"IL DENARO"
25 settembre 1999
I cedri di Bacharreh
di Michele Capasso
Tripoli, 23 settembre 1999. Da Tripoli, attraverso una strada che si inerpica sulle montagne orientali si arriva al villaggio di Becharreh, sede di una colonia cristiano-maronita, ma celebre soprattutto per la vicinanza della più famosa delle bellezze naturali del Libano: i suoi magnifici cedri. Il più gran bosco di cedri che sia rimasto ai giorni nostri è composto da quattrocento alberi e copre le pendici del monte Makhmal. Si reputa che l'età di alcuni di questi cedri, che hanno raggiunto proporzioni gigantesche, superi i mille anni. Vengono gelosamente sorvegliati dai maroniti che nutrono per questi alberi una particolare venerazione, e li chiamano "cedri del Signore". Il cedro è una delle reliquie più preziose del Paese, il simbolo stesso del Libano. Dal cedro, Salomone trasse il legname per la costruzione del suo tempio e del suo palazzo. Col suo legno i Faraoni scolpirono i loro sarcofagi e le loro barche funerarie, e i Fenici costruirono le loro imbarcazioni. Le celebri foreste del Libano d’altri tempi, che furono la sua risorsa durante i secoli che precedettero il Cristianesimo, sono quasi scomparse e intatto è rimasto solo qualche boschetto di pochi esemplari. Ma uno degli obiettivi più immediati del piano verde è il rimboschimento e la protezione delle nuove foreste di cedri. Ahmed è un vecchio boscaiolo libanese appassionato del Mediterraneo: "Sogno, per questo lago, la pace", mi dice. E continua, raccontando, a modo suo, la storia del Libano: "Circa tremila anni fa, gli abitanti di una regione nel sud-est dell’Inghilterra, che oggi si chiama Cornovaglia, videro entrare in uno dei loro porti una strana imbarcazione. Era una navicella di modeste dimensioni, con un solo albero che reggeva una vela quadrata. Anche gli uomini che ne costituivano l’equipaggio erano di un tipo del tutto sconosciuto ai minatori che abitavano a quel tempo la Cornovaglia, dopo la scoperta dello stagno: erano uomini di bassa statura, dalla pelle molto abbronzata, con barbe nerissime e vestiti di stoffe a vivaci colori". Fuma uno strano sigaro Ahmed, fissa il vuoto e prosegue il suo viaggio nella memoria: "Questi insoliti marinai furono accolti calorosamente quando si apprese che erano venuti con l’intenzione di iniziare relazioni commerciali con gli abitanti del luogo. Intendevano acquistare stagno e offrivano in cambio tessuti variopinti e oggetti di vario genere, ma tutti così strani e così attraenti, come i Celti non ne avevano mai visti. La transazione commerciale fu presto fatta, e il battello riprese il mare. Poi, nei secoli successivi, molti altri battelli come il primo vennero a rifornirsi di stagno. I minatori della costa inglese non seppero probabilmente mai che il porto di partenza di quelle imbarcazioni era una città prospera di commerci, posta sulla costa soleggiata del Mediterraneo orientale, né che i loro equipaggi erano formati dai più audaci marinai dell’antichità, i Fenici. Il Paese da cui provenivano era una stretta striscia di terra della costa siriana posta tra il mare e una grande catena montuosa; e forse fu proprio la limitata superficie dei terreni coltivabili a spingere i Fenici a cercare altrove i mezzi di sostentamento e a fare di loro i più intraprendenti e abili mercanti di tutti i tempi". Attraverso i millenni, la Fenicia è divenuta il Libano attuale: un piccolo territorio, i cui confini corrispondono all’incirca con quelli dell’antica Fenicia. Si usa dire che il Libano è un Paese "ricco di storia, ma povero di spazio". Tuttavia poche nazioni contemporanee, soprattutto tra quelle orientali, possono vantare un’uguale ricchezza culturale. Le origini della nazione libanese risalgono a quattromila anni fa:
Atene è a poche ore di mare, su quello stesso mare che dispensò lungo le sue rive i primi soffi della civiltà. Anche le caratteristiche fisiche di questo Paese sono interessanti, sotto molti punti di vista. Le catene montuose per sei mesi all’anno sono coperte di neve. È da questi monti che prende nome tutto il Paese: Libano, infatti, significa "bianco". Questi monti, dai versanti dirupati ma dal rilievo arrotondato, sono attraversati da numerose profonde gole. In altri tempi erano coperti di immense foreste di cedri, che oggi sono ridotte a qualche raro esemplare, com’è il caso di Becharreh. Sul versante occidentale, che domina il Mediterraneo, dove il terreno è fertile, alcune aree di coltura a terrazze sono state valorizzate nel secolo scorso, quando si sentì più pressante la necessità di aumentare la superficie coltivabile del territorio. Purtroppo la maggior parte di queste terre non si è rivelata all’altezza delle aspettative e ha dovuto essere nuovamente abbandonata. Sulle terrazze che continuano ad essere coltivate ho visto, però, limoni, ulivi e legumi. Dopo Becharreh visito la valle della Bekaa. Scavata tra i massicci montuosi occidentali e un’altra catena parallela più ad est, è la biblica "terra di Canaan".
24 settembre. Ecco la quarta regione naturale del Libano, costituita da una alta catena di monti che si eleva parallelamente alla pianura costiera, chiamata l’Antilibano. La sua cresta serve da frontiera tra il Libano e la Siria. È qui che incontro alcuni pastori che mi parlano del vetro soffiato e della porpora di Tiro. Questo popolo conosce la tecnica della soffiatura del vetro, che serviva alla fabbricazione di svariati articoli. Sapevano anche forgiare il metallo. Tessevano stoffe e le coloravano con la tintura ricavata da una varietà di molluschi diffusi nel Mediterraneo: la famosa porpora apparve per la prima volta nelle tinozze dei tintori di Tiro e Sidone. Essi furono inoltre architetti di talento i cui consigli e il cui aiuto venivano ricercati in tutto il mondo antico. La Bibbia ricorda che Hiram, re di Tiro, inviò i suoi architetti al re Salomone per la costruzione del Tempio di Gerusalemme. Mohamed è uno storico ed insegna a Beirut. Mi racconta che il più grande contributo offerto dai Fenici alla civiltà del mondo intero non fu un prodotto delle loro foreste, dei loro commerci o la loro tintura, ma una creazione dello Spirito: il primo alfabeto fonetico. In questo alfabeto, invece degli ideogrammi cuneiformi o dei geroglifici di Babilonia e d’Egitto, per la prima volta i simboli rappresentavano i suoni di cui era composta una parola. Nel corso delle loro avventurose scorribande, i Fenici ne diffusero l’uso in tutto il Mediterraneo orientale, e i Greci furono i primi ad adottarlo: da questo alfabeto pratico deriva la maggior parte degli alfabeti di cui ci serviamo attualmente. Nel corso dei loro viaggi e dei loro scambi attraverso il mondo, i Fenici fondarono colonie e porti commerciali, che a volte si trasformarono in grandi città come Cartagine, rimasta però per secoli legata alla "città-madre", Tiro. Altre colonie fenicie prosperarono nell’Italia meridionale. Posero basi in Sicilia e nell’isola di Malta, poi a Gozo e a Pantelleria in posizioni strategiche per i loro commerci. Dalla Sardegna raggiunsero in Spagna il "paese di Tharsis" (ora Cadice) e fondarono Malaga e Adra; né sfuggirono alla loro attenta esplorazione le miniere dell’Andalusia. Ma i vascelli fenici andarono anche oltre i confini del mondo Mediterraneo: si spinsero fin sulle coste occidentali della penisola iberica e di lì su quelle dell’Inghilterra. Si sa che andarono a cercare lo stagno fin nelle isole Cassiterites, situate a sud-ovest della Gran Bretagna. Penetrarono anche nei Dardanelli e nel Mar Nero. Una flotta fenicia fece persino il giro dell’Africa!
Un grande popolo che dovrà essere in grado di sfidare il nuovo millennio costruendo, questa volta, la pace.