con cui si valuta il tasso di democraticità delle persone non si possono tagliare con l'accetta, altrimenti si finisce
per dialogare solo tra simili». Dal canto suo John
Esposito, professore di Religione e Affari internazionali alla Georgetown University, si è così
espresso: «Il fondamentalismo secolare è una
posizione neoconservatrice che nega una parte essenziale del dialogo, in
particolare la discussione libera e aperta. Se si sceglie il dialogo, allora
bisogna sedere tutti insieme attorno a un tavolo. Magdi Allam invece vuole essere
lui a scegliere chi far sedere intorno a questo tavolo». Questa
caratterizzazione dell'identità dei «democratici musulmani» si scontra con la
realtà dell'ideologia dell'odio, della violenza e della morte che anima la loro
profonda avversione a Israele. Al riguardo condivido
pienamente la posizione espressa da Napolitano nel
Giorno della Memoria, contro «ogni rigurgito di antisemitismo.
Anche quando si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa
negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua
nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi al di là dei
governi che si alternano nella guida di Israele». Mi domando pertanto come
possa il rettore dell'Orientale Ciriello parlare di
«acclarata democraticità» a proposito di chi, come Ramadan, nega in modo
subdolo il diritto di Israele all'esistenza affermando
«il mio auspicio è uno Stato unico che accolga gli ebrei, i cristiani, i
musulmani, di altre religioni e credi sulla base dell'uguaglianza davanti alla
legge e la comune cittadinanza». Come possa il sociologo Stefano Allievi
parlare di «sconfitta della democrazia» a proposito della decisione di Rached Ghannouchi di non partecipare al convegno di Napoli, quando si tratta
di un personaggio che ha detto: «Non ci sono civili in Israele. La popolazione,
uomini, donne e bambini, sono dei soldati della riserva, quindi possono essere
uccisi». Come possa John Esposito sostenere che Youssef Qaradawi «ha reinterpretato i principi islamici per riconciliare l'islam
con la democratizzazione e i sistemi politici
multipartitici» quando quest'ultimo ha legittimato
l'uccisione dei feti delle madri israeliane «perché diventeranno soldati
nell'esercito israeliano». Mi sembra evidente che Israele è più che mai il
parametro etico per valutare il livello di democraticità dei musulmani. Il
dialogo va benissimo, ma diventa controproducente se l’interlocutore non
rispetta il diritto alla vita di tutti, a cominciare da quello di Israele.