"IL DENARO"

5 aprile 1997

Miserie di un mare senza pace*

di Michele Capasso

Orazio definiva l’intero mare Adriatico "adirato" (iracunda, III, 9) e "tempestoso" (Hadria turbida). Dante nel "Purgatorio" (XXX,87) chiama "venti schiavi" i venti freddi e pungenti del nord-est. Come la bora. Questo vento è forte a Trieste, ma anche a Grado, Venezia, Senj (sotto i monti del Velebit), Tustica. Anche lo scirocco diventa pericoloso: soprattutto di fronte al promontorio di Ostro.

L’Adriatico è un mare senza pace. Come il Mediterraneo, di cui ne fa a volte parte, altre no. Questo lago d’acqua salata, lungo circa 700 chilometri e, nel canale d’Otranto, largo dieci volte di meno, è tormentato non solo da "venti schiavi" ma anche da "venti di schiavitù". Le sponde di questo mare, soprattutto quella occidentale, diventano, per gran parte dei popoli della sponda orientale, un miraggio. Il raggiungere tale "miraggio", spesso, si paga con la vita.

28 marzo 1997. Venerdì di passione. Ore 19. Brindisi. A 35 miglia dalla costa, una motovedetta della marina militare albanese si scontra con la corvetta "Sibilla" della marina militare italiana. Pochi i superstiti tra i profughi albanesi. Le vittime finora accertate sono 89. Zylima Sulejmani, anni 22; Krenar Sulejmani, anni 27; Alban Sulejmani, 4 anni; Mirand Caçakil, 28 anni; Lezantina Xhavara, 25 anni; Kredenza Xhavara, 6 mesi; Besmir Baia, 10 anni; Kasiani Bestrova, 30 anni; Dritero Bestrova, 10 anni, Kostandin Bestrova, 2 anni; Kozeta Berberi, 21 anni, Latif Berberi, 55 anni; Kedion Sula, 2 anni; Fiqiri Sula, 30 anni; Ervin Sula, 15 anni; Kastriot Basha, 27 anni; Klarita Basha, 24 anni; Zhylien Basha, 3 anni; Irma Greko, 19 anni; Kristi Greko, 3 mesi; Romeo Guri, 29 anni; Ana Guri, 26 anni; il piccolo dei Guri di 7 mesi; Anife Bekotara, 41 anni; Genti Bekotara, 41 anni; Heraldo Bekotara, 12 anni; Maze Seferi, 31 anni; Brunilda Seferi, 23 anni; Seferi, 1 mese; Mimoza Xhavara, 33 anni; Kamela Xhavara, 10 anni; Gerald Xhavara, 5 anni; Majilinda Xhavara, 21 anni; Bardhosh Deliaj, 44 anni; Burbuqe Deliaj, 39 anni; Lirim Bulla, 18 anni; Zini Muça, 41 anni; Teferi Saliu, 45 anni; Lindita Demiri, 12 anni; Fatos Kajo, 22 anni, Robert Bajrami, 19 anni. Questi alcuni nomi delle vittime; intere famiglie distrutte da una tragedia che poteva e doveva essere evitata. Fiumi di parole vengono scritte sui giornali in questi giorni, spesso strumentalizzando questa disgrazia. Le principali trasmissioni televisive si ingegnano su come spettacolizzare l’evento: utilizzano modellini di nave, marinai, esperti, generali, politici e perfino l’amata-odiata "Internet" per dare spiegazioni. Ma a chi? E perché? Cosa c’è da spiegare di fronte all’inedia e all’ignoranza?

Mi scuso con il lettore se, per una volta, mi lascio sopraffare da emozioni personali che forse potranno ridurre l’obiettività di queste righe. Ma confesso di essere fortemente e tristemente arrabbiato. Lo sono dalla sera di venerdì, quando ho appreso la notizia, quando ho pianto di rabbia, quando ho deciso di incamminarmi su un monte tormentato di neve in Abruzzo per riflettere sul "che fare".

Alcuni anni fa decisi, liberamente, di abbandonare il mio mestiere di architetto e ingegnere per dedicarmi, anima e corpo, ad un’unica passione: il Mediterraneo. Ho tentato di ricomporre, con l’aiuto di alcuni cari amici esperti nelle varie discipline, le miserie di questo mare senza pace. Partendo dalla regione balcanica. Prima la Bosnia ed i paesi della ex Jugoslavia e poi l’Albania. Tra le molteplici attività svolte, abbiamo elaborato analisi e studi sulle trasformazioni dei principali Paesi che si affacciano sulla sponda orientale dell’Adriatico evidenziando pericoli gravi che mettevano a rischio il delicato equilibrio geo-politico di quest’area: le stragi in Bosnia, l’attentato al presidente della Macedonia Kiro Glicorov, le "finanziarie-truffa" in Albania. Chiedemmo per questo – già due anni fa – l’aiuto e l’intervento delle Istituzioni, nazionali ed internazionali, sottolineando la gravità del fenomeno e le onerose conseguenze, soprattutto per l’Italia, che il disfacimento politico ed economico dell’Albania avrebbe prodotto.

Alla fine del 1995, a chi mi chiedeva le motivazioni di un immediato necessario intervento in Albania rispondevo con un esempio legato al mio vecchio mestiere. Il Mediterraneo – ancor più l’Adriatico – è assimilabile ad un edificio fatiscente di antica bellezza ed insostituibile memoria storica. I "condomini" di questo edificio, pur "esperti" nelle varie discipline necessarie al suo consolidamento, lo lasciano crollare e "amministrare" da gente ladra e inesperta che ha come unico scopo finale il crollo dell’edificio. L’Albania, in questo "condominio", occupa un "modesto appartamento" sovrastante il "piano nobile" – con "volte affrescate da artisti famosi" – occupato dall’Italia. Ebbene, non si capisce perché l’Italia, pur consapevole della "fatiscenza dell’appartamento sovrastante occupato dall’Albania", pur allertata dal pericolo di "fughe d’acqua", con conseguenti "danni irreversibili alle volte affrescate", abbia deciso di agire solo quando "la volta sta per crollare".

Un’incosciente pretesa di rispetto dell’autonomia dello Stato albanese ed una sopravvalutazione del suo neonato sistema democratico hanno di fatto impedito all’Italia di agire nella maniera più semplice: eseguire, nella "casa povera dell’Albania", a proprie spese, quei "lavori" indispensabili per bloccare le "perdite d’acqua" ed evitare che le "volte" e gli "affreschi pregiati" venissero irrimediabilmente danneggiati.

Non sto qui a fare conti: ma se sommiamo i costi per il mantenimento economico dei profughi (3 milioni di lire al mese per ciascun profugo), quelli per la solidarietà spicciola, quelli per le operazioni militari, quelli per il sostegno della forza multi nazionale e quant’altro occorrerà per arginare il disastro annunciato dell’Albania, ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad una cifra che avrebbe, più volte, compensato gli albanesi delle loro perdite, ridando loro fiducia e speranza.

Questo intervento economico tempestivo, insieme ad un’azione dell’Ue per la riorganizzazione di un autentico sistema democratico, poteva frenare la catastrofe che ora è sotto gli occhi di tutti noi. Occorreva un po’ di umiltà. Bastava ascoltare i tanti gridi d’allarme tra questi il monito di chi scrive, che già alla fine del 1995 – e, successivamente, in dibattiti, scritti e articoli – aveva ripetutamente allertato le Istituzioni senza ottenere alcuna azione concreta. Il recente appello a favore dell’Albania, promosso e diffuso dalla nostra Fondazione e sottoscritto da numerosi Parlamentari europei, è stato l’ultimo tentativo per scuotere le Istituzioni dell’Unione europea affinché agiscano tempestivamente.

Qualche segnale di speranza appare. Il ministro degli Affari Esteri italiano Dini sta profondendo ogni impegno per far sì che i partner europei intervengano, come pure sta tentando – finalmente – di coinvolgere i paesi mediterranei dell’Ue (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia) ad assumere una comune azione di politica euromediterranea, cominciando proprio dall’Albania. Berlusconi – credo prima come uomo e come padre e poi come politico – ha sentito il bisogno di esprimere la propria solidarietà: la sua commozione autentica è degna di rispetto.

Ma tutto questo non basta.

Per prosciugare il fiume di chiacchiere inutili, per riscattare le 89 vittime di questo dannato venerdì di Pasqua, per rispettare le oltre 200.000 vittime della guerra di Bosnia, per evitare ulteriori vittime nel Kossovo e le mattanze dei macellai fondamentalisti in Algeria, Palestina, Libano ed in altre dannate regioni di questo antico Mare, occorrono azioni concrete. Dobbiamo, una buona volta, capire che questo "edificio" è nelle mani di noi "condomini": buttiamo fuori gli "amministratori disonesti", sacrifichiamo una piccola parte del nostro "misero interesse particolare", rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a "consolidare". Solo così potremo evitare di morire sotto le macerie del nostro egoismo e della nostra inettitudine.

È indispensabile strutturare in maniera organica il dialogo tra la Società Civile e le Istituzioni che ci governano: c’è bisogno di un autentico contributo di tutti per ricostruire rapporti di pace, cooperazione e libero scambio tra i Popoli.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo, con Il Fòrum Civil Euromed previsto per la fine del 1997 e con Fòrum settoriali dedicati anche all’Albania e agli altri Paesi dell’Est, intende investire la Società Civile delle proprie responsabilità per tentare di trasformare la "miseria di un mare senza pace" in "speranza di un mare di pace". Per far questo non basta la voce e l’azione di un singolo. C’è bisogno dell’onestà, della dedizione e della competenza di tutti.