"IL DENARO"

20 marzo 1999

L’obiettivo è la sicurezza delle identità

di Michele Capasso

Napoli, 16 marzo 1999. Ian Lesser è un analista di problemi euromediterranei. Viene da Santa Monica. È membro dell’Accademia del Mediterraneo: con lui discutiamo di sicurezza nella regione. Il primo tema da affrontare sono le dimensioni sociali, politiche ed economiche della sicurezza. Gli Usa sono coinvolti sin dagli inizi dell’800 nei problemi legati al Mediterraneo: una specie di "potenza inconscia" che ha operato una divisione netta nell’analisi e nelle azioni programmate. Da un lato i problemi mediorientali, dall’altro quelli del Mediterraneo. Ma quali sono oggi i principali interessi degli Usa per l’area mediterranea?

Essenzialmente tre.

Il primo è costituito dall’importanza che gli Usa attribuiscono al Mediterraneo perché "connesso" intimamente all’Europa e al Medio Oriente: in tale contesto la regione offre per la potenza americana motivi di crisi ma anche opportunità che devono fare i conti con le questioni politiche chiave e con la considerazione che le problematiche della sicurezza dell’Europa si sono spostate dal centro alla periferia, disegnando sempre più un’Europa mediterranea che costituisce una tessera importante della politica globale degli Usa.

Il secondo è costituito dalla presenza al di là del Mediterraneo di "aree calde" per gli Usa: l’Africa settentrionale, il Golfo Persico, Israele e i Paesi arabi.

Il terzo è un motivo di sicurezza: nel bacino del Mediterraneo si diffondono missili ed armi di distruzione di massa. Alimentano un rischio "sud-sud" che si irradia dall’Iraq e l’Iran fino allo Yemen.

Le principali crisi in atto nel Mediterraneo che interessano gli Usa sono quelle nei Balcani, in Algeria, in Turchia e in Medio Oriente. In Algeria la situazione è mutata negli ultimi due anni. All’inizio era solo una lotta tra estremisti islamici e il regime militare. Oggi assistiamo ad una violenza molto meno politicizzata, più radicata, spesso frutto di vendette e lotte faziose che genera caos ed anarchia. Sia per gli Usa che per la Ue – specie dopo la recente disfatta della Commissione Europea – è difficile proporre soluzioni. In Turchia assistiamo ad un "revival" di tendenze islamiche. Il fenomeno più importante è l’accentuazione del nazionalismo turco. L’aspetto più incredibile è che gli attriti più forti avvengono tre due paesi Nato: la Grecia e la Turchia. Le conseguenze di un acuirsi di questo conflitto sono nefaste e porrebbero seri problemi agli Usa da sempre alleati dei Turchi. La compromessa relazione tra l’Ue e la Turchia acuisce questo problema perché alimenta la convinzione, in quel popolo, di essere continuamente estraniato dall’Occidente. Personalmente credo che difficilmente la Turchia diventerà membro dell’Ue, ma, allo stesso tempo, ritengo essenziale costruire una soluzione alternativa in tempi rapidi che restituisca dignità e ruolo a questo popolo da sempre legato all’Europa da vincoli economici e culturali. Per quanto riguarda i Balcani ed il Medio Oriente il problema sostanziale, comune a tutti, è la sicurezza delle identità. Su questo argomento Lesser condivide l’analisi posta a base di molti programmi di ricerca della Fondazione e che qui sintetizzo. Aree geografiche – quali l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente – un tempo separate, diventano oggi sempre di più interdipendenti: complici l’incremento degli scambi, dei mezzi di comunicazione ed il ruolo determinante dei media. Non è più possibile considerarle come sfere separate. In tale scenario, pensare il "globale" insieme con il "locale" significa difendere e valorizzare le differenti identità dei vari popoli. Molti percepiscono la minaccia delle proprie identità. Si sentono assediati. Questa minaccia viene alimentata e accelerata dai media. È il caso dei Curdi, dei Kossovari, dei Berberi, degli Algerini, dei Palestinesi.

Come assicurare sicurezza alle identità e gestire questo difficile problema?

Personalmente credo che la ridefinizione del ruolo delle varie istituzioni sia in questo ambito essenziale: l’Unione Europea dovrebbe occuparsi dell’area "non militare" dedicandosi a problemi sociali, alla stabilità politico-economica a lungo termine, al partenariato e alle relazioni economiche con i paesi partner mediterranei; la Nato – con il recente ingresso di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca – deve riequilibrare la sua azione e riancorare questa parte di "nuova Europa" al Mediterraneo passando dal dialogo a questioni concrete. L’Egitto, per esempio, ha chiesto alla Nato aiuto per l’eliminazione delle mine che causano centinaia di vittime e mutilazioni in quel paese. Migliorare le azioni e l’immagine "nord-sud" della Nato significa aderire anche a queste richieste. Un altro problema importante legato alla sicurezza delle identità è quello dell’Islam in Occidente. È una questione "calda" che dovrà essere affrontata con azioni pratiche. Un esempio: l’Arma dei Carabinieri ha istituito corsi di lingua araba e di studi sull’Islam per quei carabinieri in contatto con clandestini o criminali provenienti da quei paesi. La conoscenza e la comprensione sono alla base del dialogo e quest’ultimo è fondamentale per la pace. Dal punto di vista economico assicurare sicurezza alle identità significa garantire non solo lo sviluppo di quei paesi ma, in molti casi, la sussistenza dell’Europa: specie dei suoi paesi mediterranei che hanno una forte dipendenza – soprattutto energetica – da paesi quali, ad esempio, l’Algeria e la Libia. Ciò che accade nella riva Sud del nostro Mare – spesso diviso dalla nostra ignoranza – è importante non solo per paesi quali la Libia, l’Algeria o Israele ma soprattutto per la sicurezza e lo sviluppo dei Paesi della riva Nord. Sicurezza e pace sono le uniche vie da percorrere.