"IL MATTINO"

28 maggio 2001

BALCANI, DIFENDIAMO L’IDENTITA’ CULTURALE

di Predrag Matvejevic’ e Michele Capasso

Dopo sette anni di impegno a favore delle popolazioni della ex Jugoslavia, ci ritroviamo con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ancora una volta qui, a Sarajevo e a Skopie, luoghi fragili di una ancora fragile Europa.

Dopo ogni spartizione è rimasto qui qualcosa di insoluto e di incompiuto. Dall'incompiutezza e dalle questioni in sospeso spesso è scaturito qualcosa di storto o di sbagliato. La "verità" serba, bulgara, anche greca, croata, albanese, musulmana, cattolica, ortodossa e le altre svariate "verità" particolari sono state considerate le uniche e giuste ciascuna per sé.

In tal modo la Verità sui Balcani è stata relativizzata negli stessi Balcani e fuori di essi.

Parte del lavoro, talvolta la più importante, è rimasta sempre incompiuta. Rinviata ad altri, "più favorevoli" tempi. Tempi che arrivavano troppo tardi o non arrivavano mai. Gli eventi non riuscivano così ad essere portati a compimento, realizzati fino in fondo: venivano perciò a crearsi periodi incompiuti e un passato incompleto. Una storia monca, dovunque.

Negli spazi balcanici non sempre allo scorrere del passato è stato concesso di diventare storia. Ciononostante il passato è stato proclamato storia. La difettosa coscienza della storia ha prodotto e stimolato svariate interpretazioni del passato. La storia nazionale sceglie le interpretazioni apparentemente più favorevoli, evitando, nel farlo, l'obiettività o trascurando i valori. Nel territorio in cui il passato sommerge la storia, gli eventi si perdono da soli, oppure si perde il controllo su di essi.

La coscienza ideologizzata crea i propri scenari del passato, inducendo gli adepti o sudditi ad accettarli ed a credere in essi. Si appoggia più alla mitologia che alla realtà, identifica il mito con la vittoria sul mito. Perfino gli "eventi fondati" diventano preda di una determinata narrazione o finzione e, come tali, difficilmente riescono ad offrire una base a intraprese positive.

I popoli che più tardi degli altri sono diventati nazione, sopratutto Stati nazionali, vivono a lungo in se stessi una specie di dualismo o dualità: si comportano al tempo stesso come popolo e come nazione. E' difficile stabilire un criterio sicuro di identificazione in questo caso; è difficile perfino là dove ci serviamo di una lingua che è più o meno la stessa: fino a che punto siamo una cosa e da che punto siamo l'altra, che cosa siamo di più in una determinata occasione e che cosa siamo di meno in un'altra, quanto e in che modo siamo ambedue le cose allo stesso tempo. Le terminologie usate nei diversi periodi (tribù, comunità, etnìa, popolo, nazionalità, nazione, gruppo nazionale ecc.) portavano esse stesse in sé degli elementi da cui scaturivano equivoci e malintesi.

Gli ibridi del passato e della storia crescono spesso insieme o si congiungono artificialmente, creando ostacoli ai nuovi processi o ai successivi procedimenti. La memoria che le varie generazioni cercano di conservare viene a raffrontarsi con la memoria dalle cui conseguenze bisogna guardarsi. Il patrimonio che abbiamo cercato di salvare porta in sé anche parti del patrimonio dal quale bisogna essere salvati/salvaguardati. Il pericolo che si presenta in tali situazioni ci è stato fatto presente da uno dei migliori conoscitori dei Balcani, Jovan Cvijic’, che si è servito della metafora del "ragno" nel suo celebre saggio "La penisola Balcanica" scritto all’inizio del Ventesimo secolo nelle lingue francese e serba: "Simili al ragno, gli uomini tessono intorno a sé una ragnatela di pregiudizi storici, di vanaglorie nazionali, di alterati modi di vivere; e questa ragnatela può isolarli spiritualmente dal resto del mondo e far sì che diventino arcaici... Gli istinti nazionali ereditati dalle precedenti epoche storiche, anche quelli più profondamente primitivi, fino a ieri addormentati, cominciano a risvegliarsi...". Questo ammonimento dello studioso serbo si è rivelato profetico: il "ragno" ha avvolto nella ragnatela gran parte della penisola balcanica, una penisola che, a dirla con una difinizione celebre, "produce più storia di quanta può consumarne". Una penisola sulla quale poggia "la culla della civiltà europea" e che non può e non deve essere abbondanata dall’Europa.

Per questo, con la Conferenza di Skopje e l’incontro di Sarajevo per la ricostruzione della Biblioteca, profonderemo con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ogni sforzo consapevoli della necessità di questa azione.

Post scriptum

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo conclude il 25 e 26 maggio una serie di eventi svoltisi nel corso dell’ultimo anno con l’obiettivo di riaffermare una comune identità mediterranea. (Ved. Pag. 18 MEDNEWS)

L’inizio è stato il 17 giugno 2000 a Marrakech, con la chiusura della "Cattedra di Studi Averroè"; successivamente a Marsiglia, il 5 e 6 luglio 2000, con "Les Assises de la Méditerranée" si è riunita l’assemblea generale dell’Accademia del Mediterraneo definendo la sua articolazione in sedi e bureaux. Ad Amman, il 10 e 11 ottobre 2000, la Fondazione ha svolto, per conto dell’Unione europea, la Conferenza euromediterranea sul Dialogo interculturale proprio quando le tensioni tra Israele e Palestina si acuivano.

Il 25 e 26 maggio 2001, a Skopje, la Fondazione svolge la Conferenza internazionale "Balcani un nuovo millennio: cultura, politica ed economia insieme per la pace ed il progresso condiviso": vi partecipano Capi di Stato, uomini di cultura e di scienza, esponenti di organismi internazionali. Contestualmente, a Sarajevo il 26 e 27 maggio, si svolge una trasmissione – trasmessa in mondovisione - direttamente dalle macerie della Biblioteca di Sarajevo, per raccogliere fondi per la sua ricostruzione ( si ricorda che la Fondazione sin dall’inizio delle sue attività ha dedicato ogni provento editoriale per questo fine). Saranno presenti Predrag Matvejevic’, Claudio Magris, Josè Saramago ed altri membri della Fondazione.