"IL DENARO"

29 luglio 2000

L’Accademia: una risorsa per il futuro e la pace

di Shimon Peres

L’Accademia del Mediterraneo è una risorsa di estrema rilevanza per il futuro e per la pace e svolge un ruolo ancora più importante della diplomazia.

Penso che il dialogo che si sta sviluppando fra le tre grandi culture – ebraismo, cristianesimo e islam – sia una grande promessa per il futuro dei nostri figli.

Ho visto il Papa di recente ed ho potuto analizzare, con Lui, lo scontro interno in atto in tutte le differenti religioni. C’è un cambiamento avvenuto separatamente: infatti, non si può comperare il cristianesimo di oggi con quello dell’Inquisizione o del Medioevo; ci sono dei cambiamenti anche nel mondo musulmano, in Indonesia, in Turchia, nel Maghreb e in altri luoghi ancora. Lo stesso accade chiaramente anche nella vita ebraica.

La cosa importante da capire è che la pace si svilupperà in una nuova realtà e non nei campi militari o nelle stazioni di polizia. La pace germoglierà realmente nella vita accademica e nelle Università: per questo affermo che l’Accademia del Mediterraneo è, oggi, un indispensabile strumento di pace e sviluppo. Un mio vecchio consigliere, di solito dice che tutti gli esperti sono esperti di quello che è già accaduto, mentre mancano esperti di quello che può accadere. La nostra Accademia sta lavorando su quello che può accadere: per questo supera i vecchi confini e, se sostenuta, è in grado di progettare e costruire il nostro futuro.

Il grande cambiamento dei nostri tempi è dovuto al fatto che noi stiamo andando oltre, stiamo abbandonando l’idea di un benessere di "esplorazione".

Penso che le Università e la collaborazione fra esse, possano giocare un ruolo di rilievo. Per questo mi compiaccio della costituzione, all’interno dell’Accademia, della rete Almamed guidata dalla storica università di Bologna. Quando si paragonano le diverse fasi dell’educazione, la scuola superiore, le scuole medie, il college e l’Università, la cosa particolare dell’Università è che lì impari come imparare. Le Università sono importanti per controbilanciare la volgarizzazione della democrazia: l’Accademia del Mediterraneo che riassume Università e altre istituzioni culturali è, per questo, una speranza.

Sono lieto di essere oggi a Marsiglia per la cerimonia di "Rentrée" solenne dell’Accademia del Mediterraneo. Questa città ha avuto un ruolo chiave nella storia dell’Europa e del Medio Oriente. Fu fondata dai Fenici, che hanno inaugurato una nuova era, descritta efficacemente da Braudel nel suo libro sul Mediterraneo, dove afferma che l’importanza dei Fenici sta nel fatto che hanno portato un nuovo messaggio dal Medio Oriente.

Sono passati 2000 anni da allora e un nuovo vento soffia nel mondo.

La pace che stiamo cercando di conseguire nel Mediterraneo non riguarda solo le popolazioni che vivono in quell’area, ma è il tentativo molto più ambizioso di portare questa antica regione nella nuova era: di qui la straordinaria importanza dell’Accademia come strumento di questo processo. Se il nostro compito si limitasse a porre fine alla guerra, la conseguenza sarebbe solo che il Medio Oriente rimarrebbe povero, ignorante, insoddisfatto, e tornerebbe alle antiche abitudini di combattere e uccidere.

Come ho già detto, nella nostra era dobbiamo dire addio al concetto di "storia" e di "territorio". Al concetto di storia perché non c’è tanto da essere orgogliosi di essa: i libri di storia contengono solo eventi e narrano una storia continua di guerre e di uccisioni, scritta con inchiostro rosso.

La guerra è costata molto ai giovani, anche in Francia: alcuni hanno perso braccia, gambe, perfino la vita nella I e nella II guerra mondiale: che cosa abbiamo ottenuto da tutto questo in effetti? Niente di positivo: quindi abbiamo bisogno di una nuova storia, cosa che è possibile perché oggi l’economia è cambiata.

Alla fine del XX secolo abbiamo assistito alla fine dell’economia basata sulla terra, sulle risorse naturali, sull’agricoltura: non abbiamo più, oggi, un’economia ed una politica legate agli eserciti, ai confini, alle sovranità.

C’è una nuova "forza" che ci permette di esistere e ci darà la prosperità; una forza che non è più la terra ma la cultura e la scienza, non più il territorio ma la tecnologia, non più il suolo ma l’essere umano, poiché ci siamo resi conto che sia il nostro spirito sia il nostro intelletto hanno delle risorse che vanno ben oltre la ricchezza materiale.

Siamo passati ad un tipo di economia in cui i confini hanno perso importanza e stiamo assistendo ad un nuovo fenomeno nell’era moderna per cui ciò che fondamentale non è più conservare beni e accumularne di nuovi, ma agire nel modo più veloce possibile. Quanto più siamo veloci, tanto più riceveremo profitti.

Nessuno potrà fermare questo processo, incentrato sulla velocità che fa risparmiare tempo, materiali, intermediari e capitali; inoltre la velocità ci porta a scoprire nuove tecnologie, nuove idee, nuovo commercio, nuova produttività.

Non credo che la globalizzazione e la privatizzazione siano ideologie ma risultati della nuova economia. Non è un concetto semplice, perché la globalizzazione ha posto fine, in un certo senso, ai tradizionali Stati Nazionali: questi sono troppo piccoli per i grandi problemi e troppo grandi per i piccoli problemi.

I governi non riescono a controllare l’economia mondiale, in quanto le ricchezze si spostano da una parte all’altra, senza che lo Stato possa realmente intervenire; questo perché l’economia è diventata globale mentre gli Stati sono rimasti nazionali. Non esiste un Governo globale, non esiste una politica o una legge globale, in quanto le Istituzioni internazionali esistenti sono valide per un mondo fatto di nazioni e non per un mondo basato sull’economia globale.

In realtà io non sono un profeta, ma ritengo che non ci sia bisogno di guerre; bisogna insegnare ai propri figli non a ricordare la storia del passato ma ad immaginare e comprendere la storia del futuro: l’Accademia, sono certo, ci aiuterà.

Spero che gli storici non si adirino con me per quello che ho detto. Ho una raccolta di libri sull’Unione Sovietica e sul comunismo che, riordinando la mia biblioteca, ho messo da parte; li ho trovati brillanti ma incapaci di prevedere quello che sarebbe avvenuto, erano interessanti ma sicuramente non adeguati. Ora, perché l’economia globale è staccata dalla geografia? Perché essa è l’economia delle infrastrutture, non è nazionale. Stiamo pensando ad un mondo di nemici, ad un mondo di pericoli: i nemici di ieri non sono più pericolosi, ma i pericoli di oggi sono seri e non siamo in grado di affrontarli nel modo migliore.

Pensiamo all’inquinamento, alla droga, a malattie quali l’Aids: possiamo fermare questi pericoli alle frontiere? La risposta è no, a meno che non lavoriamo insieme per far si che i nostri figli non muoiano né per la guerra né a causa di questi nuovi mali.

Se vogliamo avvantaggiarci della velocità dell’economia globale, dobbiamo stare attenti a non rallentare le economie nazionali. Possiamo usare Internet, i computer, appropriate forme di comunicazione, di elettricità e di turismo che rappresentano le nuove potenzialità.

Se guardo al Medio Oriente ciò che è evidente è il timore della guerra. E’ peggiore della guerra stessa, che però ha sempre un inizio e una fine. Il timore non ha fine. La guerra non segue la legge della natura; ogni cosa è distorta, falsata dal timore della guerra. Se guardiamo secoli di storia del Medio Oriente, vediamo che gli Imperi si sono avvantaggiati dei conflitti locali, si sono rafforzati per la debolezza delle popolazioni locali.

Il conflitto fra Stati Uniti e Unione Sovietica è ormai concluso. Attualmente non c’è nessuno che si interessa al conflitto del Medio Oriente e ciò che è evidente è che la nostra regione rimarrà ignorata, indietro rispetto alle altre, se non riuscirà ad ottenere la pace. So che molti pensano che Israele potrebbe danneggiare altri paesi vicini, ma non è così, perché nessuno si potrà prendere carico della povertà di altri se deve fare i conti con la propria. C’è una doppia sfida da cogliere, l’economia mondiale da un lato, le infrastrutture nazionali dall’altro. Ricordo Jean Monet, il quale mi diceva: "I miei scopi sono politici, le mie spiegazioni sono economiche".

La nuova economia, significa anche nuova diplomazia e politica del futuro: anche in questo caso il ruolo dell’Accademia del Mediterraneo è essenziale.

Quello che è importante è che i nostri figli oggi possono spostarsi da una parte all’altra del mondo. Vorrei che il Medio Oriente diventasse estensione dell’Europa, parte di un mondo senza frontiere.

Se non riusciremo a far parte dell’economia mondiale, rimarremo lontani come un’isola.

Ritengo che le relazioni con i Paesi circostanti siano importanti siano importanti perché i buoni vicini sono più utili delle buone armi. Quello che è essenziale è il ripristino della libertà nel Mediterraneo, perché non si può concepire commercio o progresso scientifico senza libertà.

I nostri sforzi devono essere globali in senso culturale, spirituale, economico e scientifico. Auspico che il Medio Oriente possa diventare parte di un’Europa unita e di un mondo unito. Condivido la speranza di Braudel secondo cui l’unico modo di ottenere progresso è quello di perseguire un modo di vivere pluralistico.

Vorrei concludere con un aneddoto: "Alcuni studenti chiedono ad un rabbino, ad un cristiano e ad un musulmano africano quando è che finisce la notte e comincia il giorno. Il rabbino dice: "Quando è possibile distinguere la distanza tra due alberi"; il cristiano dice: "Quando il sole si alza e la notte cala"; il musulmano dice: "Quando incontri un uomo e una donna, bianchi o neri che siano, e dici - tu sei mio fratello e mia sorella – ". Io dico che quando israeliani e palestinesi, arabi, musulmani, cristiani, ebrei e esponenti di tutte le fedi e culture potranno vivere nella pace e nella sicurezza, allora la notte sarà passata e spunterà l’alba: l’Accademia del Mediterraneo è la nostra "bussola" e, sono certo, ci condurrà verso la luce.