NEL SALENTO UN OSSERVATORIO SULLE MIGRAZIONI

di Michele Capasso

Il mare del Salento regala gioie e visioni, intrecci di festosi colori, antiche storie e leggende.

Bisogna percorrerlo lentamente, con il ritmo antico delle barche a remi, o con quello ventoso delle vele, per apprezzarlo.

Dall’Adriatico, la tramontana ed il grecale, parente stretto del meltemi macedone, portano l’aria orientale e balcanica; dallo Ionio, lo scirocco, l’antico vento iapigio,

parla del passato. Lo zefiro in Puglia si chiama iapigio, diceva Apuleio.

I Greci prima, i romani poi, credettero che questo vento nascesse qui, dal promontorio Iapigio che da ta Leuka porta ad Otranto e Gallipoli. Penisola nella penisola, la regione salentina confina solo con il Mediterraneo. Le sue città costituiscono una trama in cui monumenti, storia e leggende narrano di una terra dai forti contrasti. Così Lecce, città del barocco, ma non di quello austero e retorico, bensì un particolare barocchetto, festoso, esplosivo, che si disperde in mille rivoli espressivi. Questo avviene con la basilica di Santa Croce, dove la facciata, divisa in due piani, sembra quasi voler cadere addosso allo spettatore in un tripudio di fiori e piante, puttini ed animali fantastici, santi ed angeli. Oppure in piazza duomo, con la sua chiesa dal doppio prospetti, il seminario che rincorre la fuga, inaspettata ed irraggiungibile, del campanile alto più di settanta metri. Da qui si vedono entrambi i mari del Salento, dicono i leccesi, intendendo l’Adriatico e lo Ionio. Sull’Adriatico, Otranto, il punto più a Oriente d’Italia, è da millenni una città porto. Ciò è cifra della struttura e dell’esistenza stessa di questo luogo, da sempre porta per l’Europa e per l’Oriente, il luogo fisico dove il continente tocca l’Est mediterraneo. Il mare ad Otranto sovrasta è ineliminabile, elemento imprescindibile che nemmeno secoli di agricoltura sono riusciti a far dimenticare; Anche lo sguardo del visitatore più distratto sente subito la forza che ad Otranto producono la sedimentazione e l’intreccio delle innumerevoli "tracce di passaggio" di popoli e idee.

Percorrendo il centro storico della città dove strade e vicoli si inseguono dando luogo ad innumerevoli dialetti architettonici incontriamo Lei, " La Signora di Otranto" dice M. Corti, è la Cattedrale XI sec. che, grazie al rigore formale tipico del romanico gotico pugliese, riesce a dare forma spaziale all’elemento più incorporeo che esista : la luce. Ma l’interno riserva una forza superiore alle nostre stesse speranze più grandi, un pavimento musivo che racchiude sia la sacralità cristiana che il concetto stesso del Sacro. Le maestranze chiamate da Guglielmo il Malo, prete Pantaleone, avranno avuto sicuramente l’incarico di comporre una biblia pauperum, ma non lo fecero, costruirono ,invece, un insieme di simbologie e leggende attinenti al sacro, al cristianesimo universale, cosmico ; così il grande Arbor Vitae si regge sugli elefanti, termina con Adamo ed Eva, è l’Axis Mundi, l’Albero della croce piantato sul Calvario, l’albero della conoscenza del Bene e del Male : comprende in se tutti gli alberi sacri. Gli elefanti, per coincidentia oppositorum sono sia la purezza che i peccatori ; l’Apocalisse di S.Ippolito ha ispirato il leone quadricorpore , il Roman d’Alexandre l’Imperatore che sale al cielo tendendo le esche ai grifoni ; Noè, il diluvio, la sirena bicaudata, l’ovus mundi. Dai tappeti e drappeggi orientali nascono i tondi del transetto che ospitano i mesi e lo zodiaco, copiano il rumi islamico cosparso di figure fantastiche; presso l’altare, temi biblici e mitologici insieme ; nella navata destra Atlante regge il mondo sostituito da una rosa dei venti, nella sinistra gli inferi anticipano di secoli le visioni dantesche ; e poi Re Artù ed il Graal, Salomone e la regina di Saba.

Nella navata destra una cappella conserva le ossa dei martiri decapitati nel 1480 dai turchi. Sull’altro lato la costa nasconde Gallipoli. Città isola, o forse penisola. Perché il ponte che la collega alla terraferma è per alcuni costruito a posteriori, per altri un istmo tagliato per difesa. Qui rimangono le tracce dell’antica civiltà marinara, essa si affida agli ex voto testimoni di una religiosità tutta votata al sincretismo, ai colori e al sentimento. Il tessuto cittadino di questi luoghi si riempie di dialetti architettonici, giochi al rimando tra ingenuità ed intuizione. Le nasse, le reti, le barche, i volti stessi di questi uomini narrano una storia continua. Non importa sapere che il mare ed i templi, la religione ed il navigare, in questa terra siano legati in maniera imprescindibile, lo si avverte subito.

I panorami mostrano luoghi da sogno: la costa bassa di Gallipoli con il sole che saluta l’antica chiesetta di S. Mauro; l’Isola di Sant’Andrea, per gli studiosi una delle misteriose Cheradi; le spiagge di Ugento che proseguono per 12 Km, le Pescoluse, Alliste, Racale, Felline, S. Cataldo, S.Caterina, Porto selvaggio e Porto Cesareo.

La Madonna dell’Alto guarda i naviganti che sfidano lo Ionio, poiché un pescatore scampato al naufragio mantenne la promessa di erigere una chiesetta alla Madonna nel punto più alto, allo stesso modo tutte le chiese di Gallipoli vecchia guardano al mare, punti di riferimento, fari più dei fari veri, come il santuario di Leuca, estrema propaggine del Salento, dai Romani chiamata finibus terrae.