"IL DENARO"

18 gennaio 1997

 

L’Alta Serbia tra catarsi e rimorsi*

di Michele Capasso

Marzo 1967. Non ancora tredicenne, scendo dal traghetto "Antivari" dopo aver attraversato un mare Adriatico inquieto. Vedo per la prima volta la Jugoslavia Bar, Budva, Cetinije, Sarajevo, Belgrado, Titograd.

L’immagine di Tito è presente ovunque in queste città il suo potere tiene insieme serbi, croati, bosniaci, sloveni, kossovari, macedoni. Durante quel lungo soggiorno capii che quella gente era abituata ad accettare ricatti e terrore. Mi colpì un vecchio che, paragonando la situazione di allora ad una pentola, mi disse che quelle popolazioni vivevano sempre con un "coperchio" trattenuto da cavi logori, laddove – per evitare le "ebollizioni" – era invece indispensabile "spegnere i fuochi" sotto la pentola. "Ci vuole un’altra Jugoslavia" concluse salutandomi.

Ho pensato a quella Belgrado di trent’anni fa in questi giorni di rivolta. Ho ricordato più volte le parole di quel vecchio. Nella Serbia di oggi prende corpo un’ "Altra Serbia". Si oppone – finalmente – all’infinito ricatto che Milosevic; ha perpetrato nei confronti della comunità internazionale.

Durante la guerra nella ex Jugoslavia mi sono più volte domandato come mai l’Occidente avesse accettato ed esaltato un uomo come Milosevic; – principale responsabile della barbarie e dell’epurazione etnica – considerandolo addirittura "unico" garante della fine delle stragi di massa. Una risposta poteva essere il timore che senza il "potere" di Milosevic; sarebbero potuti crollare i fragili equilibri della ex Jugoslavia. Questo rischio l’Occidente, fino ad oggi, non ha voluto correrlo e, per questo, ha accettato di dialogare con un Milosevic;. Oggi non è più così. Bisogna fare i conti con l’"Altra Serbia".

Nel 1992 il Circolo di Belgrado – una delle poche voci dissidenti nel coro generale di xenofobia e di nazionalismo – produsse il libro "L’Altra Serbia". Sfidando l’aperta ostilità del potere politico in Serbia, il Circolo ha promosso incontri con scrittori, sociologi, psicologi e intellettuali, schierandosi contro l’orrenda idea di "pulizia etnica" e la "produzione di odio" dei media, riesaminando in modo autocritico il ruolo dell’intellettuale in un periodo di guerra.

È oggi indispensabile – come è accaduto per la Germania – nobilitare l’immagine della Serbia. Bisogna levare le macchie dalla faccia, frenare le tentazioni di coloro che vogliono demonizzare questa parte dei Balcani dicendo "sono tutti uguali", "si scannano tra loro", "si odiano gli uni con gli altri".

L’opposizione democratica di uomini come Zoran Djindjic; e Vuk Draskovic; – leader di "Insieme" – è oggi più forte e sincera e sta conducendo, come aveva iniziato a fare il Circolo di Belgrado, l’"Altra Serbia", quella delle città, a non avere più paura di Milosevic;. Del resto, lo stesso Sindaco di Belgrado Nebojsa Covic’, eletto nelle fila del Partito Socialista della Serbia, ha rassegnato le dimissioni accusando Milosevic’ di aver defraudato le opposizioni della giusta vittoria. Lo stesso Vuk Draskovic; lo ha definito "uomo d’onore" ed ha escogitato, tra le ultime forme di protesta, quella di far procedere a passo di lumaca i belgradesi con le proprie auto per le vie della città. Dopo quest’ennesima protesta civile e democratica la comunità internazionale ha finalmente operato pressioni su Belgrado affinché non vengano calpestate le regole della democrazia. Lo stesso Ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel ha chiesto a Milosevic; di riconoscere la vittoria delle opposizioni. Invano.

Quante vittime inutili. Che prezzo enorme ha pagato e dovrà ancora pagare la democrazia per sconfiggere uomini come Milosevic;; un’altra mina è innescata nel Kossovo: se scoppia Milosevic; sarà autorizzato a compiere un’altra pulizia etnica, nuove barbarie, nuovi eccidi di gente inerme.

I media americani sono contrari alla linea dura temono che la crisi serba possa compromettere la pace di Dayton. Un avvertimento per Milosevic; il nuovo Segretario di Stato Madeleine Albright sarà più severo di Warren Christopher (forse la signora ricorda ancora bene che lo scorso marzo a Vukovar i serbi la presero a sassate).

Le voci dell’opposizione hanno finalmente messo in luce una Serbia diversa, democratica e civile desiderosa di purificarsi dai rimorsi di eccidi voluti da un nazionalismo ignobile, impensabile in una città come Belgrado, che è stata uno dei centri cosmopoliti d’Europa. Mai avrei immaginato che questa città dal disordine istituzionalizzato e dalla pubblica disubbidienza, con un tipo di humor spietato, di "sfottimento" senza pari – riscontrabile solo in certi luoghi di Napoli – avesse potuto chinare la testa di fronte a tali efferatezze.

In questi giorni vince la democrazia. Ma a quale prezzo. La Serbia, in una guerra senza vincitori, ha subìto la più grande sconfitta della sua storia la vergogna che le future generazioni serbe dovranno sopportare per quello che è stato fatto nel nome della "Grande Serbia" eccidi, persecuzioni, atrocità, violenze, stupri, distruzioni di città e di templi, pulizia etnica.

Belgrado e la Serbia possono essere tuttavia fieri – come lo sono tutti coloro che nel mondo sono rimasti amici del popolo serbo – del fatto che si sia già udita la voce di coloro che, disposti a pagare di persona, si sono ribellati al male.

Da quel gennaio 1992, quando nacque il Circolo di Belgrado, da quelle mattinate del sabato della primavera dello stesso 1992, quando ai dibattiti della Casa della Gioventù si dava appuntamento l’Altra Serbia, si è diffuso e alimentato tra i cittadini il credo in una società libera e pluralista.

Oggi si raccolgono i risultati di allora, quando attraverso le uniche tribune del Circolo di Belgrado, della Casa della Gioventù e di altri centri era possibile esprimere il "no" al giogo governativo ed al regime totalitario di Milosevic.

La critica che si levava alta da queste tribune era diretta anche a quell’intellighenzia serba e a quelle istituzioni culturali serbe che hanno fomentato il nazionalismo e il populismo, l’intolleranza e l’odio interetnico. Era diretta a coloro che hanno istigato alla guerra e al crimine e hanno portato allo sgretolamento della Serbia, alla sua condanna e all’isolamento mondiale. Un’enorme responsabilità storica e morale pesa, e peserà, su questa parte dell’intellighenzia nazionale.

Il significato dell’impresa critica che il Circolo di Belgrado aveva iniziato lo ritroviamo nelle "Donne in nero", nella "Marcia della pace" intorno al Parlamento serbo, nella grandiosa manifestazione di marzo quando il governo dovette mobilitare i militari.

Nel 1993 esce un altro libro del Circolo di Belgrado dal titolo "Gli intellettuali e la guerra" (Edizioni Beogradski Krug). Nel testo sono raccolti interventi di noti scrittori, artisti, giornalisti, filosofi, sociologi, architetti, attori, registi di cinema e di teatro, storici, traduttori, filologi ed altri ancora tutti rappresentano una testimonianza coraggiosa della moralità per cui una parte degli intellettuali serbi decise di affrontare la battaglia per l’affermazione del pensiero indipendentista e alternativo. Le loro voci di dissenso e di condanna contro il delirio nazional-populista li hanno spesso esposti alla facile identificazione con "il nemico" e, alla fine, all’accusa di essere traditori della "causa nazionale".

Tutti sanno che il coraggio non è la caratteristica fondamentale dell’intellighenzia ma non v’è dubbio che lo è il pensiero libero ed indipendente. Molti momenti storico-politici non sono stati favorevoli a tale pensiero. Come i giullari e i trovatori alle corti del loro Principe, ancor oggi giornalisti, intellettuali e scrivani servono le ideologie dominanti per squallidi interessi personali. Questi individui vorrebbero poter dettare anche il cammino della cultura. Dimenticano, però, che tale cammino è autentico solo se non sottomesso, solo se è veramente libero.

Lunedì 13 gennaio 1997. La minoranza ristretta del Circolo di Belgrado che cominciò a sussurrare l’indignazione contro Milosevic; in sale buie e nascoste è diventata una grande maggioranza. Oltre 500.000 persone, nel cinquantasettesimo giorno di rivolta, in occasione del capodanno ortodosso, scendono in piazza per protestare civilmente, con suoni, canti e balli, durante l’intera notte. Chiedono giustizia ed il rispetto dei risultati elettorali in 14 città su 18. Vuk Draskovic; esulta "Oggi Belgrado è il centro del mondo".

Martedì, 14 gennaio. Il presidente della commissione elettorale Lazarevic; riconosce alla coalizione "Insieme" di Drascovic; 60 seggi su 110, mentre a Milosevic; solo 23. Giustizia è fatta. I brogli delle elezioni del 17 novembre sono superati. La democrazia, con la forza del consenso popolare, ha vinto. Per una volta, la voce degli intellettuali ha trovato un terreno fertile nella voglia di libertà e di democrazia del popolo.

Trent’anni fa un montenegrino di Budva mi fece notare come la denotazione del concetto di "sole che cala" nella lingua serba e in quella italiana connoti, in un certo senso, prospettive diametralmente opposte, perlomeno per le due sponde dirimpettaie dell’Adriatico "tramonto" per noi, ad indicare il calar del sole tra le montagne e "suton" per loro, a sottolineare "il sole che affonda nel mare".

La speranza di oggi è quella che, grazie all’appoggio popolare, affondi nel mare dell’odio la tirannia di Milosevic. L’Altra Serbia, tra catarsi e rimorsi, riuscirà a farcela dimenticare.