"IL DENARO"

5 giugno 1999

Cultura e politica insieme per la pace

di Michele Capasso

L’Europa di questa fine secolo si trova di fronte due grandi questioni. Da una parte il completamento dell’Unione monetaria ed il superamento di antiche barriere, costituito dall’allargamento della NATO e della stessa Unione europea; dall’altra parte i rischi appena esposti e costituiti dalle migrazioni di massa provenienti dal Sud e dall’Est, dal terrorismo, dalla disoccupazione strutturale. Sono problemi che preoccupano e che alimentano l’alienazione degli individui creando il distacco tra Società Civile e Istituzioni: un legame fondamentale che costituisce uno dei fondamenti della società europea. Un problema a parte è l’Europa dell’Est. Su questo tema – con Predrag Matvejevic; e Nullo Minissi, che mi hanno accompagnato sin dagli inizi nel lavoro della Fondazione – abbiamo più volte elaborato riflessioni. L’Europa dell’Est è stata una designazione più politica e ideologica che geografica e culturale, imposta dalla Seconda guerra mondiale e dalla guerra fredda. Questo nome diventa sempre più desueto, un termine d’altri tempi che viene sostituito da un altro, altrettanto impreciso: l’Europa centrale e orientale. L’Europa cosiddetta centrale comprende anche paesi che – come l’Austria o la Svizzera – non sono stati assoggettati dai regimi dell’Est. Questa sostituzione di terminologia è di per sé significativa.

L’"Altra Europa" è anch’essa una nozione mal definita, forse di proposito. Che cos’è "altro" in questa parte dell’Europa e che cos’è europeo in questa alterità? Nessuno ha risposto a questa domanda, non si sa nemmeno se sia mai stata formulata. L’Europa nel suo insieme non è più ciò che era una volta. Anche quello che chiamavamo il Terzo Mondo è cambiato e alcuni parlano già di un Quarto Mondo. Una parte dell’"Altra Europa" dei giorni nostri fa apparentemente parte del Terzo Mondo: resti dell’impero sovietico, vestigia dell’antica Russia, della Bielorussia o dell’Ucraina, una Iugoslavia disgregata, i confini dei Balcani, della Bulgaria, dell’Albania o della Romania, forse anche della Grecia o della Turchia. Dopo un rivolgimento tanto violento quanto inatteso, le nozioni di Europa occidentale e orientale sembrano finalmente corrispondere ai punti cardinali. Ci si potrebbe rallegrare di questo buon uso delle parole se le cose in sé si presentassero diversamente. Se l’altra Europa è una denominazione ambigua, la realtà a cui si riferisce non lo è di meno. Oggi questa realtà la possiamo scorgere come è o come dovrebbe essere. La retorica si adatta a queste ambivalenze. La politica ne trae vantaggio. La retorica politica ne abusa. La letteratura, dal canto suo, cerca talvolta di chiarirle o, più spesso, di liberarsene. Anche il concetto di dissidenza si presta a equivoci. Questo termine è ugualmente superato. È stato importato dall’Europa occidentale ed usato per descrivere la sorte subita da una parte dell’intellighenzia dei cosiddetti paesi dell’Est. All’inizio, i russi chiamavano questi intellettuali recalcitranti (ma non sempre si trattava di intellettuali) inakomy-sliascie: "coloro che la pensano diversamente". In seguito ci siamo abituati a chiamarli dissidenti o dissidenza, come ci si abitua a tutto. "Per fare onestamente il proprio lavoro lo scrittore deve essere un dissidente rispetto all’ideologia, dello Stato o della Nazione", diceva lo scrittore croato Miroslav Krleza. Bisogna evitare la trappola delle parole che usiamo, talvolta equivoche quanto le cose che pretendiamo di spiegare. In questo scenario le urgenze a cui la politica europea dovrà dare una risposta immediata sono da un lato una politica in grado di affrontare le ansie inerenti le identità degli individui, dall’altro la riforma del modello sociale ed economico europeo. Questo processo passa attraverso una "sfida etica" che non può ignorare i grandi temi dei diritti umani, della bioetica, dell’istruzione e della formazione soprattutto nei confronti delle popolazioni deboli dell’Est dell’Europa e del Sud del Mediterraneo.

Cultura e politica devono interagire per assicurare pace e sviluppo.