"IL DENARO"

24 maggio 1997

Un mare di contraddizioni: architettura e metodo insediativo*

di Michele Capasso

Venerdì 16 maggio 1997. Nel salone "Italia" del Centro Congressi della Mostra d’Oltremare di Napoli si svolge un convegno sul tema "Architettura e Mediterraneo". Nicola Pagliara parla appassionatamente, descrivendo la sua esigenza di respirare "l’aria" e non soltanto di osservare "l’area" quando ci si trova di fronte ad una qualunque espressione di architettura. E continua: "Occorre recuperare il significato delle radici, della memoria, della storia dei luoghi. L’architettura non è solo mestiere, è soprattutto cultura".

Sono trascorsi quasi 25 anni da quando, studente di architettura, ascoltai una lezione di Pagliara nella quale evidenziava la necessità di riscoprire l’architettura come metodo in ogni aspetto della vita. Ai suoi allievi "prescrisse" lo studio ed il disegno puntiglioso di alcuni alberi con relativi apparati radicali. Seguii quel corso, divenni amico di Pagliara, disegnai per mesi alberi e radici e poi ancora case, città, mattoni, tegole, legni, marmi. Durante le notti dedicate al disegno manuale di tavole bellissime, ho riprodotto migliaia di mattoni, di pietre, di alberi, di pezzi di città. Capii, allora, che questo mestiere è, soprattutto, un metodo di vita.

Ho ricordato tutto questo intervenendo al convegno, illustrando il mio personale percorso che mi vede oggi dirigere non più l’architettura di case o città, bensì quella, più complessa e difficile, del delicato mosaico mediterraneo con tutti i problemi scaturenti dalle molteplici tematiche che lo contraddistinguono. Tra queste l’architettura.

Nel Dizionario enciclopedico De Agostini, "Hic Sunt Leones" viene definita come "espressione utilizzata per accennare ad un pericolo che c’è di certo, ma che non si conosce". È la scritta che si trovava nelle antiche carte geografiche dell’Africa per indicare terre sconosciute.

Oggi vi è la necessità di ripensare il Mediterraneo, di ricercare significati attuali, tentando di spingersi oltre i luoghi comuni e le ragioni storiche del suo passato. Tentiamo di rimettere in gioco il termine Mediterraneo dal punto di vista dell’Architettura.

Se è vero che dai romantici viaggiatori del secolo scorso fino a Le Corbusier e ai cosiddetti "razionalisti" il Mediterraneo è stato poeticamente identificato, al di là delle personali e complesse interpretazioni, come il luogo del rapporto armonico con la natura, della possibilità di "purificazione" e di ricerca incontaminata, dell’incontro con la classicità e con le culture alternative a quelle definite "occidentali", è ormai ovvio che questa identificazione non è più possibile.

Bisogna realisticamente riconoscere che il Mediterraneo non è più, o non è soltanto, il mare della scoperta e dell’attraversamento, un grande e fluido territorio di comunicazione, ma è anche una barriera che isola e divide; da un lato costituisce ancora una straordinaria opportunità di conoscenza e di scambio, punto di incontro e di scontro di tre continenti, di tre fedi, dall’altro si presenta come un luogo chiuso, fatto di ostilità e di impenetrabilità: è il mondo dei rapporti più affascinanti tra natura e cultura, ma anche il mondo dei disastri ambientali e della cementificazione selvaggia delle coste.

Inutile negare che qualcosa ci è stato sottratto per sempre; qualcosa, per necessità o per scelta, è stato irresponsabilmente e irrimediabilmente distrutto: ma, proprio nel momento della sua dissoluzione, sentiamo che c’è bisogno di interrogarsi sull’esistenza e sul senso di una "identità" mediterranea, e forse uno dei modi di farlo può essere attraverso la riflessione sull’Architettura, con le sue capacità di incidere suoi luoghi e sugli uomini, di rivelarne aspetti inconsueti, considerando i suoi limiti ma anche le sue responsabilità.

Si tratta di inseguire una identità che sfugge, senza la necessità di imbrigliarla, ma accogliendola così come si presenta, diluita nei percorsi e nelle maglie di una rete sempre più complessa e senza centri, con infiniti nodi e dai contorni sfumati, difficile da definire ma non perduta per sempre, che spunta fuori anche attraverso singoli eventi o personaggi, a tratti oscura ma, anche per questo, luogo delle possibilità inesplorate, dei rapporti irriducibili alle semplificazioni.

Si tratta di una sfida insidiosa, perché "identità" è un termine ambiguo; perché è necessario distinguere tra una identità complessa, che negando se stessa diviene occasione di dialogo e arricchimento reciproco, ed una identità di sangue etnico-religiosa portatrice di integralismi e "pulizie". E l’Architettura, su questo tema, non ha un ruolo marginale, non funge da mero sfondo inanimato, ma viene direttamente coinvolta: basti per tutti l’esempio del ponte di Mostar e della biblioteca di Sarajevo, colpiti proprio in quanto simboli di "comunicazione interetnica".

Bisogna essere consapevoli del fatto che il "recupero della mediterraneità" è tanto affascinante quanto rischioso, perché negli ultimi anni chi più ha danneggiato il Mediterraneo è proprio chi dichiaratamente ha tentato di rifarsi alla sua tradizione. Orrende case bianche, osceni villaggi turistici e la deturpazione delle coste hanno spesso trasformato un antico modo di vivere in squallido passatempo per vacanze.

Esiste oggi un modo di abitare che possa definirsi "mediterraneo"?

Occorre sciogliere i vari "nodi" delle culture e saper ben leggere i valori diffusi. Il Mediterraneo, luogo di identità e di differenze. E poi di incontri, di scambi, di relazioni, di contrasti, di conflitti. Per molti pienamente "luogo".

Non un luogo qualunque, beninteso, ma un luogo fortemente caratterizzato: un luogo "difficile" – diceva Fernand Braudel –, scomodo, articolato, frastagliato, multiforme. Ma, proprio per questo, luogo che ha stimolato l’ingegno insediativo.

Abitare il Mediterraneo non è stata un’impresa facile. Non solo per le incursioni dei saraceni, per le discese dei barbari o per quella continuità di rapporti facili nel tramutarsi in conflitti. Il Mediterraneo presenta una topografia particolare, che impone ai suoi abitanti uno sforzo di creatività. Non è agevole costruire la propria dimora su un costone roccioso a picco sul mare, né trovare lì i prodotti per vivere. Le mille fratture del terreno, gli alti picchi, i profondi baratri rendono difficili le comunicazioni, i rapporti, le fratellanze. Eppure il mare, il clima, la luce, la vegetazione hanno determinato, a cospetto di tanta diversità di condizioni, un ambito culturale omogeneo. Tale omogeneità si può leggere solo superficialmente come un fattore stilistico o estetico. In realtà è una omogeneità di risposte a necessità primarie, costruttive ed abitative: assai limitate nelle proprie possibilità espressive, ma proprio per questo più vere.

L’architettura mediterranea non è per noi architetti, impegnati nella ricerca delle radici del moderno costruire, un catalogo di forme, di stili, di elementi accessori. È, invece, conoscenza approfondita del luogo: delle sue suggestioni, delle sue particolarità, ma anche e soprattutto delle sue "difficoltà". Quelle "difficoltà" che, come detto, ne determinano i caratteri più autentici. Nell’epoca della mondializzazione dell’economia e dello sconfinamento delle risorse non è facile parlare di valori essenziali, di risposte adeguate, di caratteri, di necessità del luogo. La ricerca dell’uniformità delle condizioni di vita sta cancellando, con le più evidenti ineguaglianze, tutta una serie di condizioni che costituiscono la ricchezza dell’architettura, le sue radici profonde, le sue ragioni d’essere e quelle che dovrebbero essere le fondamenta per uno sviluppo storico equilibrato.

Tornare a parlare oggi di architettura mediterranea non ha nulla del gusto per il vernacolare, di una visione retrospettiva e consolatoria. È invece ricerca attiva di essenzialità e di metodo. È studio dei modi con cui l’uomo si è confrontato, nel corso della storia, con una natura forte, rigogliosa, complessa; per insediare in essa il suo ambiente di vita, per stabilire con essa un rapporto equilibrato.

Questo rapporto oggi si è drammaticamente interrotto, sopraffatto da una maniera scellerata di uso del territorio. Le sue conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Al Mediterraneo, all’Architettura Mediterranea chiediamo – non senza una certa premura – di insegnarci a stabilire questo rapporto; di aiutarci a riscoprire il modo corretto ed equilibrato del nostro stare sulla terra.