"IL DENARO"

7 giugno 1997

Quale futuro per l’Europa Orientale*

di Michele Capasso

Domenica 1 giugno 1997. I direttori dei principali quotidiani europei dialogano con la Società Civile napoletana e del mezzogiorno d’Italia. Il tema del Fòrum è "L’Europa incontra il Mezzogiorno".

Dialogando con alcuni di questi giornalisti – come Gerfried Sperl – ho affrontato tematiche legate al rapporto tra l’Europa orientale e il Mediterraneo, un incontro che avviene attraverso la mediazione politica e culturale di nazioni come l’Austria e la Slovenia, trovando sbocco nel corridoio dell’Adriatico.

Ma che cos’è oggi l’Europa orientale?

Rivolgere l’attenzione all’Europa orientale e alle Russie (grande, piccola e bianca) è, più che un’apertura culturale, un atto di avvedutezza.

Per l’Occidente l’Europa orientale e le Russie offrono nell’immediato qualche punto strategico di produzione; in prospettiva un grande mercato ma anche l’interferimento, non soltanto positivo, nello sviluppo e nella vita sociale.

Analizzare in tempo la situazione di questi paesi e procedere alle simulazioni delle implicazioni che ne derivano a medio termine è il compito perciò di qualunque istituzione che, come la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, voglia essere attiva nel presente non con i mezzi della politica o dell’economia ma con l’informazione, la riflessione, la proposta e la programmazione.

Si tratta d’un lavoro non facile, che richiede il concorso di specialisti realmente qualificati in un campo dove questi sono pochi ed abbondano gli "esperti" che – quando non sono degli improvvisati – sono troppo settoriali per poter cogliere l’insieme d’un quadro complesso.

Perché il quadro è complesso. Anzitutto per la imprecisione del termine. Europa orientale è un’espressione che cambia il valore secondo il riferimento: il significato geografico non è quello politico, non corrisponde al senso storico. L’unità storica dell’Europa orientale è stata riconosciuta storiograficamente solo alla fine degli anni Venti del nostro secolo e non da tutti gli storici, né da tutti nello stesso modo. Dietro la forma delle parole esiste una sostanza di differente comprensione della storia che è chiave all’intendimento del presente e alla prospettiva del futuro. Se l’economista, il politico e il diplomatico possono agire sulla situazione del momento in base all’attualità, ogni visione a medio e lungo termine richiede una riflessione storica che sappia cogliere le forze e le tendenze che lo hanno condizionato (non determinato) e ne condizionano (ma non determinano) lo sviluppo.

Senza ripetere le definizioni di concetti storiografici relativi a un’area della quale nessuna delle grandi collezioni storiche ha mai sentito la necessità di considerarla nella sua unità, nel discorso sull’Europa orientale ci riferiamo qui: a) ai paesi delimitati ad Ovest dal Reno e dal Danubio, a Nord dal Baltico, a Est e Sud dalla linea nel tempo di poco variante della divisione ideale (la divisione naturale è stata giustamente contestata non solo da geografi ma anche da filosofi come Kant) tra Europa e Asia; b) i paesi russi; c) quei paesi dell’Asia occidentale che prima hanno influenzato l’Europa orientale e più tardi sono stati soggetti all’espansione russa e quindi a quella sovietica.

Per quanto concerne l’economia le risorse sono molteplici, ben note ma sfruttate male. L’ambiente è stato soggetto a molti scempi e vari tipi di degradazioni di grandi fiumi (dalla Volga alla recente deviazione d’un ramo del Danubio) e laghi, di polluzione in ampie aree e contaminazione atomica in diverse zone. Ricapitalizzare l’economia non basta se non si accompagna con il risanamento e una trasformazione sociale che crei le condizioni convenienti a uno stabile sviluppo. In alcuni di questi paesi esiste anche un’incertezza politica o potenzialità di guerre tra comunità limitrofe o intrigate le une con le altre. La politica di certe società americane d’investire (qui come altrove, per esempio nell’ex-Zaire) senza preoccupazione della stabilità politica e sociale può essere rischiosa. Un’attenta indagine e delle simulazioni di sviluppo e dei calcoli dei rischi e guadagni è indispensabile, sia paese per paese sia in una più ampia visione areale.

La politica di quest’Europa ha un modello parlamentare assunto dagli anni Novanta. La stabilità si verifica solo in quei paesi, come la Cechia e la Polonia, che hanno avuto prima del comunismo una borghesia sviluppata e con influsso sulla vita politica. Nelle Russie il tentativo parlamentare antecedente la prima guerra mondiale è fallito non solo per l’opposizione dell’intellettualità alle libertà formali, nella presunzione di fare il salto verso più assolute libertà formali, e sostanzialmente per la impreparazione della società ad esse. Secondo i casi, la tradizione culturale bizantina, il cristianesimo orientale e l’Islam hanno fatto da freno a un’evoluzione liberale della politica e posto una delle condizioni del successo comunista. Ne resta un vantaggio che non favorisce la funzionalità delle strutture parlamentari per cui i partiti mescolano riferimenti che sembrano contraddittori (per esempio Stalin e lo zar), l’amministrazione ha disfunzioni e corruzione "asiatici" e l’assetto politico è fragile e aperto a ogni possibile evoluzione. Una situazione che lascia grande spazio alle organizzazioni di tipo mafioso o criminale favorite dalla precedente collusione tra poteri comunisti e organizzazioni mafiose.

Un’analisi dettagliata della situazione deve essere fatta paese per paese.

A parte i paesi in qualche modo centrali (dalla Cechia all’Ungheria attraverso la Polonia) la situazione è molto differente e ha differenti prospettive. Il Baltico è lungi dal trovare stabilità anteriore alla seconda guerra mondiale mentre riavvia i contrasti etnici (ora soprattutto contro i residenti russi) che già prima lo percorrevano.

La distribuzione delle ricchezze, il funzionamento delle strutture sociali varia molto da paese a paese per cui anche su questo argomento occorrono studi particolari.

Un discorso a parte deve essere fatto per la cultura, che, nell’Europa orientale, è dominata da un persistente fondo bizantino su cui nel Seicento s’è inserita progressivamente la cultura occidentale. Le basi psicologiche e tradizionali della cultura sono diverse da paese a paese. Esse richiedono un più approfondito studio che parta già da una nuova (non limitata a una tradizione "greca" come fanno in genere i bizantinologi) e più ampia visione di Bisanzio. Un discorso critico nuovo va fatto anche per i paesi cattolici e islamici.

Quale futuro per l’Europa Orientale?

Nell’insieme le prospettive generali non sono unitarie, ma restano grandi zone di similarità che potrebbero essere prese in considerazione per intese politiche (come le diverse già in atto) o per azioni imprenditoriali: sarà opportuno verificarne l’attuazione in questi quadri d’insieme dei sottogruppi (Europa centro-orientale, paesi baltici, Sud-Est europeo, paesi islamici dell’occidente asiatico del Caucaso).

Questo lembo d’Europa, vittima di un "mondo ex", da molti definita "il Sud ad Est", chiede aiuto all’Occidente ricco e industrializzato. La scommessa da vincere è costruire un’Europa capace di equilibrarsi ad Est – inglobando la "sua" parte orientale – e a Sud, sul Mediterraneo. Da quest’equilibrio dipenderà il nostro futuro.