"IL DENARO"

13 marzo 1999

L’Europa perde un’altra occasione di pace

di Michele Capasso

Bruxelles, 10 maggio 1999. Israele e i 15 paesi dell’Ue hanno sottoscritto nei giorni scorsi a Bruxelles un accordo di cooperazione scientifica e tecnologica che include lo Stato ebraico nel quinto programma quadro dell’Ue che si svilupperà nei prossimi 4 anni. È un successo della diplomazia israeliana. Il budget del programma, circa 15 miliardi di euro, rappresenta una posta considerevole nell’ambito della cooperazione scientifica: per questo Israele verserà a titolo di diritto di entrata una somma di 145 milioni di Euro e si assocerà al secondo programma quadro consecutivo come unico paese "non europeo". Tale accordo fu ostacolato nel dicembre 1998 da molti paesi membri, in modo particolare dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dai Paesi Bassi: essi ritenevano Israele responsabile del congelamento del processo di pace e della mancanza di attuazione degli accordi di Oslo e di Wye Plantation. Tuttavia questo impedimento economico al fine di accelerare il processo di pace non ha avuto successo. Israele ha ottenuto quanto voleva senza cedere nulla. Ancora una volta appaiono le contraddizioni di questo Paese. Sempre in dicembre, il Consiglio dei Ministri europei, divisosi sull’argomento, aveva deciso di "non decidere": rifugiandosi dietro la richiesta di parere al Parlamento Europeo. Si è subito verificata un’offensiva sistematica ed organizzata della diplomazia israeliana presso i 15 Paesi dell’Ue che ha trovato forte sostegno nei più importanti gruppi industriali europei. Gli argomenti sollevati da industrie quali Siemens, Matra ed altre sono stati essenzialmente due: il basso livello di sviluppo tecnologico delle industrie israeliane e l’assenza di connotazione politica delle stesse. Un’operazione di lobbying pro-Israele di alto livello che palesemente ha distorto la verità. Miguel Angel Moratinos è l’inviato speciale permanente del Consiglio dei Ministri europei per il processo di pace in Medio Oriente: ha fatto un appello ai parlamentari europei per trovare un rapido accordo nel quale Israele doveva essere ammesso ai fondi del quinto programma quadro senza condizioni. L’Europa, in parole povere, non doveva esercitare alcun veto condizionando – ad esempio – i finanziamenti all’assunzione di seri impegni per il processo di pace. Israele si è felicitato per questo atteggiamento dell’Europa e per le ricadute economiche potenziali. Jean Michel Dumont, segretario generale dell’Associazione parlamentare per la cooperazione euro-araba afferma: "L’utilità della cooperazione scientifica tra l’Europa e Israele è equiparabile alle azioni di pace in Medio Oriente. Privilegiando la cooperazione, nelle attuali circostanze, l’Europa perde un’occasione irripetibile di azione concreta sul processo di pace. Ciò testimonia ancora una volta l’assenza tragica di una politica europea chiara e definita nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Una politica fatta certamente di molta buona volontà, ma anche di un’enorme approssimazione". Ancora una volta l’Unione Europea viene accusata di carenze politiche nei confronti di una regione che è la sua culla: il Mediterraneo. Oggi più che mai, alla vigilia della III Conferenza euromediterranea – prevista a Stoccarda il 15 e 16 aprile 1999 – è indispensabile costituire un "sistema" nel quale il processo di pace e la cooperazione allo sviluppo siano inscindibili. Questo vale per tutti i paesi in cui i conflitti ostacolano non solo il progresso civile ma annientano, spesso, il rispetto dei diritti umani. Israele non è un paese come gli altri e nessuno sa se lo diventerà.

Novembre 1998.Tel Aviv è una città strana. Non è come Napoli. Dà le spalle al mare, con i suoi grattacieli rappezzati a ridosso del deserto secondo uno stile americano decaduto. Con Shmuel Hadas sono sul luogo dell’assassinio di Rabin. Migliaia di lumini azzurri, fotografie e frasi scritte in ebraico ed arabo consacrano il culto di quell’angolo di piazza alla storia. È forse l’unico segno in una città senza carattere, fuori dai conflitti, lontana dai drammi e che si preoccupa più del suo sviluppo economico che dello stato della sua anima: è qui che giungeranno gran parte dei fondi Ue per la cooperazione scientifica e tecnologica. Guardando i giovani che si sfogano nelle discoteche fino a notte fonda e che pensano di essere in un paese occidentale, lontano da quell’Oriente complicato e popolato da gente che non ha la loro stessa lettura della storia e della geografia, sembra tutto regolare e normale. E invece no. Gerusalemme è a pochi chilometri. E con essa i territori occupati e le contraddizioni generate dalla convivenza sulla stessa terra di popoli spesso diversi ed ostili. Ma condannati, come fratelli siamesi, a vivere insieme. Spalla a spalla. Dalla storia e dal destino. Non è pensabile alimentare ancora il divario culturale, tecnologico e scientifico esistente tra Israele, il Libano e la Palestina, senza pensare a quest’area come ad un insieme inscindibile. L’Europa ha in questo una grande responsabilità. Deve assumere un ruolo politico essenziale nella regione. Per restituire dignità ai vari popoli. Per costruire un’area di libero scambio basata sulla pace e sullo sviluppo. Per assicurare futuro alle nuove generazioni che non comprendono perché debbano essere sempre gli Usa a gestire conflitti e risorse, spesso senza conoscere storie, culture, memorie. Occorre assicurare, per il terzo millennio, non solo la sicurezza militare e l’incolumità fisica dei cittadini. La sfida principale sarà quella di assicurare la sicurezza delle identità.