Un Ministro per la pace

 

 

Martedì 6 aprile 1999. Shimon Peres – membro fondatore dell’Accademia del Mediterraneo – telefona per scusarsi di non poter intervenire a Napoli il sabato successivo per la cerimonia di assegnazione della sede dell’Accademia. "Non posso abbandonare Israele. Le elezioni di maggio – dice – sono di estrema importanza per il futuro del mio Paese e per le sorti dell’intera regione mediterranea. Dopo le elezioni, se il risultato sarà favorevole, daremo corso all’istituzione di una sede dell’Accademia in Israele".

Mercoledì 7 aprile. Peres invia un messaggio autografo indirizzato a chi scrive ed al sindaco Bassolino: "Le battaglie sanguinarie che lacerano gli Stati dei Balcani costituiscono un richiamo per tutte le genti del nostro mare, gente – scrive Peres – di indole saggia e antica, capaci di comprendere che la pace non è solo assenza di guerra. Israele si è distinto nel corso della sua storia per la ricerca della pace, ha mostrato che questa è il risultato di interminabili e instancabili sforzi mirati a promuovere iniziative nei campi più disparati, dall’economia al sociale, promuovendo giustizia e libertà e un dialogo tra le culture e le fedi. Uniti in questa convinzione – conclude Peres – abbiamo salutato con grande entusiasmo e grandi speranze la costituzione a Napoli, il 10 ottobre 1998, dell’Accademia del Mediterraneo: oggi celebriamo l’inaugurazione ufficiale della sua sede nella città che ne ha visto la nascita. Il nostro Paese, che sottoscrive le sue stesse spinte umanitarie, sarà al fianco dell’Accademia nella sua azione tesa a realizzare nobili obiettivi, mentre ci accingiamo alle sfide del nuovo millennio" .

Lunedì 17 maggio 1999. Riesco a parlare con Shimon Peres poco prima di mezzanotte. Ormai si delinea un notevole successo di Ehud Barak, nuovo premier di Israele. Peres è contento e stupefatto di questo risultato: "È stato – mi dice – un voto per la pace. I partiti che erano contro il processo di pace sono stati sconfitti. Barak, da te definito un architetto di pace, deve realizzare gli accordi di Wye Plantation, rinnovare gli accordi con la Siria e strutturare una lotta articolata e sistematica contro il terrorismo. Un altro problema fondamentale – prosegue Peres – è il ritiro dal Libano: dovrebbe avvenire entro un anno e, soprattutto, con l’accordo della Siria". Ma sul tavolo di Barak un altro problema sarà immediatamente all’ordine del giorno: quello dei coloni. Personalmente credo che l’unica soluzione sia quella dell’accettazione della convivenza: non più "tolleranza" (che significa essenzialmente sopportazione) ma "rispetto nel vivere insieme". Oggi vi sono moltissimi arabi che vivono perfettamente integrati in Israele: domani dovranno esserci tanti israeliani che potranno vivere tranquillamente negli stati arabi, Palestina compresa. Per attuare una pace duratura e promuovere la coesistenza tra arabi ed israeliani è necessario un solido compromesso. Non serve una vittoria. Nessuno può ottenere la totalità delle proprie richieste. Su questo tema ho ascoltato molti osservatori ed esponenti dei vari partiti. Gassam El-Hatib è un osservatore palestinese: ritiene prioritario che Barak fermi l’espansione dei coloni attuando contemporaneamente il ritiro dai territori occupati. Corrado De Benedetti appartiene al Kibbutz Ruhama ed è un esponente della sinistra. Ha ospitato nel suo Kibbutz seminari del ‘Centro Peres per la pace’ dedicati al dialogo tra palestinesi e israeliani. Sostiene che occorre eliminare anzitutto le differenze tra gli stessi palestinesi: quelli di Gaza, ad esempio, oggi possono studiare ed avere una vita normale molto simile a quella degli israeliani. Al contrario, i palestinesi della giudea e di città come Hebron, Gerico, Nablus e Rasmalla si trovano in situazioni più difficili e vivono nel disagio. Manuela Dviri è un’esponente del partito di centro. È d’accordo sul pieno riconoscimento dello Stato palestinese e sul ritiro dai territori. Dice che tutti gli israeliani sono consapevoli dell’esistenza di fatto dello Stoto di Palestina: il problema è se vivere in pace con loro o fare la guerra. David Cassutto è stato vice-sindaco di Gerusalemme. Ha votato contro Barak. Sostiene che le polemiche tra gli ebrei ortodossi sefarditi e i religiosi hanno consegnato di fatto Israele nelle mani di Arafat. Mentre Ehud Barak organizza la sua coalizione di governo, resuscita il processo di pace. Arafat è ottimista e fa festa. Clinton propone di organizzare subito un "summit per la pace". La Siria lancia importanti segnali di apertura: secondo l’inviato speciale dell’Unione european per il Medio Oriente Miguel Angelo Moratinos il governo siriano rispetta Barak e con lui potrebbe giungere ad un accordo. Tom Segev è uno storico israeliano autore di importanti libri sulla storia del Paese. Osserva le immagini della televisione che ritraggono Barak posare una pietra sulla tomba di Yitzhak Rabin, il capo del governo laburista assassinato nel 1995 a Tel Aviv da un estremista ebraico. Per gli ebrei posare una pietra sulla tomba significa rendere omaggio alla memoria. "Non è un altro Rabin – dice Segev – Barak è un falco che non ha vinto per merito suo ma semplicemente perché Netaniahu ha fallito. Ha vinto perché non c’era altra alternativa. Israele voleva disfarsi di un primo ministro impossibile". È freddo sul nuovo premier: "Per una stranezza della storia – dice Segev – ci ritroviamo con Barak premier: un uomo che esprime valori e modi di pensare ritenuti sepolti da oltre 30 anni, un figlio del vecchio Kibbutz che vive in un mondo che appare come un dinosauro estinto e ora curiosamente risorto". Shimon Peres sorride quando gli riferisco le impressioni di Segev. Dice che alcuni Paesi hanno come caratteristica principale il paesaggio, altri i monumenti, altri ancora le architetture moderne: Israele ha come suo grande patrimonio un immenso dramma, dove il popolo è l’attore principale: "Dove c’è morte paradossalmente non c’è noia; – dice Peres – amo il mio popolo, qui non ci si annoia. Arafat mi ha da poco chiamato: fa più festa lui di me. Ora è prematuro parlarne: non cerco un lavoro del nuovo governo di Barak ma un ruolo. Forse sarò il ministro della pace".

Tutti noi ce lo auguriamo.