IL
MATTINO
07/07/2008
Mediterraneo la svolta necessaria
Il 13 luglio prossimo capi di
Stato e di governo di oltre 40 Paesi si riuniranno a Parigi per lanciare
l’Unione per il Mediterraneo, un progetto inizialmente evocato dal presidente Sarkozy e infine accolto, dopo esitationi
e incertezze, come uno sviluppo, o per meglio dire una costola, del più antico
ma assai sonnacchioso e controverso processo euro-mediterraneo di Barcellona. Per l’Italia sarebbe stato
probabilmente meglio il formato originario, limitato ai soli Paesi rivieraschi
del Mediterraneo, per controbilanciare i programmi di sostegno intrapresi negli
ultimi dieci anni da Bruxelles in favore dei Paesi dell’ex est europeo,
divenuti nel frattempo in gran parte membri dell’Ue. Quale che siano oggi le
valutazioni sulla nuova iniziativa, è un fatto non controvertibile che essa
rappresenta l’ultimo treno per iniettare vigore e dare prospettiva politica ad
un processo, quello di Barcellona, che ha sostanzialmente tradito le promesse
di restituire centralità alla regione mediterranea. Nonostante le ingenti
risorse consacrate al partenariato euro-mediterraneo
e le roboanti dichiarazioni di pace e di progresso
condiviso, i risultati sono stati molto magri e quasi mai ci si è ricordati
dell’impegno assunto nel 1995 nella capitale catalana allorquando le gravi
crisi conosciute dalla regione avrebbero richiesto una più chiara e decisa
azione dell’Europa.
Neanche sul piano strettamente economico le cose sono andate
bene. Soprattutto per il nostro Mezzogiorno che, con i
continui approdi nelle sue coste di migliaia di clandestini, ha pagato un
prezzo assai elevato ai crescenti squilibri di ricchezza fra le due rive e al
connesso fenomeno della criminalità internazionale organizzata sul traffico degli
esseri umani. Criminalità che è riuscita sinora a
sfuggire alle maglie ancora forse un po’ larghe della politica di sicurezza
dell’Ue. È giunto quindi il momento che il
Mezzogiorno sia aiutato a svolgere la sua funzione di
ponte di sviluppo e di mediazione culturale, che la sua vocazione avrebbe reso
utile e necessaria per la creazione fra le due rive del mare (non più) nostrum
della spesso conclamata, ma rimasta evanescente, volontà di dialogo e di
crescita condivisa. L’impegno è certamente grande e chiama in causa non solo il
governo ma anche le autorità regionali e i poteri locali, oltre beninteso il
settore privato. Sarà necessario fare sistema, unendo le forze e promuovendo le
massime sinergie fra programmi e iniziative spesso frutto di politiche non
coordinate e di una frammentazione di competenze non più giustificabile da
quando ci si trova a competere in un’arena globale,
dove a stento i colpi bassi sono discernibili e ancora meno censurati. Lo
abbiamo visto con il pesante pedaggio pagato anche dall’Italia per la crisi del
«subprime», scoppiata aldilà
non del Mediterraneo ma dell’Atlantico, e lo vediamo regolarmente a causa delle
acrobazie tecnocratiche operate da Bruxelles. Può allora essere un segnale di inversione di tendenza e di abitudini il convegno che
Antonio Badini