"IL DENARO"

30 gennaio 1999

L’acqua diventa un bene raro e prezioso
Una risorsa indispensabile per la pace e lo sviluppo

di Michele Capasso

Napoli, 28 gennaio 1999. È uscito in questi giorni il bel libro, curato da Eugenia Ferragina, dal titolo "L’acqua nei Paesi mediterranei: problemi di gestione di una risorsa scarsa", che affronta un tema oggi di enorme importanza Le Nazioni Unite hanno recentemente effettuato un sondaggio rivolto a scienziati e intellettuali di spicco chiedendo loro quali sarebbero state le problematiche più gravi a cui l’umanità avrebbe dovuto far fronte all’alba del Duemila. Dalle risposte è emerso che la seconda sfida più impegnativa del secolo – dopo la forte crescita demografica dei Paesi in via di sviluppo – è considerata la scarsità di risorse idriche che rischia di interessare aree sempre più vaste del pianeta. Le cifre appaiono, d’altronde, eloquenti 1,2 miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo non hanno accesso all’acqua potabile; 2,9 miliardi non godono di servizi sanitari adeguati; in Africa le donne sono costrette a destinare circa 2,9 miliardi di ore annue alla ricerca e al trasporto dell’acqua per usi domestici; le malattie che hanno l’acqua come veicolo di diffusione colpiscono prevalentemente i bambini uccidendone circa 4 milioni l’anno. La vastità del problema trova eco nella stampa e nelle sempre più frequenti conferenze internazionali sull’ambiente e lo sviluppo. Nel quadro delle raccomandazioni della Conferenza Mondiale sull’Ambiente di Rio, la nuova Convenzione di Barcellona adottata nel giugno 1995 dai Paesi euromediterranei, ha inserito la gestione delle acque continentali quale elemento chiave di tutte le politiche di sviluppo sostenibile nella regione. D’altronde la fragilità degli ecosistemi mediterranei e la consapevolezza di disporre di potenzialità limitate su un territorio sottoposto – specie lungo le coste – ad una forte pressione umana, è un tratto che accomuna tanto i Paesi ricchi che quelli poveri di risorse. Il contesto generale in cui si inquadra il problema della gestione delle risorse idriche nei Paesi mediterranei ha subìto una profonda evoluzione negli ultimi anni. Tale evoluzione è legata alla dimensione assunta dai bisogni che sono enormemente cresciuti soprattutto nella riva Sud ed Est del Mediterraneo in seguito alla crescita demografica e all’urbanizzazione, facendo apparire la nozione di limite delle risorse prima inesistente. All’aspetto quantitativo si aggiunge quello qualitativo, in quanto la lotta contro l’inquinamento è divenuta un obiettivo prioritario delle politiche idriche, allo scopo di tutelare i beni ambientali, base stessa dello sviluppo, e preservare la salute della popolazione. Esaminando nel complesso la situazione idrica nel Mediterraneo, l’elemento che appare più evidente è il contrasto tra la riva Nord e quella Sud.

Appartenenti a diversi insiemi geo-economici, i Paesi mediterranei presentano anche problemi diversi legati al settore idrico, così come una diversa politica di interventi. Nei Paesi della riva Nord – quali la Grecia, il Portogallo, il Sud dell’Italia e della Spagna – le politiche idriche hanno subìto negli ultimi decenni una notevole evoluzione, passando da una gestione meramente quantitativa ad una gestione qualitativa improntata alla salvaguardia della risorsa e al riconoscimento dei principi dello sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda i Paesi della riva Sud del Mediterraneo, la situazione idrica ha subìto un costante deterioramento a causa delle dinamiche demografiche registrate nel periodo successivo all’indipendenza, che hanno determinato una forte pressione sulle risorse. In un contesto di scarsità, che impone una gestione accorta del potenziale disponibile, la crescita della popolazione ha introdotto un elemento di forte competizione tra usi agricoli, urbani e industriali. Il dilemma che questi Paesi si sono trovati ad affrontare è l’alternativa tra la soddisfazione dei bisogni alimentari primari ed un’allocazione delle risorse idriche verso settori a più alto valore aggiunto quale quello industriale. La modifica delle politiche idriche nazionali richiede interventi in grado di incidere non sull’offerta di acqua – che appare rigida e legata alle caratteristiche agro-climatologiche dell’area – quanto piuttosto sulla domanda che è elastica in rapporto alle misure di tipo normativo e tariffario che possono essere introdotte. È necessario intervenire, dunque, sulle abitudini di consumo partendo dal ruolo fondamentale che le donne rivestono nella gestione delle risorse idriche nelle zone aride, al fine di diffondere quella che da più parti viene definita "una nuova etica dell’uso delle risorse rinnovabili". Amman, 24 gennaio 1999. Discuto con Nasser El Din El Assad. Un caso emblematico di quanto l’acqua possa rappresentare un vincolo allo sviluppo è quello della Giordania. Il 90% del territorio del Paese riceve meno di 200 millimetri di precipitazioni annue, di cui il 90% evapora, il 5% si disperde nello scorrimento superficiale e solo il 5% va a ricaricare le falde sotterranee per infiltrazione. Alla scarsa dotazione si aggiunge la competizione con gli altri Paesi del bacino per lo sfruttamento del Giordano e dei suoi affluenti, in particolare lo Yarmouk. I recenti accordi di pace hanno portato nuove prospettive di cooperazione con Israele che si è impegnato a fornire integrazioni idriche al Paese e a creare bacini di stoccaggio per la raccolta delle acque durante i mesi estivi. Nello stesso tempo, la Giordania sta procedendo ad una drastica revisione della politica idrica nazionale che prevede l’impiego dei finanziamenti internazionali per l’ammodernamento delle infrastrutture idriche – le perdite in rete raggiungono il 50% – la creazione di impianti di depurazione e di riuso delle acque reflue nonché l’introduzione di un sistema tariffario in grado di incidere sul risparmio idrico e su un uso più razionale delle risorse. L’esempio della Giordania conferma come l’unica risposta al crescente deterioramento della situazione idrica a scala mediterranea sia da ricercarsi in una gestione integrata, vale a dire nella combinazione di mezzi tecnici, economici e finanziari in grado di conciliare la massimizzazione dei benefici sul piano economico con la tutela di una risorsa ambientale scarsa e soggetta a deterioramento. Va da se che la gestione integrata va intesa a scala regionale e richiede la realizzazione di grandi opere idrauliche che solo la cooperazione ed un’equa ripartizione dei benefici economici tra gli Stati coinvolti può rendere possibile.