"IL DENARO"

4 febbraio 1996

QUALE MEDITERRANEO, QUALE EUROPA?

di Michele Capasso

Quale Europa? Rispondere a questa domanda è difficile: non tanto perché le risposte sono molte, quasi pari al numero di coloro che le pongono ma perché la difficoltà è legata soprattutto al fatto che queste risposte sono soltanto apparentemente definite e decise. L’Europa è stata per molti un mito. Identificata con una civiltà, ha rappresentato per alcuni una speranza, per altri un’idea e per quelli che sono il fondo oscuro della nostra società un’ideologia. Tante Europe dunque, tutte inattuali. L’Europa di oggi non è un corpo politico concreto, bensì un coacervo di nazioni martoriate dalle due terre che hanno coinvolto il mondo e cementate tra loro da legami di commerci e di lotte, di conquiste, di insurrezioni.

Un’Europa che tende all’unità e di continuo mette in discussione proprio questa unità che ha appena proclamato per ripudiarla subito dopo: unità fissata da norme che si accettano in quanto esistono ma nel proposito si rinnegano o per renderle più incisive o per annullarle. Si tratta insomma di un gioco alterno in cui si riversano gli umori, le trame e i demagogismi in un’altalena senza arresto, che fa di quest’Europa un qualcosa in costituzione e in disfacimento, una meta da raggiungere o da abbattere e una sfortuna in cui ciascuno prende quanto gli fa comodo, tira gli aiuti, profitta delle norme che gli convengono, ricorre nella disperazione di diritti negati, si rivolta in nome di ideali conservatori senza il coraggio di formularli in maniera diretta. Scommessa politica e strumento elettorale, capro espiatorio e ricorso estremo, l’Europa in Occidente è crisi di coscienza, nell’Est europeo un miraggio o un rischio. Se però vogliamo tentare di definirla in termini politici essa è una struttura in formazione che non ha un destino deciso e definitivo: non è l’unione economica governata da tecnocrati al di fuori di ogni controllo, che pure ha la tendenza ad essere, e nemmeno una forza politica capace di voce unitaria, chiara e decisa. È gigante e nano: un gigante impotente e un nano ingombrante. In questo suo stato contraddittorio, l’Europa è legata, inerte, inadatta ad assumere responsabilità politiche e morali di fronte al resto del mondo, verso il quale i paesi che lo compongono continuano ad agire separatamente e in contrasto, incapaci d’una soluzione comune perfino di fronte ad eventi che incombono ai suoi confini. L’Europa è qualcosa da fare, che deve nascere dalle nostre volontà, ad orientare le quali occorre che istituzioni libere come il Laboratorio Mediterraneo facciano discorsi semplici e assumano iniziative chiare e convincenti.

È possibile fare un profilo di questa Europa? Il progetto che noi proponiamo è massimalista, però sul massimalismo bisogna intendersi. Perché non si può fare un paragone tra le attuali strutture federative dell’Occidente, partite da un presupposto unitario, è l’unità dell’Europa, che muove dal presupposto di stati differenti, con grandi tradizioni culturali indipendenti e specifiche anche se reciprocamente influenzate; di conseguenza non ci si può aspettare che il processo di unificazione abbia la stessa natura e lo stesso spirito. Esistono poi condizioni concrete diversissime tra i membri attuali dell’Unità Europea per cui lo stesso Delors ha avanzato sullo sviluppo di essa cinque differenti scenari, quattro dei quali concludono in una sostanziale disunione per tutti o una specie di edificio a due piani in cui un nucleo economicamente forte e unito si astrae (e domina) gli altri compartecipi più distaccati e deboli.

Si tratta di scenari condizionati dall’economia, in quanto l’economia è stata il terreno su cui si è cercato in prima istanza di realizzare l’unificazione.

Se ci spostiamo sul terreno della cultura, ci rendiamo conto ad esempio che le letterature nazionali soffrono del seguente paradosso: la loro periodizzazione e la loro tipologia sono basate su periodi o aspetti transnazionali. Non è un caso se l’insegnamento delle letterature comparate (comunque inteso, vale a dire anche quando – e succede spesso – è inteso male) trova sempre maggior diffusione nelle Università europee come indispensabile complemento dell’insegnamento della letteratura nazionale.

Questi esempi mostrano che andando più a fondo e soprattutto più in largo della stretta visione economica i motivi, le esigenze e la prassi stessa di tipo unitario sono già assai radicati nella coscienza degli europei. Occorre dare forma ed espressione a questa coscienza ed immaginare scenari diversi dal Deloriano e soprattutto da quelli di chi non ha lo slancio europeistico di Delors.

Occorrono:

1) la nascita degli Stati Uniti d’Europa con un popolo suo ed un proprio diritto civile, penale e commerciale;

2) l’unità delle forze della difesa e dell’ordine;

3) l’avvicinamento dei curricula degli studi scolastici;

4) un’intensa diffusione delle lingue europee senza predominio assoluto di nessuna;

5) un’opera formativa di avvicinamento graduale, di fiducia e collaborazione tra tutti i cittadini dell’Unione;

6) la formazione all’apertura culturale e civile tra i cittadini di diversa nazionalità;

7) IL Rovesciamento dell’ordine dei valori: si è privilegiata l’economia; vanno invece privilegiate la cultura e la politica.

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Quale Mediterraneo? Il discorso sul Mediterraneo è più complesso e pure più semplice: perché la situazione non è cosi tesa tra ciò che è e quel che appare, i singoli riferimenti politici, sociali, culturali sono più chiari, le storie stesse dei diversi paesi meglio definibili.

Pur ripudiando schemi storiografici che hanno fatto il loro tempo, dobbiamo riconoscere che l’importanza di questo mare non grande è stata di considerevole rilievo e alla sua storia, o agli eredi di essa, dobbiamo quanto esiste di dinamico nella vita attuale.

Eppure, politicamente, il Mediterraneo tranne che all’epoca dell’Impero romano, non ha costituito unità se non di commerci e di guerre da quando i primi battelli vi si avventurarono sulle onde. Al contrario, le varie civiltà sorte sulle sue sponde e poi scomparse vi hanno lasciato una traccia profonda dalla quale sono segnati e nella quale si nutrono i popoli che ora abitano gli stessi luoghi. Il mare è, come il deserto, un legame: vasto spazio solcato in direzioni fisse che formano le linee d’una trama tenace la quale vede mutare coloro che la percorrono e la dominano ma tutti congiunge nella buona o nella cattiva sorte. In questo senso il Mediterraneo forma un’unità storica, culturale e geografica ben radicata nel fondo delle coscienze, ereditata e arricchita di generazione in generazione.

Ambizioni e rinunce, conquiste e sconfitte, contrasti economici, politici e culturali hanno generato attraverso il loro antagonismo una solidarietà. È giunto il momento adesso di scegliere tra antagonismo e solidarietà, divisione e connessione, sterili affrontamenti e fruttuosa collaborazione. I motivi per affrontarsi sono tanti: rancori coloniali che non si cancellano tanto presto dagli animi, confronti di religioni e culture, sistemi di vita, concezioni e visioni del mondo. Si può dire che non c’è stato Mediterraneo che non sia dilaniato da violenti conflitti aperti, con distruzioni e con stragi, oppure nascosti: fatti di rancori segreti covati nell’animo. E ciascuno si sforza di trovare una soluzione a tali conflitti per vie diverse: l’ideologismo nazionale, quello religioso, i modelli politici di dominio oppure il sogno d’autoritarismi, che il mondo moderno non concede. Per non parlare delle vie più deteriori come l’indifferenza politica e la pratica dei commerci.

Nel Mediterraneo l’unità delle coscienze non esiste. Esiste però la consapevolezza d’una appartenenza comune, il riconoscimento e talvolta l’orgoglio di questa: un legame profondo che, pur ripudiato, indissolubilmente rimane.

La scelta politica allora è tra questo legame interno, storicamente nutrito, inalienabile, e le "querelle" che passano perché frutto del momento. Per noi che le viviamo nel presente e per ciò stesso le troviamo attuali, esse sembrano destinate a persistere e raffigurare il nostro futuro. Ma non si fonda il futuro sull’effimero. La coesione politica del Mediterraneo si impone proprio per salvaguardare le diversità cresciute nel corso della storia. Per sopravvivere distinti dobbiamo saper collaborare, per identificarci nelle nostre tradizioni specifiche bisogna sapersi integrare nella storia comune.

Occorrono:

1) una politica di grande respiro, di graduale avvicinamento e di reciproco sostegno;

2) una progressiva convergenza nello sviluppo mediterraneo;

3) la soluzione del conflitto tra i diversi diritti di famiglia e la differente concezione del cittadino;

4) la chiarificazione del rapporto tra Stato e religione, religione e cultura che cambia a seconda della diversa storia religiosa e culturale dei popoli mediterranei: quelli che hanno trovato nel laicismo le basi della politica e quelli che le cercano invece nella religione;

5) una migliore conoscenza e comprensione dei diversi usi che spesso oppongono nel vicinato famiglie di diversa origine;

6) i fondamenti d’un diritto comune, compatibile con la diversità delle istituzioni e delle aspirazioni;

7) istituzioni economiche sopranazionali di aiuto allo sviluppo tecnologico ed economico.

Questi sono obiettivi realistici, raggiungibili se una minoranza convinta sa progettarli e proporli come si conviene ed operare per la loro progressiva realizzazione.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo si propone come fulcro per una simile minoranza.

Il primo e fondamentale passo per ogni futura vita armoniosa nel Mediterraneo non è né economico né politico ma culturale. C’è oggi una decadenza dell’educazione generale e un disprezzo verso la cultura: occorre combattere questa tendenza.

Questa è la vera alternativa se vogliamo vivere concordi e liberi.