"IL MATTINO"

8 settembre 1997

Mediterraneo: il mare delle città*

di Michele Capasso

Tangeri. Agosto 1997. Il caldo è asfissiante. Mohamed Choukri è uno scrittore marocchino della regione di Rif, un ex muratore rimasto analfabeta fino all’età di vent’anni. Poi, l’approdo alla scrittura, e il successo sancito dalle traduzioni all’estero dei suoi lavori. Il suo libro più bello è Il pane nudo, un’autobiografia che parla soprattutto di Tangeri, la sua città. "Qui – dice Choukri – vivo un’intimità con le memorie, con i luoghi, con i miei personaggi. Amo questa città, da lei non potrei mai divorziare: cerco sempre un pretesto per ritornarci. È come una bellissima donna..." L’amico scrittore mi guarda con il suo baschetto in testa, si tocca i baffi con le mani ruvide macchiate di nicotina: "Tra poco violenteranno la mia città – afferma nervoso Mohamed – quando faranno il tunnel sotto lo stretto di Gibilterra. Per la mia Tangeri sarà come perdere la verginità".

Non è la prima volta che vedo associare una città mediterranea ad una donna: mille città, "mille donne" di antica e diversa bellezza, segnate da numerose rughe che le consegnano ad un presente privo d’identità. Durante i passati decenni, con modalità ed intensità molto diversificate, queste rughe ne hanno spesso modificato il volto: l’incremento demografico, la debolezza delle istituzioni locali, la mancanza di progettualità e l’aggressività degli speculatori hanno impedito che la crescita delle città fosse regolata da idee e, tanto meno, da leggi.

Gli appunti che seguono non sono solo miei. Si possono comporre in molti modi diversi, più o meno arbitrari, per le molteplici città del Mediterraneo. Per alcune di queste è stato già detto praticamente tutto: delle costruzioni, delle pietre, degli stili, delle piazze e delle fontane, dei capitelli, delle sculture, dei portali, dei palazzi, delle istituzioni, dei centri storici, delle chiese, dei monumenti e così via; per altre quasi nulla, come dimenticate e abbandonate al loro destino.

Oggi il Mediterraneo sembra ritornare al tempo in cui gli Stati non esistevano, quando le "civitas" rappresentavano intere regioni ed il loro ruolo era essenziale e prioritario.

In questi ultimi tempi assistiamo al risveglio di una volontà nuova da parte delle principali città mediterranee: molte finalmente "si parlano", cercano insieme di affrontare problemi comuni trovando soluzioni adeguate. Alcune hanno una struttura particolare: un’orizzontalità ed una verticalità collegate con la loro storia; altre hanno una grande profondità verticale, una stratificazione che è al tempo stesso ricchezza e angoscia: è il caso di Napoli, Marsiglia, Alessandria e Costantinopoli.

Nel Mediterraneo le città si identificano soprattutto nel rapporto continente/mare. Molte si sono scelte per protettori dei santi. Questi ultimi sono di origine orientale nella parte centrale del bacino. Sull’Adriatico, invece, l’Oriente e l’Occidente si sono avvicinati più che altrove: san Teodoro protegge Curzola, san Giacomo Sebenico, san Doimo e san Biagio Spalato e Ragusa, Senj – piccola città sull’Adriatico – ha voluto san Giorgio di Siria come protettore: il medesimo santo scelto da Genova, Barcellona e Terragona.

Una guida virtuale è rappresentata dal libro Le città invisibili di Italo Calvino. Il modo con cui Marco Polo descrisse a Kublai Khan le città attraverso le quali era passato può essere uno stimolo per descrivere le città mediterranee: la città si presenta differente a chi viene da terra e a chi viene dal mare ("La città e il desiderio", p. 25); non si deve mai confondere la città con il discorso che la descrive, eppure tra l’una e l’altro un rapporto c’è ("La città e i segni", pp. 6-7). Italo Calvino conosceva città affondate nei continenti, vicino al Mediterraneo, diventate poi porti senza mare.

Molte parti delle città mediterranee lasciano un’impronta che va oltre la città stessa. È il caso, ad esempio, dei mercati, delle carceri, dei cimiteri, dei porti.

Nella città greca e in quella romana la politica e il commercio si fronteggiano sulla civica piazza, a volte associandosi altre entrando in conflitto. Poche volte i governanti sono stati capaci di liberare la piazza dal commercio. E ancora oggi ad Atene, Tunisi, Casablanca, Marsiglia, Napoli, Barcellona ed in tante altre città, i mercati – grandi e piccoli – sono al tempo stesso attrazione e tentazione. Nell’antico Egitto la donna andava al mercato in compagnia del marito; gli Ateniesi, invece, ritenevano che fosse un’attività solo maschile. Tuttora nei mercati delle principali città mediterranee non esiste parità sessuale. Spesso le vie dei mercati coincidono con quelle della fede religiosa; come pure le città e i mercati sono legati alle saline: il sale, infatti, veniva scambiato con il grano e con la carne.

Oggi è ancora immutato, in molte città del sud, il fascino dei bazar e dei suk. Bazar è una parola persiana (wazar, vuol dire piazza) mentre affascinante è il destino del termine suk. Con questa parola, nel dialetto semitico dell’Acadia, si indicava tutto ciò che è stretto, contiguo. Vi furono suk celebri a Siviglia, Toledo, Majorca: in Spagna e in Portogallo le parole zoco, azoca, azog, azoque derivano tutte dal termine suk.

Molte carceri, costruite sul mare, legano per sempre il loro nome alle città. È il caso, ad esempio, di Dubrovnik, Fiume, Spalato, Marsiglia, Barcellona, Algeri, Istanbul, Venezia, Tunisi ed altre. Ivo Andric; (1892-1974) nel suo libro Il cortile maledetto parla dell’antico carcere di Istanbul come punto di incontro di tutte le strade degli uomini.

Ogni città mediterranea ha almeno un cimitero la cui posizione, spesso nel luogo più bello e panoramico, dipende da un’inspiegabile inclinazione verso il mare o, al contrario, da una forte attrazione verso la terra ferma. Oggi l’estensione delle periferie ha, in molti casi, inglobato i cimiteri bruciando la sacralità e il silenzio del luogo. Anche i pini e i cipressi, caratteristica di quel pezzo di città, appaiono spesso intrappolati. Una volta venivano piantati come segno di pace: in molte città questo rapporto esiste ancora.

Nel Mediterraneo distinguiamo le città-porto dalle città con il porto.

Nel primo caso i porti sono diretta conseguenza della natura dei luoghi, nel secondo sono stati costruiti per necessità. I porti marchiano il volto delle città: se sono aperti dal corso di un fiume, se sono stati voluti dal mare, se l’hanno determinato le spinte dell’entroterra. Il porto è uno dei principali problemi della città mediterranea: insieme al centro storico ed alla città stessa. Tali problemi sono contigui, legati tra loro ma non riducibili l’uno all’altro; il porto non può essere ridotto al centro storico e viceversa: ciascuno ha una propria autonomia. Esiste oggi un’evidente rottura tra centro storico e porto: da quando antichi dialoghi urbani sono andati perduti. Occorre recuperare le corrispondenze tra la città, il suo porto e il mare con criteri di efficienza ed utilità ma, soprattutto, integrando il tessuto urbano, restiduendo mare e porto alla città.

Nel Mediterraneo, in modo particolare, i temi e i problemi legati alle città sono molteplici e risulta impossibile elencarli. Tuttavia è necessario accennare ad alcuni di questi: il rapporto con la storia, con la memoria e con i simboli; il significato dell’urbanismo e dell’architettura; l’etica, l’ecologia ed il bisogno di sicurezza. Il rapporto con la memoria si identifica spesso con la mitologia facendo perdere valore alla storia; anche quest’ultima assume le connotazioni personali dei gruppi che la raccontano fornendo un’immagine impropria. Quello con i simboli deriva sovente dalle immagini virtuali proposte dai media che, talvolta, sono lontane dal reale.

È importante riscoprire storie, memorie e simboli nella loro complessità.

L’urbanismo è vittima di quello che i francesi definiscono "zonage" o, ironicamente, "clonage": la tendenza, cioè, di decidere ed operare su pezzi isolati senza considerare il suo insieme, senza valutare l’unicità del corpo della città. Napoli ne è esempio. Nella sua estensione iperbolica questa città si è spesso vendicata di quegli interventi che di fatto l’hanno vivisezionata senza considerare i danni arrecati sul suo intero sensibile "corpo": con la sua voluta irregolarizzazione Napoli ha compiuto, di fatto, la sua vendetta.

Il conflitto tra urbanismo e mercato è oggi più evidente. L’economia, soprattutto quella legata al potere locale ed alle diffuse corruzioni, si è imposta spesso annientando ogni regola, facendo prevalere interessi minimi su visioni sovralocali, uccidendo la città stessa. Uno dei dilemmi dell’urbanismo è costituito dalle preesistenze: "pagine" di città già scritte, spesso male, per le quali non si sa se e come cancellarle nè come riscriverle. Il problema più sentito è il rapporto tra il centro e le periferie che si costruiscono senza alcun riferimento alle qualità dei centri storici.

La nostalgia della periferia non è autentica perchè non tiene conto della necessità e della libertà nei confronti della necessità. In molte città del sud del Mediterraneo sono stati realizzati vecchi progetti di periferie, frutto di ideologie miopi.

È soprattutto in questi episodi che appare più evidente la frattura tra urbanismo ed architettura e quanto mai necessaria una riflessione etica.

L’architettura, specialmente nelle città mediterranee, solo eccezionalmente è assoluta: per questo deve essere considerata soprattutto come pratica sociale. È indispensabile valutare il luogo dove si colloca l’intervento, l’edificio che sta accanto, la strada e l’insieme del tessuto urbano. In molte città per troppo tempo si è prodotto solo "architettura d’accompagnamento", tradendo l’idea stessa di architettura che, al contrario, deve essere "di sostegno". Un problema rilevante è quello relativo al riuso dei vecchi manufatti: se e cosa demolire, quando correggere, cosa aggiungere o sostituire al demolito. Questi temi sono autonomi e collegati tra loro. Cancellare, fare "tabula rasa" è una violenza che spesso ha impoverito anzichè arricchire il patrimonio delle città mediterranee.

Un altro tema è quello dell’ecologia della città: rispettare e sorvegliare quello che si fa; la vivibilità dipende soprattutto dalla capacità di gestire e mantenere tutto ciò che viene realizzato. Il "bisogno di sicurezza" è oggi necessario soprattutto nelle città mediterranee. Se è vero che una comunità libera deve garantire la sicurezza tramite la solidità e la certezza delle sue istituzioni, è altrettanto vero che la vita di ogni comunità è affidata alla sensibilità dei suoi cittadini: in tal senso il bisogno di sicurezza agisce sul piano psicosociale.

Le speranze progettuali, l’attivazione e gestione delle risorse di una città sono vincolate nella loro attuazione all’esistenza di condizioni di sicurezza.

Abbiamo paragonato le città mediterranee a "corpi umani": come gli uomini e le donne queste città nascono, crescono, si ammalano e possono morire. Gran parte di esse sono gravemente ammalate. La cura è nelle mani di chi le governa ma, soprattutto, nelle nostre. Recuperare e razionalizzare l’esistente, effettuare scelte qualitative e non quantitative, dare respiro e rigore all’azione amministrativa iniettando efficienza, competenza e professionalità: sono queste le medicine che potranno assicurare la vita futura delle città del nostro mare.