"IL DENARO"

1 marzo 1997

Le città sotterranee della Cappadocia*

di Michele Capasso

Continua in questa puntata il nostro viaggio nelle architetture ipogee dell’area mediterranea, risultato della ricerca che da due anni la Fondazione Laboratorio Mediterraneo sta svolgendo in Cappadocia ed in altre località. Partiamo dalla Tunisia.

Bulla Regia – Tunisia (primi secoli d.C.).

In questa località (oggi Hammam Darradj) i romani scavarono sotto abitazioni di superficie corrispondenti vani sotterranei, utilizzati soprattutto nella stagione calda. Generalmente una rampa immetteva in un peristilio ipogeo sul quale si affacciavano i vani, dotati di prese d’aria e luce collegate ai cortili superiori. Il concetto dell’abitazione sotterranea ricalcava quello dei "matmata", insediamenti scavati nel suolo dalle genti locali, diffusi soprattutto a sud di Gabes, ed ancora oggi abitati.

Le catacombe di Roma – Italia (dal II al IX sec. d.C.).

A Roma il cristianesimo si diffuse presto a macchia d’olio nonostante i suoi seguaci fossero oggetto di continue persecuzioni. I ricchi romani convertiti donavano aree (quasi sempre fuori del centro urbano) finalizzate alla costruzione dei cimiteri sotterranei che, con la pratica dell’inumazione venuta a sostituirsi a quella della cremazione, avevano necessità di grandi spazi. Nicoletti (1980) sostiene che "contrariamente all’opinione comune, per i cristiani le catacombe non costituirono un rifugio alle persecuzioni, ma vennero piuttosto motivate dalla potenziale vastità dello spazio sotterraneo e dalla facilità di localizzare l’intaglio in banchi di rocce tenere, ma sufficientemente compatte". Le caratteristiche della roccia tufacea, facilmente lavorabile in profondità, permise dunque lo scavo di un labirinto di cunicoli esteso su più livelli, sulle cui pareti vennero ricavati migliaia di loculi a file sovrapposte. Camere più ampie corrispondevano alle tombe delle famiglie più facoltose. I lucernari, che in principio servivano all’estrazione della terra di riporto, fornivano luce ed aria. Le prime catacombe furono probabilmente scavate attorno al 150 d.C. (C.Pavia – 1987). Dall’inizio del V secolo venne a cessare l’uso dell’inumazione nelle catacombe e di conseguenza non vennero più ampliate.

I sassi di Matera – Italia meridionale.

Matera rappresenta un esempio di completa integrazione tra la cultura del costruire e quella dello scavare, come diffusamente argomenta Giura Longo R. (1966). Si può fare una distinzione della città in due nuclei, in origine completamente separati il primo, la collina della cattedrale, la cui sommità fu sede di insediamenti già in epoca preistorica, sulla quale si sviluppò l’antico centro urbano. Il secondo, il "Sasso", termine con il quale si intende un’area dirupata ai piedi della collina, costituita da due vallette colme di grossi macigni. Nella roccia tufacea del Sasso (in realtà calcareniti, dette anche tufi calcacei), distinto dunque in due rioni (Sasso Barisano e Sasso Caveoso), già in età ellenistica e romana vennero scavate abitazioni, con pozzi e cisterne. Queste vennero successivamente lentamente integrate da case palazzate, talora coperte di tegole, pur rimanendo per lungo tempo completamente fuori della "civitas murata".

Tra la metà del 1400, sino a tutto il 1500, a seguito di un notevole aumento demografico, questo processo si accelerò così che si venne a completare la sovrapposizione del "costruito" allo "scavato". Il risultato fu la totale fusione dei Sassi con il soprastante abitato della città vecchia. "Nei Sassi – cita A. Brettagna (1928) – le case sono una sull’altra, s’insinuano nella roccia e sotto le vie, come abitazioni primitive. Sorsero, nei fianchi delle due valli, innumerevoli abitazioni scavate nella massa tufacea. Tali abitazioni non potevano serbare un medesimo piano a livello e risultano le une sovrapposte alle altre, con terrazze e tetti e comignoli che affiorano dal terreno e dai margini delle vie cavalcanti le sottoposte abitazioni".

Le piramidi della Cappadocia

Da quanto sin qui descritto emerge dunque che le testimonianze dell’"edificare" all’interno delle rocce e nel sottosuolo sono largamente diffuse in ogni parte del globo e nell’area del bacino mediterraneo in particolare. Anche il territorio turco è ampiamente caratterizzato in tutta la sua estensione da strutture rupestri risalenti a diverse epoche. Per citarne alcune, a Demre (l’antica Myra, in Licia) la necropoli rupestre risale al V-IV secolo a.C. è costituita da tombe scavate su piani sovrapposti nella parete rocciosa, il cui prospetto richiama quello delle abitazioni in legno (Nicoletti, 1980).

Nella falesia di Taskale, presso Karaman (l’antica città ittita di Landa), a sud-est di Konya, sono stati scavati 230 vani su cinque piani, raggiungibili per mezzo di "pedarole" incise sulle pareti verticali di roccia (Ozyurt, 1993). A sud di Trebisonda si trova il monastero rupestre di Sumela, fondato nel 385 d.C., in gran parte scavato nella roccia di un alto dirupo.

Proseguendo ancora a sud, dopo il villaggio di Gümüshane si incontra il villaggio di Hankent (5 Km da Bayburt) in questa località, secondo Yörükigku (1988), è stato individuato un sito sotterraneo che ha similitudini con quelli cappadoci e che daterebbe all’epoca romana. Il resoconto più antico che ci sia pervenuto sulle strutture rupestri della Cappadocia, data 1714. Ne è autore Paul Lucas, un esploratore viaggiatore francese che visitò questa terra nell’agosto del 1705, nel corso di una indagine sui paesi orientali eseguita per incarico dal re di Francia, Luigi XIV. Una parte dei suoi due volumi (Voyage du Sieur Paul Lucas, fait par ordre du Roy dans la Grèce, l’Asie Mineure, la Macedoine et l’Afrique, vol. I-II, Amsterdam 1714), riguarda appunto la Cappadocia che attraversò percorrendo la strada da Ankara a Kayseri, rimanendo affascinato dalle forme geologiche che caratterizzano il paesaggio nei dintorni di Avanos e Ürgüp.

Così si esprime "rimasi incredibilmente sconcertato quando vidi le rovine delle antiche costruzioni lungo il Kizilirmak. Vi erano innumerevoli piramidi mai viste prima, le quali avevano graziose porte d’accesso, scale per arrampicarsi, ed ampie finestre per fornire la ventilazione a tutte le camere. Erano costituite da numerosi vani scavati sulla sommità di ciascuna massa rocciosa. Subito pensai che queste piramidi fossero abitazioni degli antichi monaci, ma vi erano anche forme differenti...". A seguito del secondo viaggio, effettuato nel 1714, aggiunge "Queste piramidi sono forse il cimitero di Kaiseraia (l’odierna Kayseri, ndr) e dei suoi dintorni, oppure costituiscono una città realizzata con una speciale tecnica di costruzione il cui unico esempio nell’universo è qui testimoniato Agli scienziati questo interrogativo". Lo scritto (che, a quanto pare, fu accolto con incredulità) è accompagnato da un disegno poco realista, che risulta essere la più antica rappresentazione grafica della Cappadocia. In questo disegno i coni naturali (camini delle fate) sembrano formare un villaggio composto dalle tende di una tribù dei pellerossa, sulla cui sommità sono rappresentati busti di uomini ed animali, interpretando con eccessiva fantasia dei "cappelli" naturali che sormontano i pinnacoli.

In termini di meraviglia si esprime pure l’architetto francese Charles Textier, anche lui in Anatolia per incarico del governo francese, i cui resoconti furono pubblicati nel 1839. In questo lavoro per la prima volta la storia della Cappadocia viene ampiamente trattata, con particolare attenzione su ürgüp, Avcilar e la valle di Göreme. I disegni che accompagnano la relazione, realizzati dal pittore Lemaitre, sono particolarmente realistici.

Nel 1842 viene pubblicato un libro del viaggiatore inglese W.F. Ainsworth (Travels and Researches in Asia Minor, Mesopotamia, Chaldea and Armenia, I-II, London, 1842), nel quale, a proposito della morfologia cappadoce, ancora prevale la fantasia "Dopo aver attraversato la valle che si estende lungo la riva del fiume, ci ritrovammo nel mezzo di una foresta fatta di coni e pilastri di roccia. Alcuni di questi coni hanno sulla loro sommità grandi rocce di varia forma che sembrano leoni, uccelli, coccodrilli o pesci". Nel 1837 la Cappadocia viene visitata dal geologo inglese W.J. Hamilton a cui dobbiamo la rappresentazione in un disegno della valle di Soganli (Researches in Asia Minor, Pontus, and Armenia with some account of their antiquities and Geology, I-II, London 1842).

Nell’ottobre del 1938 ürgüp viene visitata dal feldmaresciallo prussiano Moltke che così si esprime "Un’antica ed incombente fortezza, su una roccia stranamente traforata da caverne, dominava la città. Le case di ürgüp sono di pietra, molto eleganti. L’altopiano al di là di esse è coperto da vigne ed inciso da profonde valli. Sui loro pendii, singolari fortezze si ergono come quelle antiche stampe da parati".

Infine, tra il 1907 ed il 1912, un religioso francese, G. de Jerphanion produce la prima indagine sistematica sulle chiese rupestri, gli insediamenti monastici e sui loro affreschi che rende noti al pubblico occidentale attraverso la sua monumentale opera "Les églises rupestres de Cappadoce. Une nouvelle province de l’art byzantin" (Paris 1925-1942).

Non è possibile con le parole descrivere le bellezze della Cappadocia. In queste due puntate ho tentato di elencare dati ed emozioni relative al mondo ipogeo e rupestre che costituisce un’importante chiave di lettura della cultura mediterranea.