"IL DENARO"

2 giugno 2001

CONFERENZA SUI BALCANI

L’INTERVENTO DI BOUTROS-GHALI*

* (Segretario generale dell’Organizzazione internazionale della Francofonia, già Segretario generale dell’Onu)

DEMOCRATIZZARE LA MONDIALIZZAZIONE E PROMUOVERE IL DIALOGO TRA LE CULTURE

Sono particolarmente lieto di essere oggi a Skopje per questa grande conferenza internazionale dedicata ai Balcani: ringrazio, per questo, la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ed il Presidente della Repubblica di Macedonia per la cordiale accoglienza.

Questa conferenza è oggi un simbolo forte, perché rivolta al futuro e fondata sulla speranza che i popoli dei Balcani possano: gustarsi una pace duratura; lavorare per la ricostruzione economica, sociale e politica dei loro Paesi, nei limiti delle frontiere oggi riconosciute; vivere le loro differenze in perfetta armonia e con uno spirito di tolleranza, dialogo e libertà.

L’importanza di questa conferenza è dovuta soprattutto al suo approccio originale introdotto dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo: promuovere il processo d’integrazione dei Balcani utilizzando la scienza e la cultura. E’ un approccio originale e realista, perché sono fermamente convinto che, qui come altrove, il dialogo e la mediazione devono comunque prevalere sulle soluzioni militari. Ma è un approccio che coincide anche con l’indirizzo fondamentale dell’Organizzazione internazionale della Francofonia che, al di là della promozione della lingua francese, opera soprattutto per il rispetto delle diversità culturali e linguistiche e per un durevole dialogo tra le culture.

Questa è una sfida politica, economica sociale e culturale che coinvolge tutti noi.

L’interdipendenza tra uomini, società e spazi è ormai la norma e le mutazioni scientifiche e tecnologiche, la globalizzazione economica e finanziaria, la circolazione immediata dell’informazione conducono tutta l’umanità verso una comunità omologata. Ciò non significa affatto verso un destino comune, anzi: le ineguaglianze e le povertà che si aggravano nel mondo ne sono la prova. Come costituiscono prova il rischio di egemonia di qualche potenza su decisioni che coinvolgono l’avvenire del nostro pianeta oppure il blocco dell’informazione operato verso le fasce più deboli e meno abbienti.

Un altro rischio è la sottomissione delle economie locali a strategie industriali che hanno poche relazioni con i bisogni reali di quel paese o i monopoli di attori specifici – privati o pubblici – sulla costruzione e diffusione di modelli standardizzati di comportamento, di consumo, di pensiero, di creatività e, quindi, di esistenza.

Quando gli scambi internazionali si diffondono e si ingigantiscono gli Stati, ma specialmente i cittadini, hanno la sensazione di vedersi sottrarre la gestione del proprio mondo e si sentono imporre una "monocultura". Di fronte a questa perdita d’identità grande è la tentazione di rifugiarsi in se stessi, di cristallizzarsi su valori arcaici radicati nel passato, in un clima di intolleranza che spesso conduce al fanatismo, all’odio, al rigetto dell’Altro. E se vogliamo evitare che la guerra fredda di ieri si trasformi in un suicidio cultuale, agevolato da massicci movimenti migratori internazionali, occorre – nel senso più ampio del termine –democratizzare la mondializzazione prima che la mondializzazione snaturi la democrazia. Ciò significa promuovere, in maniera veloce ed efficace, il dialogo e la cooperazione tra spazi potenzialmente generatori di conflitti.

Sono convinto che le grandi aree culturali e linguistiche costituiscono oggi spazi privilegiati di solidarietà che, se rafforzati dal dialogo e dalla cooperazione, sono la migliore garanzia per la democrazia, la pace e lo sviluppo condiviso.

Il dialogo tra le culture è oggi più che mai indispensabile come progetto di scala planetaria: un progetto di società in cui le culture si completano senza escludersi, si rinforzano senza scomparire, si accorpano senza perdere ciascuna la propria identità.

Dobbiamo tutti concorrere alla costruzione di un mondo multipolare, rispettoso delle lingue, delle culture, delle tradizioni e di una gestione veramente democratica delle relazioni internazionali.

Ma tutto questo presuppone che la diversità culturale mondiale divenga una condizione preliminare per costruire un dialogo reale tra i popoli, che il riconoscimento della cultura come forza dominante non costituisce un’eccezione bensì il fondamento del nuovo processo di civilizzazione, che la cultura non si limita solo alle arti e alla letteratura, ma che essa ingloba tutti gli aspetti della vita nella sua dimensione spirituale, istituzionale, materiale, intellettuale ed emotiva nei diversi tessuti sociali.

Riconoscere che cultura e sviluppo sono indissociabili, senza limitarsi ad un semplice approccio commerciale ed economico della cultura, è essenziale per costruire il futuro, qui nei Balcani come altrove.

Questo processo ha bisogno di azioni concrete come quelle realizzabili da parte dei 55 Stati e Governi francofoni, perfettamente compatibili con gli interessi di qualunque altra comunità mondiale. E’ la sfida del prossimo Summit della Francofonia che si svolgerà a Beirut nell’ottobre 2001.

Questo è il messaggio che ho desiderato lanciare oggi a Skopje: promuovere il dialogo per la coesistenza delle diversità ed una pace durevole.

Un altro modo per sottolineare la mia totale adesione all’azione oggi promossa è la speranza forte che in questa regione, in questo Paese tacciano, per sempre, le armi. La violenza deve cessare.

I Balcani, all’alba di questo nuovo millennio, devono chiudere definitivamente con un passato tragico ed esaltare tutta la ricchezza ed il grande patrimonio dei loro popoli che hanno costituito e costituiscono un universale valore per tutta l’umanità.