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Medio
Oriente Democrazia musulmana e politica
estera Roberto Aliboni
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Il
rapporto fra Islam e democrazia è uno dei temi principali fra quelli
che fanno da sfondo ai tumultuosi eventi del Medio Oriente e ai
difficili rapporti fra quella regione e l’Occidente. Mentre i
jihadisti transnazionali ritengono che la democrazia sia un tema
irrilevante, per gli islamisti “nazionali” - quelli su cui Roy e
Kepel hanno attirato l’attenzione del mondo occidentale -
l’instaurazione della democrazia è un tema chiave. Grazie
all’importanza assegnata alla democrazia, c’è una convergenza
oggettiva fra gli islamisti nazionali (per molti versi “moderati” in
rapporto ai jihadisti) e gli occidentali. Tuttavia, fra gli
occidentali c’è di fatto molta diffidenza circa la democrazia degli
islamisti.
Diffidenze occidentali In Algeria nel
1991 e in Palestina nel 2006, la vittoria di partiti islamisti in
elezioni del tutto regolari ha dato luogo a reazioni ostili
(l’appoggio al colpo di stato dei militari algerini, le sanzioni al
governo di Hamas). Fra queste due date, l’incremento
dell’immigrazione musulmana in Europa ha allargato le preoccupazioni
degli occidentali – in particolare degli europei - dall’ambito
internazionale a quello interno, poiché se la democratizzazione dei
musulmani come fattore di sicurezza internazionale appare
importante, come fattore di sicurezza interna lo è ancora di più. Le
azioni terroristiche di Al Qaida negli Usa e in Europa e le
complicità fra i residenti e gli immigrati musulmani hanno acuito le
diffidenze occidentali.
Di conseguenza, la ricerca e la
riflessione su questa questione appaiono della massima importanza e
attualità. Sul tema, un importante convegno internazionale è stato
da ultimo organizzato a Napoli, il 23-24 febbraio 2007, a cura del
progetto Meiad (Mediterranean, Europe and Islam: Actors in
Dialogue), cui contribuiscono due istituzioni accademiche
napoletane, la Fondazione Mediterraneo e l’Università “L’Orientale”,
e una di Washington, il Centro Principe Alwaleed bin Talal per il
Dialogo fra Musulmani e Cristiani della Georgetown University.
Il convegno, intitolato “Giving Voice to Muslim Democrats”,
ha inteso affrontare la questione in una prospettiva più
culturalista che politica. Nella prospettiva culturalista, il regime
politico democratico è visto essenzialmente come il risultato di un
patrimonio culturale e del suo sviluppo. Essa carica di valori il
regime politico democratico e quindi rende il dialogo fra paesi e
popolazioni con diversi retroterra culturali più arduo.
In
tale prospettiva, molti occidentali tendono a vedere la democrazia
come risultato di valori (le libertà individuali) e processi (la
secolarizzazione) sviluppatisi in Occidente ma aventi una portata
universale e quindi convenientemente adottabili da parte di altre
culture, nel caso specifico da quelle fondate sull’Islam. Nella
stessa prospettiva, i musulmani, e altre popolazioni non
occidentali, vedono la democrazia come un regime politico che può
essere sviluppato invece sulla base di valori e processi indigeni,
quindi anche molto diversi da quelli occidentali.
In realtà,
la democrazia universale degli occidentali è vista come una coda del
colonialismo o una manifestazione di imperialismo. Perciò, nel
convegno, il tema di fondo - “Giving Voice to Muslims Democrats” - è
apparso più come necessità di dare spazio alle concezioni non
occidentali e islamiche della democrazia che alla concreta azione
politica dei partiti islamisti che si stanno oggi battendo per
democratizzare i loro paesi.
Mentre non si può negare
l’interesse di un dibattito culturalista, è evidente che esso
rischia sempre di essere poco costruttivo sul piano pratico e
politico. Il fatto è che senza dubbio la democrazia agglomera valori
nel suo divenire, ma non è essa stessa un valore o un fattore
culturale. Essa si è formata storicamente nei paesi occidentali come
un complesso e inestricabile insieme di fattori politici e
culturali, ma – specialmente in una prospettiva di accelerata e
forte integrazione internazionale – dovrebbe essere considerata per
quello che è il suo nucleo essenziale: un sistema di governo
caratterizzato dalla partecipazione delle masse popolari e
destinato, con i suoi strumenti di partecipazione e decisione, a
prevenire e risolvere i conflitti della società. Tutto il resto è
necessariamente molto influenzato da fattori culturali e locali e,
quindi, necessariamente diversificato. L’opportunità di una maggiore
omologazione culturale non deve certo essere scartata, ma la
possibilità che essa si attui non può che essere molto graduale e
affidata più al dialogo che allo scontro.
Un approccio
empirico Se si discute della democrazia nei paesi musulmani e
dei rapporti fra Occidente e Islam da una prospettiva più empirica
di quella culturalista, molte questioni a base essenzialmente morale
sono destinate a cadere o, comunque, a non essere pertinenti (anche
se su alcune questioni in tema di diritti umani sarà difficile o
impossibile transigere) e allora, almeno nella situazione presente,
la questione principale non è l’astratta compatibilità di democrazia
e Islam, ma il passaggio dai regimi autoritari che vigono oggi negli
stati musulmani e arabi a sistemi di governo democratico, nel senso
di un pieno accesso delle masse ai meccanismi rappresentativi e
decisionali.
È chiaro che se l’attuazione di sistemi
democratici si concreta nell’accesso delle masse alla politica, tale
accesso riguarderà partiti e movimenti che si riferiscono all’Islam,
cioè islamisti, perché le masse di quei paesi si riferiscono
fondamentalmente all’Islam, e solo marginalmente a gruppi che si
riferiscono anche ad altre visioni o culture, come per esempio i
liberali. È chiaro anche che i partiti islamisti democratici si
qualificheranno come tali per le politiche elettorali, la
trasparenza, l’alternanza, la libertà di espressione, in generale
l’accesso alle decisioni che garantiranno all’insieme della
popolazione, mentre per non poche altre scelte culturali e morali si
differenzieranno dalle democrazie che vigono in Occidente.
Il ruolo delle donne – del resto un processo di liberazione
recente e tutt’altro che completato anche in Occidente – sarà
inevitabilmente una di queste differenziazioni. Lo stesso varrà per
il peso del collettivo rispetto all’individuale – come da ultimo ha
riproposto Amartya Sen. La cultura ha resistito alla modernità anche
in Occidente, e molto di più di quanto in generale si ricordi. Lo
stesso vale per le emergenti o future democrazie musulmane, cui
occorre lasciare tutto il tempo e l’agio di misurarsi con il
cambiamento e accettarlo o contrastarlo attraverso i mezzi che la
democrazia mette a disposizione. L’importante è che comincino ad
avere a disposizione questi mezzi.
È, dunque, in questo
senso che è necessario dare voce ai democratici musulmani, anche se
hanno o sembrano avere visioni culturali e morali diverse o non
coincidenti con quelle occidentali. A questo punto occorre
sottolineare che la democrazia in quei paesi porterà facilmente alla
luce interessi diversi da quelli occidentali, più intensamente
diversi che non le diversità culturali o morali: non c’è dubbio, per
esempio, che esse si schiereranno più decisamente contro Israele e a
favore di una qualche forma d’indipendenza palestinese.
Gran
parte delle preoccupazioni occidentali nascono in realtà da qui,
dalla politica estera più che dal regime politico di governo, e lo
si vede bene dal fatto che non appena l’Iraq si è rivelato per la
pericolosa avventura che è, e Hamas ha vinto regolari elezioni in
Palestina, i commenti e le analisi dell’Occidente, vuoi
nell’accademia vuoi nei media, hanno preso a far cadere le
conclamazioni democratiche e ripreso in forte considerazione la
necessità di guardare alle cose con realismo.
Relazioni
ambigue Difficile dire se si tratta della solita ambiguità
fra concezioni della sicurezza realiste e cooperative o se, come di
consueto, abita un doppio nell’uomo occidentale, il quale diventa
altruista di giorno e torna egoista di notte. Come che sia, c’è più
che un seme di verità nelle proteste dei musulmani e di altre
popolazioni non occidentali circa questa doppiezza dell’Occidente.
Per cui, occorre evitare un approccio culturalista al problema della
democrazia, ma – se davvero si vuole l’avvento della democrazia
oltre l’Occidente – occorre anche prepararsi a un necessario
aggiustamento di fondo nelle relazioni internazionali.
Qui
l’Unione Europea e l’Europa, sostenendo l’adozione di un
multilateralismo rafforzato ed effettivo, hanno indicato la
direzione giusta. L’amministrazione Bush ha invece davanti ancora
due anni di unilateralismo. Nell’immediato, perciò, il problema di
europei e musulmani, come di altre popolazioni non occidentali, è,
da un lato, dialogare per dare maggior voce ai democratici nei paesi
musulmani, senza cadere nelle trappole del culturalismo e
dell’ideologia; dall’altro, contrastare e arginare l’unilateralismo
americano cercando in quel grande paese, di rafforzare la voce dei
democratici e della ragione. Sarà quindi auspicabile che le
benemerite istituzioni che hanno promosso il convegno di Napoli
continuino nella loro impresa, possibilmente aggiustando il tiro
sulla politica piuttosto che l’ideologia.
Roberto Aliboni
è Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali
Foto
da Islam on line |
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